Da giocatore di lungo corso, posso affermare senza tema di smentita che i giochi da tavolo più belli sono quelli in cui è divertente anche assistere a una partita altrui senza giocare direttamente. Ce ne sono pochi così, capaci di restituirti un’esperienza tensiva e piacevole anche da semplice spettatore. Il Montezemolo fra i giochi di questo tipo è per me, senza dubbio, Letters from Whitechapel, zenith di Gabriele Mari (in collaborazione con Gianluca Santopietro), un veterano dei giochi a movimento nascosto, basti pensare a Mister X (lo spin off del classico Scotland Yard, molto più interessante dell’originale), nonché l’ormai introvabile Garibaldi.
Letters from Whitechapel è un gioco deduttivo, semi cooperativo, ovvero non si gioca tutti contro tutti ma tutti contro uno. È un gioco storicamente molto ambientato, che racconta gli omicidi compiuti nel 1888 da Jack lo Squartatore e ai disperati tentativi di Scotland Yard di catturarlo. E appunto i giocatori che interpretano i detective di Scotland Yard collaborano contro l’unico giocatore che guiderà Jack.
Al centro del tavolo una bellissima plancia rappresentante il quartiere di Whitechapel, nell’East End di Londra. Duecento locazioni diverse interconnesse da una fitta graticola di strade e viuzze. Per questi luoghi si muoverà, nell’ombra, Jack. Esiste quindi un reticolo parallelo di posti di blocco per cui si muoveranno gli investigatori.
Il gioco è diviso in quattro round, che rappresentano le quattro notti in cui Jack colpisce. Ogni notte uccide una sventurata e, dal luogo dell’omicidio, dovrà rientrare nel proprio covo per far finire il round. La posizione del covo sarà decisa da Jack a inizio partita e tenuta segreta. Anche i suoi movimenti saranno segreti, annoterà soltanto i luoghi in cui è passato (tutti numerati) sulla sua agenda.
Gli agenti di Scotland Yard, al contrario, si muoveranno allo scoperto, spostando le proprie pedine direttamente sulla plancia. Alla fine di ogni movimento potranno cercare tracce e formulare arresti. Nel primo caso ogni detective potrà elencare a Jack tutti i punti collegati alla propria posizione. Se Jack è passato di lì, ovvero se quel numero è presente in agenda, dovrà dichiararlo. Altrimenti gli agenti possono formulare un arresto in un esatto luogo direttamente collegato alla postazione di ogni detective. Se Jack si trova lì in quel momento, sarà catturato e Scotland Yard avrà vinto la partita.
Jack invece vince se riesce a tornare al covo tutte e quattro le notti. Per farlo potrà usare un numero limitato di corse in carrozza, che raddoppiano il movimento e gli fanno evitare le ronde, oppure potrà accedere a dei vicoli che lo faranno spuntare dall’altra parte dello stesso isolato, evitando di passare per le strade.
Letters from Whitechapel è uno dei giochi più belli nel suo genere, letteralmente un capolavoro di game design. Basato sulla deduzione e d’una tensione che si taglia col bisturi, molto diverso da giocare se si vestono i panni di Jack oppure dei detective. In quest’ultimo caso è un spaccacervello, tanto ambizioso quanto appagante, con una curva d’apprendimento molto ripida. Non si può giocare a caso o in leggerezza: Letters from Whitechapel è la cosa più lontana da un gioco da birra e pretzel. E, di contro, non si può nemmeno giocare di puro istinto, magari pretendendo di vincere la partita nelle prime due notti. Di solito la prima serve per iniziare a capire dove Jack ha il covo ed escludere metà della plancia, la seconda la riduce a un quarto. Nella terza notte, quando Jack colpisce in due luoghi distinti, si può chiudere la partita per Scotland Yard. O arrestando Jack, oppure organizzando un posto di blocco che gli impedisca di muoversi.
Il ruolo di Jack è invece diametralmente opposto, molto più tattico che strategico, fatto di bluff e lettura del pensiero degli avversari. Infatti i detective dovranno ragionare davanti a Jack. Un ruolo più arcade ma psicologicamente impegnativo.
Nel gioco sono inclusi, seppur opzionali, dei piccoli moduli che rendono la vita più facile a Scotland Yard o a Jack. Utili se nel gruppo di gioco a vincere sono sempre gli stessi giocatori, ma a parità di bravura delle controparti il gioco è perfettamente bilanciato senza aiuti.
Detto questo, seguire una partita di Letters From Whitechapel, da spettatore, è meglio del più tensivo dei gialli. Conoscere la posizione del covo di Jack e i suoi movimenti, girare liberamente per il tavolo, ascoltare i ragionamenti, le supposizioni, le elucubrazioni più articolate, essere testimoni del braccio di ferro psicologico tra Jack e Scotland Yard. Vedere Jack che fa la faccia sicura, ma è stretto fra due ronde, e però accorgersi che Scotland Yard non se ne rende conto, lo pensa da tutt’altra parte e muove gli agenti liberandogli la strada verso il covo. Be’, se giocare a Letters from Whitechapel è un’esperienza di grande intensità, vederlo giocare è meglio che limonare una bella fica. A me piaceva tanto Marina Graziani.