Guelfi contro Ghibellini, fascisti contro comunisti, juventini contro interisti. Il Paese del manicheismo alla pummarola. Bastardo, infame, cornuto, t’ammazzo, ti brucio. E poi tutti a figa. Il Pel Paese. Pazienza se chi si dichiara fascista se ne fotte della patria e chi si dichiara comunista se ne fotte degli operai: sono colori da indossare allo stadio dei social network e poi ognuno se ne va a casa per una bella doccia calda. Ma nessuno se ne fotte del proprio conto in banca. Così, con la pandemia, sta emergendo un’inimicizia meno fasulla delle altre, perché ne va della spesa al supermercato dei due schieramenti: evasori fiscali contro mantenuti statali.
O meglio, queste sono le due ideologie della domenica di cui si accusano vicendevolmente da qualche giorno gli utenti di Facebook e Twitter – e da qualche decennio, un po’ sottovoce, gli utenti della Penisola. In realtà siamo tutti soltanto italiani. E cioè tiriamo a campare fino a domani, sfidiamo lo Stato a chi truffa per primo, ci arrangiamo con diffidenza in un universo straniero, lo chiudiamo fuori dalla porta e buttiamo la pasta. Siamo i guerriglieri più pantofolai della storia. Perché comunque la pensione della nonna, la casetta dello zio in montagna, quello mi conosce e mi fa lo sconto, quell’altro è amico mio.
Il clima sarebbe già da guerra civile, a leggere i commenti che rimbalzano in rete. Per fortuna ancora pochi hanno voglia di prendersi un pugno in faccia o una sprangata sul groppone. Siamo più a livello di bambini che usano i corpi cavi delle bic come cerbottane e rispondono “specchio riflesso!” alle offese. Il clima è da guerra infantile. C’è da chiedersi se i social acuiscano la tensione o se offrano uno sfogo virtuale alla violenza, che altrimenti si esprimerebbe per le strade con altra intensità – e altre conseguenze. Ai post l’ardua sentenza.
Di certo si tratta di due universi che non si capiscono. Né si parlano. Si offendono e basta. Una diffidenza antropologica, un odio atavico. Gli imprenditori e le partite Iva si sentono frustrati e considerano i dipendenti (in particolare statali) un’orda di pigri. I dipendenti (in particolare statali) si sentono sfruttati e considerano imprenditori e professionisti una banda di ladri. E più si accorcia la coperta più le due fazioni la tirano di qua e di là e in mezzo c’è Conte che è rimasto nudo.
Comunque a Roma c’è ancora il Papa e in fondo le accuse reciproche corrispondono a due dei sette peccati capitali. Evasori: Gola. Statali: Accidia. Da una parte, si crede, coca, mignotte, Briatore, nero, fatture false, conti in Svizzera, suv, fame di successo. Dall’altra, si crede, posto fisso à la Checco Zalone, colleghi che timbrano il cartellino al tuo posto, assegni d’invalidità farlocche, pani cunzati che ungono i documenti, tanto a fine mese m’arriva lo stipendio. Berlusconi contro Borboni. Ovviamente la realtà è molto più complessa di così, ma chi se ne frega della realtà quando siamo incazzati. Vogliamo un bersaglio a cui mirare: che sia netto, con i contorni ben visibili, tagliato con l’accetta.
È una guerra tra stereotipi. Gli stereotipi non esistono in natura, non sono la sesta specie di grandi primati: bonobo, scimpanzé, gorilla, bonobo, uomo e stereotipo. È bene ricordarselo, perché se davvero crediamo di uscire a menare le mani, di fronte non ci troveremo uno schemino, una fattura gonfiata o un pane cunzato, ma un grosso, incazzato e sofferente mammifero come noi.