Le parole che sto per scrivere, mosso da un sentimento di pura costernazione, sanno tenere in conto che da un po’ di tempo non è più garantita la sensazione di star parlando a persone più o meno dalla tua parte in un contesto che non sia di destra senza se e senza ma. Una parte che non ho alcun dubbio nel qualificare come di buon senso in merito alle interpretazioni della – e alle reazioni alla – deriva del mondo occidentale a cui stiamo assistendo sempre più inermi e succubi: mondo occidentale che, in soldoni, sta rinunciando poco per volta alla democrazia.
L’egemonia culturale della sinistra, che spesso a onor del vero, e in tempi per nulla sospetti, ho percepito come invasiva e superba, e a volte anche fastidiosa, è ormai un ricordo, e la detronizzazione dei suoi vari esponenti (fra intellettuali e artisti) mi è lampante da ormai quattro o cinque anni almeno. E se ne prende atto: per quel che mi riguarda non ho mai immaginato per me stesso di voler essere, da artista, una persona interessata a influenzare le opinioni altrui, forse proprio perché l’egemonia culturale della sinistra mi appariva tracotante. E di conseguenza, forse, anche perché, come ho detto più volte, sono una persona che sa di non essere di destra, senza sapere però quanto di sinistra e di liberale ci sia in me, e in quali proporzioni… Credo di essere una persona che ha a cuore i diritti umani e quelli delle minoranze – mi pare sia su questi temi in particolare che in America hanno perso i democratici – la razionalità, la libertà – di fare qualcosa, non solo da qualcosa – l’individualità, l’uguaglianza, il progresso, un’idea transnazionale di politica ed economia giacché sono europeista – cosciente di quanto il progetto europeo sia in fase di disgregazione – e credo che tutto ciò abbia coinciso con l’essere, anche, forse, un democratico liberale.
Conosco alla perfezione quanto la parola “liberale” non goda di molte simpatie – ma chissà se qualcuno la confonde con l’attuale liberismo, che è la sua penosa degenerazione – eppure penso che molti lo siano – stati? – senza esattamente saperlo, un po’ come il sottoscritto. Suggerisco di leggersi un eventuale decalogo di cosa voglia dire di essere liberali: si potrebbe scoprire di esserlo.
Detto in altri termini più basici: sono consapevole che esprimere oggigiorno lo smarrimento e la demoralizzazione per la pessima vittoria di Trump non equivalga ad andare a raccogliere un largo consenso fra i lettori di una testata online che, in quanto settata sulla musica, sull’arte e sul costume in genere, in altri tempi sarebbe stato facile immaginare frequentata nella stragrande maggioranza dei suoi lettori da persone in qualche misura allineate su posizioni vagamente non a destra, quantomeno secondo le vecchie categorizzazioni sociali (so bene che in questo momento storico le classi lavoratrici più stressate e povere votano a destra, ahimè una destra estrema, e so anche bene del mantra che «la sinistra non fa più la sinistra» eccetera…). Dunque sono consapevole delle poche o tante reazioni negative che questo scritto alimenterà. Questo non può impedirmi di dire la mia, giacché l’avvilimento che provo ha la sua dignità e giacché mi capita spesso di scrivere qua le mie opinioni. Ovviamente so anche che molti condivideranno con me costernazione, smarrimento e avvilimento.
Voglio anche premettere che non sono un rosicone, come a destra si ama dire di coloro che, sempre andando per definizioni, sono le zecche su cui ci si sta prendendo le rivincite (spiace, non sono una zecca. O forse sì, se basta non sentirsi di destra per essere qualificato con disprezzo come zecca?). So comprendere il desiderio di rivalsa, e lo trovo pure plausibile, ma invito costoro ad avere più rispetto per chi si preoccupa. E faccio già che ci sono una domanda diretta a costoro: vi è mai capitato di essere realmente preoccupati (oltre che solennemente infastiditi, e questo ci sta) dal comunismo? Questo spettro berlusconiano che vi ha inculcato una paura del tutto infondata, giacché il comunismo è almeno dal 1989 che non esiste, letteralmente? Davvero avete temuto che quanto successo in Russia e a Cuba nei tempi dell’esperimento di attuazione dell’ideologia (nefasto e pessimo) potesse avverarsi in Italia nei vari anni intercorsi nella vostra vita vissuta?
Se posso permettermi una illazione, penso proprio di no. Mentre invece “noi” sì, abbiamo realmente paura di un ritorno di cose molto brutte. Non credo ci siano mai state, qui nel mondo occidentale recente, delle manifestazioni massive e preponderanti di lode a Stalin e alle sue malefatte, restando i simpatizzanti confinati in una nicchia, mentre invece, oggigiorno, sempre più fioriscono frotte di simpatizzanti di fascismi e nazismi. E non sono nicchia. Lo dimostrano le urne e i vari risultati elettorali, con l’ultradestra sempre crescente e probabilmente fra non molto egemone… (Il lettore non accecato dal sentimento della rivalsa dovrebbe provare un brivido a immaginare le ultradestre egemoni. Ma anche una vita vissuta in un contesto autoritario dovrebbe procurarne).
Bene: ora che ho fatto sorridere alcuni, desidererei che gli altri sapessero accogliere e interpretare in modo pacifico le preoccupazioni di molti di noi, che davvero temiamo si stia andando incontro a disastri. Non chiedo la comprensione della cosa in sé, ma chiedo il rispetto per le esternazioni dei timori senza tirare in ballo la famigerata rosicanza.
Sono stati giorni di commenti vari, sul web e sui giornali, e non ho nessuna possibilità di dire cose che non siano dette meglio da altri più esperti. Sono analisi preoccupate, di quasi tutti tranne ovviamente di coloro che sono collocati dall’altra parte. Mi sono letto Libero, La verità, Il manifesto, Il foglio, oltre agli altri soliti noti, e ho cercato di interpretare i peana giubilanti dei primi due (il direttore di Libero, Mario Sechi, ha parlato addirittura di nuovo ordine mondiale, «è tempo di realizzare l’internazionale di destra», e bisogna saperlo accettare in virtù dello spirito di rivalsa che elettrizza quella compagine. Certo, fa impressione… ), ho intercettato vari post su Instagram (Roberto Saviano, ridicolmente perculato dai giornalisti di destra, parla con totale esattezza e avvedutezza dello schifo della realtà dei social, imputandole le più gravi colpe relativamente allo scenario attuale, e leggendolo mi sono sentito particolarmente vicino visto che di queste cose argomento con moltissima rabbia da almeno cinque anni a questa parte… Lo chiamo degrado, in accordo con Jaron Lanier, i cui libri fareste bene a leggere), e al netto del mio desiderio di equanimità per comprendere le eventuali ragioni degli altri e magari intercettare qualche mio bias cognitivo, posso dire di essere molto, molto preoccupato, e di non essermi lasciato convincere non solo dai giornalisti di destra, ma nemmeno dai rari commenti di intellettuali in cui cui mi sono imbattuto, tendenti a sminuire con un po’ di ironia a tratti quasi altezzosa il catastrofismo di chi come me ha grossi timori. Perché con questo risultato quasi plebiscitario Trump ha praticamente il controllo sulla Corte suprema, sul Senato e con ogni probabilità sulla Camera… Ovvero pesi e contrappesi della democrazia a serio rischio, visto il suo razzismo, il suo disprezzo per i diritti delle minoranze, la sua misoginia conclamata, la negazione del cambiamento climatico (lo odio tremendamente per questo, maledetto), la denigrazione della scienza (fu penoso in pandemia), il disprezzo per le istituzioni, l’irrequietudine (il fatto stesso di fomentare alla rivolta una masnada di esaltati per non saper accettare l’esito delle elezioni – alludo all’assalto alle istituzioni quando perse contro Biden – dovrebbe inorridire chiunque non sia estremista, a destra come a sinistra).
Lo so che la replica a queste mie parole è «è la democrazia!» (ma non è certo democratico non saper accettare una perdita), e ritengo che ci sia molta ingenuità in questa esclamazione, perché nei social la democrazia è offuscata completamente dalla manipolazione. Penso che i social, a tutti gli effetti null’altro che aziende il cui business è garantito dalla nostra quotidiana utenza, siano più efficaci ancora della televisione nel lobotomizzare il mondo, e su questi aspetti ho detto molto qua in tempi passati. Uno studio fatto in questi giorni da Le monde e inoltrato da Internazionale.it dimostra che dal 5 ottobre al 5 novembre Musk ha postato 100 messaggi al giorno (rileggete bene la cifra) sul suo cazzo di X, ogni giorno, ribaltando gli esiti al rush finale. So benissimo che chi è pro-Trump non si lascerà scalfire da questa cosa (frase prevedibile «Non sapete più a cosa appigliarvi», con tanto di risata a due lacrime), ma invece purtroppo tutto ciò è semplicemente agghiacciante e Orwell è lì che ci guarda con tenerezza.
Peraltro: Musk è stato piazzato al governo (notizia di mercoledì 13 novembre). Uno degli uomini più ricchi del mondo ci governa, e in fondo molti paiono essere contenti. Alla luce di ciò mi permetto di insinuare che tutte le analisi che demonizzano i democratici e la loro mala gestione della corsa alla elezione andrebbero di molto mitigate da questa realtà: o i democratici acquisivano la spudoratezza penosa che serve per comunicare con persuasività nei social (fake e aggressività volgare, promesse ridicole o schifose), o erano destinati a perdere. Come sta accadendo ovunque nel mondo. Come è successo in Italia e continua a succedere. Poco altro.
I temi soliti di cui si è dibattuto per analizzare ciò che potrebbe accadere da Trump in avanti è sufficiente elencarli: cosa succede ora in Ucraina, i dazi che imporrà Trump all’Europa, la questione israelo-palestinese che ha infervorato un sacco di gente nel dare addosso a Kamala Harris tacendo sul legame profondissimo, quasi amicale, fra Trump e Netanyahu, le chiusure all’immigrazione, l’aborto, i diritti, la Nato, l’abbandono dell’Europa, il riscaldamento climatico, la Cina (e Taiwan), l’Iran, la Corea del Nord… Ne parlano tutti con dovizia di particolari in analisi precise, ovviamente figlie dell’impulsività, e angosciano a sufficienza.
Personalmente sono quasi rassegnato all’idea di un mondo votato all’esperimento autoritario (se così vogliamo dire), e temevo la rielezione di Trump perché potrebbe essere la stura più o meno definitiva a un effetto domino difficilmente controllabile (Salvini esulta per la vittoria di Trump, si ringalluzzisce, parla con disprezzo delle zecche – un ministro che diffonde odio sostanzialmente – prefigurandosi il suo bel mondo ideale come sempre più concreto: può bastare come incubo?).
Voglio sperare che siano in tanti, al di là delle latrate social, al di là delle manipolazioni, al di là delle propagande che sanno convincendo molti a guardare a est, al di là di un antioccidentalismo morboso incapace di notare che a ogni malefatta americana o nostrana ne corrisponde almeno una russa e una cinese e una iraniana e una israeliana e una metteteci chi volete voi (il mondo è complesso baby), voglio sperare che siano in tanti, dicevo, a essere atterriti da questa prospettiva. Prospettiva che porta dritto dritto a una società molto meno aperta di quella in cui tutti noi siamo abituati a vivere, e non sarà mai spesa male l’energia per pensare seriamente a cosa vuol dire ritrovarsi in una società chiusa, intimidita, dove le proprie opinioni sono monitorate e punite se non conformi: io penso che anche molte persone di destra si ritroverebbero ben poco contente di questo nuovo ordine, e la cosa bella e anche un po’ divertente è che potrebbero avere ripercussioni negative a andarsene poi a lamentare sui social.
Forse l’unica chance che abbiamo è essere lucidamente consapevoli di cosa sta accadendo, e rendersi conto che si deve lavorare per aggiustare la democrazia, e ancor meglio aggiustare le brutte deviazioni che il mondo progredito erede dell’Illuminismo ha cominciato a prendere dal crollo del Muro di Berlino in avanti, complice la degenerazione del modello democratico-liberale in un liberismo pernicioso per l’umanità sempre più impoverita (capitalismo della sorveglianza). Lavorare per aggiustare la democrazia coi suoi tanti bei difetti e non cedere alle fomentazioni della paura che vengono propugnate ad arte dai populismi: è facendo leva sulla paura della gente che la si ammansisce e la si depotenzia, dominandola, tenendola ignorante con la sua cattura quotidiana in quegli oggetti chiamati smartphone che sono settati per calibrare la nostra ignoranza, annichilendone il cervello sempre più connesso e abituato a farsi risolvere qualsiasi problema dalle applicazioni (oh, come tutto peggiorerà con l’intelligenza artificiale), contando sulla sua ignoranza, dandole l’illusione della libera informazione in rete (libera un bel niente: quale roboante illusione il concetto della democrazia in rete!).
Se tutta l’umanità si rendesse conto che a praticamente tutti i figli dei grandi billionaires e dei manovratori della rete – élite, imprenditori, centri di potere – è inibito dai genitori stessi l’uso del cellulare, potremmo ragionevolmente sperare di poter coltivare sogni di rinascita… E non sto pensando alla rinascita della sinistra in sé, sto pensando alla rinascita del sentimento democratico, che per quanto imperfetto penso sia il meno peggio possibile: quanti di questi tempi hanno dubbi sul suffragio universale? Triste dirlo, ma quando una società è spinta verso l’ignoranza, il voto figlio di questa ignoranza – insopportabile quando gradassa – su questioni di cui non sa un benemerito nulla diventa un problema. L’illuminismo di cui siamo eredi, e a cui stiamo poco per volta per rinunciare, aveva fra i suoi propositi la diffusione della cultura e della conoscenza a tutti: si dovrebbe riflettere molto bene su questo, insieme alla consapevolezza che è ciò a cui stiamo rinunciando. Ma ovviamente non accadrà. La tecnologia non è dei/per ricchi, è l’arma di sedazione dei poveri. E poveri siamo tutti noi. Che continueremo a usare gli smartphone.
Evitando dunque di dire cose già lette e rilette nei commenti a caldo, mi piace rimarcare un fatto, che si può dire mi riguardi, per quanto in senso più teorico che pratico. Vi ho già accennato prima: la totale perdita di consistenza delle opinioni di intellettuali e artisti. È evidente a tutti che i vari sostegni a Kamala Harris portati avanti da molti personaggi molto esposti (Springsteen e Taylor Swift i casi più eclatanti) non sono serviti a nulla. Soffermandosi solo sui big è palese che il problema è la loro ricchezza. Sono ricchi, estremamente ricchi, agiati, e dunque appaiono poco credibili. Ma posso chiedere? Trump non è forse estremamente ricco? (Peraltro non è vecchio quasi come Biden? Sapete tutti che ha 78 anni?). E quanto è ricco Musk? Davvero dunque può essere credibile il parametro della ricchezza per dare credito o meno a una persona che possa ritenersi in linea teorica influente e ispiratrice? Se Springsteen è un comunista col Rolex, Trump che cazzo è? (Vorrei entrare più nel merito di queste affermazioni generiche, cercare di “dimostrare” che l’opinione di Springsteen è almeno in linea teorica più umana, più egualitaria, più a misura di tanti, ma mi perderei in lungaggini intollerabili: troppe le parentesi da aprire, reali e metaforiche, enorme la necessità di ragionare tenendo a mente i distinguo).
Dando dunque per assodato che gli artisti mainstream sono ormai ben poco in grado di far tenere la barra a dritta sulle scelte delle persone in ambito sociale, cosa può voler dire tenere la barra a dritta? Per me vuol dire dare priorità alla ragione tenendo a bada i borbottii della pancia: se nella nostra vita quotidiana tutti dessero ragione alla pancia le nostre strade sarebbero lastricate di gente che si picchia o si spara ogni giorno, per dire… (Oh beh, in un regime ci sarebbero ordine e disciplina… Bene, aspettiamo allora l’arrivo dell’ordine e della disciplina: per un soggetto contento a braccio destro teso, dieci silenziati e depressi, questa è la mia proporzione. La vostra?). Di questo trambusto quotidiano a un certo punto, impauriti, ci si stuferebbe e si cercherebbe di porre un argine, e questo argine sarebbe la ragione a costruirlo, non la pancia. Ecco dimostrato in poche parole il tentativo dell’illuminismo di migliorare la società, con pazienza e moderazione (ci sono voluti secoli). Ed ecco che tutto questo lo stiamo per perdere, pronti a tuffarci nell’ignoto dell’autoritarismo e della lenta fine della democrazia.
So benissimo che nel mondo c’è tanta rabbia e tanta povertà e frustrazione (ce la dovremmo prendere coi capitalisti della sorveglianza), e so dunque benissimo che certe urgenze di vita non le si può più, a un certo punto, gestire con la ragione… Sarà una fine temporanea della democrazia? Si spera. Dieci anni? Venti? Un bel ventennio e poi, stremati, ci si ricompone? Potrebbe essere uno scenario probabile (altri brividi), e mi auguro che non sarebbe così cruento come il ventennio del secolo scorso. (Sempre che una bella guerra mondiale non ci abbia fatti fuori tutti prima).
Ma se posizionare Springsteen, Taylor Swift e compagnia bella nei ranghi dell’establishment sempre più odiato è vagamente comprensibile, mi stupisce in modo scioccante quanto anche i musicisti più piccini (penso in particolare all’alternative, che mi è consustanziale) siano derisi dalle stesse insolenze social. Ora, io ho 58 anni fra pochi giorni, e i miei riferimenti sono ovviamente tarati su ciò che mi è più o meno contemporaneo. A dire: non so di preciso come stiano le cose coi musicisti dell’alternative giovane del giorno d’oggi, non essendo in linea con il mood di una generazione diversa dalla mia, ma questa estate, per dire, sono stato al concerto degli Idles, e il cantante si è espresso e non una sola volta senza mezzi termini contro Trump, con parole al vetriolo, senza timori di alcun tipo e per ciò ammirevole. Oppure, ora che mi viene in mente, ricordo un post estremamente sarcastico e duro al contempo dei favolosi Sleaford Mods, semplicemente inequivocabili nel loro attaccare Trump cercando di ammonire la gente sulla pericolosità di quell’uomo al potere. A naso direi che il 90% dell’alternative mondiale sia contro Trump e tutta la merda che ne deriverà, ma se vogliamo ci si può chiedere al contrario: chi sono i musicisti a favore di Trump?
Googliamo un attimo lasciando da parte la sezione alternative. Leggo da Billboard: Kid Rock, Kanye West, Anuel AA & Justin Quiles, Azealia Bunks, Billy Ray Cyrus, DaBaby, Jason Aldean, Kodak Black, M.I.A., Lil Pump, Waka Flocka. E invece chi si è schierato con la Harris? Amy Lee, Ariana Grande, Bad Bunny, Barbra Streisand, Beyoncé, Billie Eilish, Bob Weir, Bon Iver, Bruce Springsteen, Cardi B, Carole King, Charli XCX, Cher, Demi Lovato, Dan Omar, Eminem, Foo Fighters, Gracie Abrams, Jason Isbell, James Taylor, Jennifer Lopez, Jermaine Dupri, John Legend, Jon Bon Jovi, Katy Perry, Kelly Rowland, Kesha, Lady Gaga, Lil John, Linda Ronstadt, Lizzo, Luis Fonsi, Madonna, Maxwell, Megan Thee Stallion, Moby, Neil Young, New Radicals, Olivia Rodrigo, Patti La Belle, Pink, Quaro, Questlove, Ricky Martin, Stevie Nicks, Stevie Wonder. Se ho contato bene: 47 a 11, e ho tralasciato alcuni nomi a favore Harris perché se no la lista diventava insopportabilmente lunga. Al netto del fatto che anche i musicisti pro-Trump sono individui che «hanno fatto politica» (non è forse un mantra trumpiano e dei filo-Trump, anche italiani, il famigerato «pensa a suonare»? Con Kid Rock e compagnia bella che non hanno pensato solo a suonare come la mettiamo?), possibile che tutti questi musicisti si siano bevuti il cervello e siano delle capre mainstream e tutto il resto del rosario di epiteti che i social contribuiscono a far nascere e proliferare? Sono stati tutti coinvolti nelle feste di Puff Daddy?
Le domande sono retoriche, e penso all’obnubilamento provocato dai social stessi, che coi loro algoritmi ben tarati e non regolamentati (con l’AI tutto si farà tremendo) sanno pilotare le opinioni della gente in modo radicale, manipolandola, e radicalizzandone il pensiero. E facendosi fottere dalle balle di ogni tipo. Musk, il più ricco uomo del pianeta, possessore di uno dei social più influenti e manipolatori al mondo, dunque con una platea raggiungibile di miliardi persone, ci viene a dire che i nostri giudici andrebbero fatti fuori (avete letto tutti di questo abominio? È recente: se ne è saputo martedì): non vi fa venire un brivido atroce lungo la schiena? Dovrebbe, perché l’orizzonte con queste prospettive appare ben più che scuro: appare lugubre. E ci sono di mezzo i nostri figli, che si ritroveranno su un pianeta a rotoli, sempre più caldo e inospitale (riscaldamento climatico, con sempre più Valencia in agguato a sfibrare e atterrire l’umanità): c’è qualcuno là fuori a cui sta piangendo il cuore?
Sono catastrofico? Non credo, sono realista.
Ma torniamo all’alternative, con cui vorrei chiudere. Come ho detto, penso che una percentuale altissima di musicisti di quest’area (tutte zecche, per il popolo di destra) sia radicalmente contro Trump. Gente che non si sta arricchendo in modo particolare, che non fa parte di nessun establishment esclusivo se non la conventicola dei musicisti coi loro stili di vita non standard e poco altro. C’è chi si è espresso e chi no, fra i profili che seguo. E fra i profili che seguo gli algoritmi hanno deciso quali propormi con una certa ricorrenza e quali no, dunque non sono al corrente delle varie azioni commesse da ciascuno di loro. Ma mi sono imbattuto un giorno in un post di Thurston Moore, uno dei miei idoli musicali di sempre. Il post era una citazione di non ricordo chi, che diceva cose «non potrò mai capire come una massa di persone consistente abbia potuto votare quell’essere eccetera eccetera», e se non ricordo male si diceva anche qualcosa a proposito della «impressive Kamala Harris». Apriti cielo! È stato tempestato di una ironia penosa, salace, spudorata, cattiva (qualcuno addirittura gli ha scritto «torna a fare i tuoi dischi casalinghi che non si caga nessuno», con emoticon sghignazzante). Non credo proprio fossero ignari di lui come artista, e fra i molti commenti negativi si capiva che era gente che lo segue o lo seguiva.
Ora: Thurston Moore non credo proprio che sia ricco. Non credo nemmeno che sia povero, ma davvero non credo che sia ricco. È molto probabilmente un non-povero, come tantissimi di noi nonostante ci proiettiate addosso chissà quali fantasie. Il suo catalogo è fatto di dischi tanto importanti da un punto di vista artistico per la storia del rock quanto ben poco remunerativi sulla lunga distanza (a parte forse Dirty, ma non saprei). E se i dischi dei Sonic Youth strimmano pochino tranne due o tre pezzi, i suoi dischi solitari strimmano molto meno (e dunque non fruttano praticamente alcun guadagno) e non credo che un suo cachet (in quattro o cinque a suonare in giro per l’Europa, con costi di spostamento sempre più complicati da gestire) superi cifre a cui probabilmente non credereste. Bene, Thurston Moore è uno che fa il suo sporco lavoro: va in giro, si fa il culo, ha quasi 70 anni, e probabilmente lo farà fin che avrà energie. Eppure nulla, la possibilità di ispirare le persone con un bagaglio di esperienze formativo quale può essere quello di una persona che ha passato la vita a girare il mondo suonando, con una sensibilità che è propria degli artisti in genere e che nel mondo pre-Internet aveva capacità di attrarre la curiosità dei molti, con una capacità riflessiva media data per scontata quanto meno nei suoi rappresentanti più dotati e intelligenti (non si può dire dei Sonic Youth che non siano persone intelligenti), oggi tutto ciò è carta straccia, anche presso parte del suo popolo.
Ho come l’impressione (ma spero di sbagliarmi) che il mondo verso cui pare si stia andando creerà i presupposti per un ridimensionamento cruciale di tutto ciò che è stato un certo immaginario a cui noi amanti del rock siamo affezionati, e tutta l’attitudine alternative in particolare potrebbe garantire semmai una certa stigmatizzazione a chi la adottasse come stile di vita. Si verrà visti (parlo anche del pubblico) come degli sfigati di sinistra, detto in soldoni, e, perlomeno in paesi come l’Italia, potrebbe esserci un confinamento nei limiti angusti di una nicchia quasi eversiva, che può forse avere il suo fascino presso gli spiriti più rivoluzionari, ma che credo fornirà più che altro una triste immagine di paese regredito, con una scena musicale impegnata in una specie di resistenza patetica in un contesto ostile con tanta terra bruciata sotto i piedi. Chi potrà e vorrà addomesticherà la sue musiche e i testi si faranno il meno disturbanti e compromissori possibile, chi non ce la farà e non vorrà si troverà impantanato in questa nicchia, più triste che fascinosa a mio modo di vedere.
Sono perfettamente consapevole che fra chi sarà arrivato fin qui qualcuno troverà molto divertente fare dell’ironia su quanto detto, qualcuno scriverà «è finita la pacchia», e si torna all’inizio dei questo mio scritto, che vi riporto di nuovo: le parole che sto per scrivere, mosso da un sentimento di pura costernazione, sanno tenere in conto che da un po’ di tempo non è più garantita la sensazione di star parlando a persone più o meno dalla tua parte in un contesto che non sia di destra senza se e senza ma.
Questa non chiamatela rosicanza, per favore: sarebbe stupido.