Veronica Lucchesi: Come cambia la lingua e il suo utilizzo con la crescita personale, culturale, emotiva, dentro il tessuto sociale o nella sfera professionale, nelle stanze di casa, sopra un pulpito.
Nella bocca nel corso della vita: un dialetto per appartenere, un lessico forbito per emanciparsi, poi oggi, per me, un’avventura, una fantasia, come mi viene, dove mi porta, senza dimostrare niente, una mistura di quello che sono e che mi incuriosisce, di quello che scopro, un’anarchia!
Ci sono parole inventate per giocare, per fare l’amore, non cementificate, né statuarie, né macigni, ma mutevoli, accoglienti, non giudicanti bensì fantasiose.
Dario Mangiaracina: Avrei voluto parole che non mi aspettavo. Restare a bocca aperta senza potere dire nulla davanti allo sgomento o alla sorpresa, lo smarrimento o la meraviglia. Parole inaspettate sono quelle che ti cambiano la vita, sono accessi prioritari a luoghi e momenti che non conoscevamo. Cambiano i connotati di chi le dice, riempiono di luce o di lacrime gli occhi. Cambiano le rughe della faccia, le parole. Avresti una faccia diversa se non usassi le parole che usi. Ci provo a sorprendere le parole e a usarle. Ci provi a non essere usata dalle parole? Alle volte io me ne dimentico, io balbetto. Eppure lo sforzo per parlare dovrebbe essere sempre lo stesso, come la prima volta che Eva ha detto mamma.
VL: Sì, le parole sono un ponte. Ci avvicinano ad altre persone, ci allontanano da certe persone. Hanno un corpo, sinuoso, morbido, avvolgente. Sono simboli e gesti, sono musica.
Le parole sono innocenti.
Le parole sono solo parole.
Esse sono inconsapevoli di chi le usa, di chi se le mette in bocca, le mastica, le vomita, le sputa, le storpia e le ricostruisce o le accarezza, le sussurra con odio, le sussurra con passione ed erotismo.
Certe cose poi non si possono dire.
DM: Non possiamo dirci tutto.
VL: Sai, certe cose son difficili da spiegare e allora si dice poco o ci si gira intorno o si prova a spiegare per essere capiti, scusati, abbracciati, perdonati. Come un confessionale. Parole per difendersi, parole per farsi a pezzi, talvolta solo parole e mai azioni, altre volte gesti inconsulti senza una parola.
DM: Le parole sono ancora l’architettura delle nostre relazioni, lo scudo e le bandiere delle nostre battaglie, la ferita delle nostre sconfitte, l’arpione dei nostri desideri, l’ingresso gratuito dentro gli occhi dell’amicizia, l’appiglio di uno stomaco che precipita dentro l’abisso dello sconforto. Le parole sono importanti.
VL: [Ride]
DM: Le parole possono spostare una montagna, possono muovere un fiume di persone. Credo che le parole sorprendenti siano quelle giuste, oggi che le parole giuste non ci sorprendono, non ci muovono.
VL: Vocaboli veicoli spaziali per narrare il viaggio a chi non ha le ali.
DM: Le parole giuste sono come la casa vacanze dove abbiamo passato tutta l’infanzia e che poi ci ha stufato, è un bel posto dove andare, ma ci siamo già stati.
VL: Allora, certe volte, le parole sono finzione, una trappola, una promessa che non arriverà mai a toccare la realtà. Io se guardo la realtà in cui vivo, la natura che cammina muta intorno, vedo che è fatta di movimento: del silenzioso moto dei pianeti, delle centenarie piante e alberi che non dicono una parola eppure hanno ragione, dei pesci che attraversano il mare e che usano il suono solo al bisogno, percorrendo gli oceani su frequenze che sanno solo loro.
DM: Ci sono parole da non pronunciare? Ci sono parole che non abbiamo ancora pronunciato? C’erano parole bellissime che abbiamo smesso di pronunciare. Erano come colla, come un camino acceso, ci stringevamo tutti lì, erano come il pavimento che sussulta mentre tutti ci balliamo sopra. Ci sono parole che tutti sappiamo a memoria, ma pochi hanno il coraggio di dire. Non servono parole per amare, servono parole per farsi amare. Non servono parole per trovare, servono parole per farsi trovare. A cosa ci sono servite le parole?
VL: Per suonare bene insieme. Il linguaggio potrebbe non nascondere i sentimenti, ma spiegarli meglio, per unire il dentro col fuori, già palese nel corpo e nella voce che trema. Così ci sono parole immagini, che escono come pop-up dalla trama delle pagine scritte.
DM: Come le parole delle favole.
VL: Le parole che è bello ripetere. Per poter ritrovare mia nonna, per ricordarmi di qualcuno, per avere un pezzo di loro prima di lasciarli andare. Per scacciare le paure, per materializzare e chiamare le figure incomprensibili nella nostra testa, per descriverle e farci la pace, ridimensionarle, semmai mandarle via per sempre con un addio.
Le parole non hanno colpe. Non sono loro da condannare, magari da reinventare, da proteggere, da strappare dalla morsa di una bocca volgare.
Il linguaggio può essere molto semplice, per farsi capire, per comunicare.
Le belle parole le coltivano in tanti, è vero, a volte non sono sorprendenti, affatto, è possono fregare e rovinare, ferire e danneggiare.
Le parole belle sono l’arte e il mestiere delle poetesse e dei poeti: si possono copiare e prendere in prestito. Come sono importanti le parole buone e amorevoli.
Ma codeste mi paiono, invero, una casa e un rifugio per chi non vuole concludere il proprio viaggio, per chi continua a errare, a cercare un senso in tutti gli universi possibili.
Altre volte, invece, queste parole sono l’asilo di chi ha conosciuto profondamente questo mondo e ora possiede un modo per rispondere al perché della vita. Un po’ esce dal proprio sentiero per raccontarlo, poi vive per tramandarlo, e infine si batte per offrire un esempio, un’alternativa: una parola libera, mai più cattiva.