Io, Agatha e l’assassinio al Parlamento | Rolling Stone Italia
Società

Io, Agatha e l’assassinio al Parlamento

Esauriti gli scenari esotici, la regina del giallo si ritrova nella nostra Camera dei Deputati. Dove è stato rivenuto il corpo senza vita di un onorevole. Chi è stato? Un racconto apocrifo di Agatha Christie

Io, Agatha e l’assassinio al Parlamento

Kenneth Branagh è Hercule Poirot in ‘Assassinio sul Nilo’

Foto: 20th Century Fox

Naturalmente parlo di fiction, di carta e di schermo. Premetto che i personaggi da me inventati non avranno nulla a che fare con la realtà. Saranno semplicemente caratteri che ritengo buoni per i miei romanzi, e i film relativi. L’ultimo è l’ennesima edizione di Assassinio sul Nilo, di e con Kenneth Branagh. Già ospitato in questa sede e già da me citato. Quest’opera è solo l’anello di una catena infinita. Che continuerà. Mi si perdoni l’immodestia, ma è sempre stato così. Le statistiche, che certo vanno prese con prudenza, raccontano di circa due miliardi di copie, nelle epoche, e di circa duecento film, da piccolo e grande schermo, tratti dalle mie storie.

In un’era in cui il Commonwealth, dopo aver perso sostanza, ha smarrito anche prestigio e charme, non ho più terreno per autentiche storie britanniche. L’età vittoriana, la mia, con quell’eleganza, quei teatri infiniti di Oriente, di deserti e di magioni come castelli, di cultura e di raffinatezza, non ci sono più e non sono riproducibili. Così come uomini in smoking a fumare e a bere Porto dopo cena, ai quaranta gradi del Cairo o di Nuova Delhi.

Così, per la prima volta… guardo all’Italia. E rilevo che può offrire buone occasioni di thriller. Ho pensato alla vostra politica. Ai vostri politici. Voglio crederli depositari di intelligenza, preparazione, senso civico, stile, comunicazione, cultura, onestà, coerenza: estrosi. La sede della vostra Camera è imponente, ricca e barocca, magnificamente lignea. Una location certo più suggestiva delle nostre House of Lords e House of Commons, dove il Primo Ministro è quasi confuso fra gli altri membri. La vostra location mi evoca una possibilità, un teatro suggestivo per Hercule Poirot: il mio detective belga che racconta la sua requisitoria in quell’emiciclo ad anfiteatro, con migliaia di occhi addosso. Ma Poirot, colà, ci deve arrivare, attraverso un percorso adeguato.

Dunque in uno dei salottini privati di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati della Repubblica italiana, è stato rinvenuto morto l’onorevole Roberto Derdenni, facente parte della maggioranza al governo. Sociologo, quarantotto anni, sposato senza figli. Era alla sua terza legislatura. Il corpo è stato trovato da un inserviente notturno. Era “orribilmente sfigurato, nel volto e nel corpo” secondo il rapporto della polizia. Colpito da alcune decine di pugnalate. Inserendo Poirot nel contesto di quella Camera, rilevo come egli non sia stato accolto, dai presenti, con l’entusiasmo che la sua storia di risolutore meritava.

Evil Under the Sun

Poirot ha fatto per la prima volta conoscenza del computer. Non posso che essere d’accordo sul fatto che il mio detective davanti a un display – si dice così, vero? – sia un assurdo estetico, ma è un assurdo funzionale perché Hercule, notoriamente pigro, può attingere a tutte le informazioni, da fermo. Un’indagine su Derdenni, accurata, capillare, tecnica (il computer) e intuitiva (Poirot), non ha portato a nulla. Derdenni era pulito, niente a suo carico. Pur essendo un uomo di potere, mai aveva approfittato del suo status. Niente nel privato, nei conti in banca, nelle intercettazioni. Nessuna corruzione o concussione, nessun rapporto ambiguo, di potere o di sesso. Insomma niente di niente. Un uomo da rispettare; meglio, da amare. E nessun nemico, in nessun contesto.

Poirot prende posto nello spazio davanti alla base dell’anfiteatro gremito, non un seggio vuoto. Il silenzio. Ha condotto la sua inchiesta, ha tirato le sue somme. E fa la sua requisitoria. Gli do il corpo e il volto di Ustinov, in questo contesto lo preferisco a Suchet. Il detective ha usato e abusato del computer, e ha parlato con tanta gente, con la maggior parte dei 630 deputati, anzi… uno in meno, naturalmente. È emerso che tutti gli altri onorevoli non erano del tutto candidi. Chi più e chi meno.

«Derbenni», dice Poirot, «era un uomo perfetto. Nessun possibile nemico, nel pubblico e nel privato. Chi poteva odiarlo a tal punto non solo da ucciderlo, ma da infierire così selvaggiamente, senza pietà? Tutte quelle ferite… Finché io, Hercule Poirot, ho avuto un sospetto. Le ferite, appunto. Così ho chiesto al medico legale di fare una conta precisa. Non era facile, perché erano così numerose che potevano sovrapporsi. Ammetto che se questo delitto fosse avvenuto ai miei tempi, quelli d’oro, quelli fra le due guerre, non avrei potuto risolvere il caso. Ma la moderna tecnica permette di analizzare ogni millimetro di superficie corporale e rilevarne i particolari apparentemente invisibili».

«Dunque si è potuto determinare con esattezza il numero di pugnalate», prosegue il detective, «e così ho capito. Ho capito che l’onorevole Derdenni non era un uomo da rispettare o da amare. Ma da odiare. Perché era un diverso. Aveva regole e comportamenti insopportabili per una certa comunità. E così ho cominciato a sospettare. La comunità, diversa, intollerante, non poteva sopportare un modello opposto e odioso, che ti costringeva allo sconcerto, e a un impietoso confronto con te stesso. Una comunità di tutti uguali».

Quante volte ho raccontato Poirot nel momento alto, quello della rivelazione. Il suo sguardo rotondo, che si posa sui presenti, in mezzo ai quali c’è l’assassino. E Poirot allarga il suo sguardo da destra a sinistra sull’anfiteatro. In velocità attraversa tutti gli occhi: «… la vostra comunità… Io non giudico la morale dei politici, è impossibile. Mi si dice che quel concetto, in politica, è improprio. Si dice Realpolitik, anche se mi domando cosa c’entri in questo caso. Ma non sopporto l’arroganza e la stupidità. Seicentoventinove pugnalate hanno devastato il povero corpo».

Poirot alza il braccio, e con l’indice puntato, lentamente, ripercorre tutto l’arco, questa volta da sinistra a destra. Il movimento contiene la casta tutta, unita, simile, d’accordo, monolitica. E Poirot suggella. Io, Agatha, ribadisco: solo di fiction trattasi. Solo di fantasia. Come potrebbe essere reale una comunità del genere…