A.P. Come va? Io in questi giorni di casca il mondo eccetera ho bisogno di riconoscere almeno qualche faccia amica. Ecco Emma, l’inviata del Tg1 nei paesini al confine del niente. Ci ripete sempre che una delle prime città bombardate si chiama “felicità” in ucraino (ci casco ogni volta). Ecco Stefania, anche lei collegata da non so dove, più elegante più signora nonostante l’elmetto grande nero in testa e il giubbotto antiproiettile con sopra scritto PRESS. Da Kiev ci parla Valerio, che non è lì per il Tg1 ma per Micromega dice il sottopancia. Cioè in sostanza è un avventuriero, uno che probabilmente sfugge da se stesso o da un amore andato male, ma ha già rischiato la vita in mezzo mondo battendo bandiera liberiana. Lui senza casco. Giovane, mingherlino, barbetta incolta, niente capelli, sbuca dal nero della notte con l’occhio sgranato. Attualmente vaga nei sotterranei e le stradine di Kiev e da lì si collega. È già il figlio e il nipote ideale delle mamme che guardano il Tg1, infatti tutte le conduttrici concludono il collegamento dicendogli stai attento, non sfidare il pericolo, metti la maglia di lana. Capisci che storytelling, senti il profumo dell’arco narrativo che si tende?
G.R. Si tende e si spezza su Twitter – zona franca degli allenatori di tutto, geopolitica compresa – poi si tende di nuovo nelle stories di Ig: seguo molti dj e producer di musica elettronica, techno, ambient, suonini vari e in questi giorni è tutto un postare l’azzurro e giallo acido della bandiera ucraina, con scritte tipo “meno bombe, e più techno”. Già, la scena clubbing ucraina dopo la rivoluzione del 2014 era diventata la nuova Berlino, weekenders che zompavano sui Ryanair per maratone elettroniche con dj da tutto il mondo. Pure dall’Italia, come ricorda il producer di techno ipnotica Marco Shuttle, in passato ospite del festival Natura organizzato dalla crew Ryhthm Buro, tre giorni di rave nella foresta a 30 km da Kiev, dove sicuramente oggi ci sono solo carri armati russi. La prossima edizione è il 29 luglio, prendiamo i biglietti?
A.P. Sulla techno ucraina sono preparatissimo! Ma aspetta. Ieri sera mi ero messo davanti alla tv in attesa che partisse la solita diretta fiume del Tg1 sulla guerra. Io la guerra la guardo sul Tg1 perché è bello in certi momenti nascondersi nella pancia del pubblico generalista: le nonne, i nipoti, Maggioni, Goracci, il tempo che scorre senza pubblicità, quella roba lì. Invece no. Non hanno mandato in onda Il Cantante Mascherato. Non hanno mandato in onda neppure la diretta fiume. Hanno mandato in onda una quarta replica di Montalbano. Ma come? Prima ci chiamate alle armi e poi sospendete i programmi come ai tempi dell’Unione Sovietica!? Ci sono rimasto male. Ho trovato nella cosa un messaggio anche sottile. Il messaggio è: sbrigatevi perché qui abbiamo da fare. C’abbiamo i magazzini pieni, c’è Lol, la Settimana della moda, l’Eurofestival, la fine dell’emergenza.
G.R. Però anche le dirette maratone fanno l’effetto replica delle guerre precedenti: bandiere della pace, Imagine di John Lennon, sms per la raccolta fondi, Molinari e Mieli, l’usato sicuro da tirar fuori nelle emergenze. Troppo facile tirare in ballo Don’t Look Up, il meteorite, DiCaprio e la retorica dell’informazione, in questi casi bisogna immergersi in profondità, cercare sul fondo le dissonanze. Ieri il mio amico Cristiano mi ha mostrato una stories di Rondodasosa, proprio lui, la star della drill di casa nostra, con tanto di tuta, risse e balaclava: fondo nero e hashtag Stop the war. Strano, no? Forse è finita l’era dei trio alla Liga Jova Pelù? Speriamo.
A.P. Che tempi. Io comunque per non sbagliare sento l’elettronica ucraina. Nicolaienko, Vladimir Gnatenko, Koloah, Igor Yalivec. La somma Valentina Goncharova, minimalista già al tempo dell’Urss.
Vabbè sì, 2 puntate di Lol 2, di straforo, le ho viste. La metafora era chiarissima: lo show nella casa chiusa che ha spaccato quando tutti eravamo chiusi in casa, adesso è un show da dentro il bunker, sotto i sotterranei, come un vecchio film di Kusturica. E poi è la reunion di Corrado Guzzanti. Cioè la reunion di lui con se stesso, con Quelo e il venditore di quadri, di noi con noi stessi di 25 anni fa. Come ridevamo. Non allegrissima come prospettiva, un po’ terminale, ma è la vita. Certo Amazon poteva rifargli uno spettacolo nuovo. Dici che lui non ce l’avrebbe fatta?
G.R. Più semplice rimontare i suoi vecchi spezzoni su youtube, trattarlo come un pezzo da campionare e metterci dei featuring di nuovi comici che gli rendono omaggio, a modo loro. L’altro giorno ho visto il documentario sulla Nuova Scuola Genovese, l’ha girato Yuri Della Casa, il figlio di Vittorio, nostro collega ai tempi della vecchia Mtv. Eh, sì, altro che boomer. Comunque il film racconta il filo rosso che unisce i nuovi rapper liguri, tipo Tedua e Izi, al cantautorato di De André e Gino Paoli, un’idea dell’artista working class lontana dal bling bling, dentro ai vicoli, coi camalli del porto. A un certo punto c’è il milanese Marracash che racconta di quando voleva campionare Mi sono innamorato di te di Tenco e la famiglia del cantautore non gli ha concesso i diritti. Perché? Perché nell’idea di Marra l’innamoramento era per il pusher: “Il giorno mi pento d’averti incontrata/La notte ti vengo a cercare”. Quindi, ripeto, fateci campionare il passato, non vogliamo remake putiniani della storia fuori tempo massimo. Che poi l’hai vista la collezione di Gucci X Adidas? Sembrano le divise olimpiche dell’URSS, Alessandro Michele le ha campionate e messe in passerella, che non è la stessa cosa di ripescare la vecchia tuta con le tre strisce presa a Porta Portese e appicicarci il logo Gucci. O è la stessa cosa, ma non importa.
A.P. Ah sì, ho visto anch’io la sfilata di Gucci Adidas. Nella notte, su twitter, tra il messaggio di un soldato al fronte e la corrispondenza di una smorfiosa influencer da un sotterraneo di Kiev. I trend topic erano: #russiaukraineconflict, #exquisiteGucci sponsorizzato e #Caicedo. Perché twitter è spietato, ci dice chi siamo veramente. Di Gucci mi sono concentrato sulla musica. Un Balanescu minore per cominciare, la colonna sonora di un vecchio film di Guido Chiesa. Ho detto vedi qualcosa da imparare dalla moda c’è ancora. Poi Fade to Grey dei Visage. Poi Smalltown Boy dei Bronski Beat, e in passerella quel vestito da sposa da lanciatrici di martello lesbiche del Mar d’Azov. Wow. Bronski Beat sparateli sotto le finestre di quel metallaro antico di Putin, forza dai che ce la facciamo.
G.R. Speriamo. Io mi tengo Sky Tg24 in loop muto e sopra ci metto di dischi di ambient ucraina che mi hai girato da Bancamp. Tipo questo, ottimo. Senti che pace.
A.P. Eh si. Ma ora ti lascio perché ho da fare. È arrivata la bolletta del gas, ho ritrovato il manuale delle giovani marmotte e sto imparando ad accendere il fuoco coi legnetti. Per il fine settimana dovrei farcela, ti faccio sapere.