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Lewis Hamilton, la Ferrari, quel casco giallo: in Formula 1 c’è odore di santità

A poco più di un mese dall'inizio del campionato, gli occhi sono tutti su un nome, anzi due, e sull'avvenuta consacrazione del pilota britannico. Ma nelle retrovie sembra ancora esserci vita
Lewis Hamilton

Foto: Instagram

A poco più di un mese dall’inizio del nuovo campionato del mondo di Formula 1, l’attesa dei tifosi si è concentrata sull’arrivo di Lewis Hamilton in Ferrari. I suoi primi test sulla pista di Fiorano hanno attirato circa ventimila appassionati che si sono accalcati sull’ormai mitologico cavalcavia da cui è possibile intravedere alcuni tratti della pista.

 

Tuttavia, se Toto Wolff vedendo Hamilton vestito di rosso ha avuto un moto di gelosia e rimpianto (un pochino isterico) che nemmeno Chiara Ferragni, va anche detto che la principale novità vista fino a ora – a uso e consumo della tifoseria – è il casco di colore giallo del pilota inglese. Una sorta di lenta esposizione del sacrario che sta facendo assurgere Hamilton già verso la santità, con tutto il correlato di reliquie che nemmeno il botto procuratosi nei recenti test di Barcellona sembra aver sopito.

 

Certo si tratta della Ferrari, e si tratta anche del pilota più titolato di tutti i tempi. Suona però straniante vedere, nel contesto di uno sport che è fatto di alta tecnologia e abilità straordinarie, questo abbandonarsi a un cerimoniale tutto speranza e preghiera fatto di elementi simbolici – e varrebbero allora una cronaca antropologica di Claude Lévi-Strauss, o meglio ancora di Piero Camporesi.

 

Il casco su tutto, anche se poi ormai i piloti cambiano casco come noi cambiamo i calzini (e speriamo anche loro). La scusa è sempre quella degli speciali e dei sempre dovuti omaggi al tal circuito, al tal campione, al tal evento (stendiamo un velo pietoso per l’allestimento Ferrari di Monza 2024 dedicato alla fibra di carbonio, che ha sicuramente esaltato chiunque viva quotidianamente il mondo dei polimeri). E poi la nuova tuta, i guanti e le scarpe. Per il sottocasco invece, o come dicono i colti la balaclava, ancora stiamo aspettando che l’hype prenda vigore.

 

Nel frattempo per il 18 febbraio Stefano Domenicali, amministratore delegato di Formula One Group, ha previsto un mega evento a Londra in cui tutte le squadre presenteranno le loro monoposto per il 2025. L’evento organizzato per il settantacinquesimo campionato della serie (ormai tra i 50 e i 100 vanno bene tutte le cifre, un po’ come per il Giubileo) sarà organizzato dal gran cerimoniere Brian Burke. Stefano Domenicali, ormai nella parte di Mangiafuoco, ha espresso grande entusiasmo.

 

Forse meno lo esprimeranno i tifosi per una diretta streaming che si annuncia come un placebo rispetto all’attesa della prima gara. Nella migliore delle ipotesi, le squadre presenteranno solo una nuova livrea per il 2025. In pratica un mega evento per l’ennesimo casco giallo di Hamilton. Ma nonostante tutto sembri portare all’idea che il fenomeno Formula 1 sia sempre più un fenomeno da baraccone con annessi e connessi, burattini e burattinai, non va dimenticato l’aspetto tecnologico che alla fine tiene a galla l’interesse per qualcosa che non può che lasciare ogni volta a bocca aperta per livello della competizione, intelligenze in campo e capacità di trovare di volta in volta soluzioni inimmaginabili fino anche solo a poche settimane prima.

 

Se il prezzo per godersi tutto questo è una tonnellata di marketing e spuria comunicazione, ben vengano anche i video invernali del buon Carlo Vanzini. Del resto tra Vanzini e Vanzina il passo è breve, e il cinepanettone non è che un possibile attracco futuro per un telecronista che ormai è parte integrale di una total experience (come dicono quelli di mondo) che porta la Formula 1 in casa dei tifosi anche quando questi sono al bagno.

 

Così il 2025 si apre sotto il regno di Verstappen Quarto, che per quanto oscurato da Hamilton in rosso resta il pilota da battere, e soprattutto il pilota che vuole non solo battere, ma abbattere chiunque si ponga tra lui e il quinto titolo, a partire dal proprio compagno di squadra. Salutato il martoriato Sergio Perez, approda alla Red Bull il giovane neozelandese Liam Lawson, che ha dimostrato già nel 2024 carattere e una discreta tigna. Vedremo se basterà per lo meno a garantirgli un posto per tutto il 2025. Posto che al momento non è in discussione, ma non si sa mai dalle parti di una squadra che è a perenne rischio esplosione.

 

Lawson è parte di una schiera di esordienti e semi-esordienti che colorerà la griglia di partenza in questo campionato. Figura di punta quella di Andrea Kimi Antonelli, italiano, approdato in Mercedes per togliere ogni rimpianto al sorprendentemente sentimentale Toto Wolff. Antonelli è il primo italiano dai tempi di Riccardo Patrese a guidare un’auto competitiva e potenzialmente in lotta per il titolo, dovrà crescere e maturare e avrà bisogno dei giusti tempi, ma fino a oggi ha dimostrato velocità e soprattutto una maturità fuori dall’ordinario.

 

Il suo esordio in Mercedes a Monza l’anno scorso è stato segnato da un botto alla parabolica. Si è detto che era troppo inesperto, poi pochi giorni fa Hamilton a Barcellona ha ripetuto il danno, forse perché nel suo caso troppo esperto. Commenti facili a fronte di uno sport estremo e pericoloso, in cui quando ci si mette in gioco l’asticella può arrivare a livelli altissimi mettendo a rischio davvero tutto. Lo sa bene il decano dei piloti, il due volte campione del mondo Fernando Alonso, che a 43 anni è ormai più anziano dei suoi stessi ingegneri e insegue con l’Aston Martin se non il terzo titolo, almeno una vittoria che dia il senso di una seconda parte di carriera che nonostante le incertezze del mezzo tecnico lo vedono sempre protagonista per coraggio, qualità della guida e soprattutto una volontà di ferro. Uno che Samuel Beckett probabilmente non lo ha mai letto, ma ne ha capito al volo l’essenza: «Ho provato. Ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio».

 

E poi ci sono i Papaya Men, o forse sarebbe meglio dire i Papaya Children. La McLaren di gran lunga la migliore monoposto del 2024, vincitrice di un clamoroso titolo costruttori (grande merito al team manager Andrea Stella), è infatti anche quella che forse più di tutte ha sbagliato per ingenuità, giovinezza ed entusiasmo. Tutti motivi tra l’altro bellissimi per sbagliare, e che portano la squadra di Woking tra le più amate e motivate a rifarsi nel 2025, centrando un titolo piloti che da troppo tempo manca. Norris e Piastri i due piloti in lizza. Entrambi con qualità incredibili e però anche limiti sorprendenti.

 

Norris ha stupito più volte per distrazione, mentre Piastri ha accumulato troppe assenze con weekend di gara apatici e inconsistenti. Una maggiore costanza potrebbe davvero portare entrambi nell’alveo dei migliori piloti di Formula 1, ma è sempre l’ultimo millimetro il più difficile da conquistare. Chissà dunque se il duo McLaren avrà la forza e la misura per prendersi quel cicinin che li separa da gente come Verstappen, Hamilton o Alonso.

 

Tra le attese previste non mancano quelle dei tecnici e team manager, dall’arrivo di Serra in Ferrari come nuovo direttore tecnico a quello clamoroso e costoso di Adrian Newey in Aston Martin, che promette faville per il 2026. Mattia Binotto è invece chiamato a dare forma all’Audi 2026 partendo da una Sauber in disarmo. Le risorse non mancano, ma il lavoro si presume enorme e complicato, sarà una strada lunga ma non troppo, il tempo in Formula 1 corre più veloce delle stesse monoposto. E vedremo che sarà dell’Alpine, in teoria squadra Renault ma con un futuro previsto già con motore Mercedes. Il capo è Flavio Briatore, che con il solito cinismo e pelo sullo stomaco ha già messo il pepe a una squadra a rischio azzeramento, a partire dai piloti. Se il posto pare sicuro per Gasly, meno lo è per l’esordiente Jack Doohan, che si ritrova come terzo pilota in tutta l’Argentina al seguito di Franco Colapinto, forse solo momentaneamente in panchina.

 

Poco ci sarà da fare per Carlos Sainz a bordo di una Williams a forte rischio ultima fila, ma ogni gesto sarà utile per ricordare il suo valore: sia a chi lo vuole, sia a chi non lo ha più voluto. La tempra in famiglia non manca e tanto meno a Carlos Jr.

 

Altri piloti o squadre si sveleranno durante l’anno, come sempre accade, sorprendendo o deludendo. Mancherebbe giusto all’appello Charles Leclerc, al momento messo sottotraccia da Hamilton e dal suo casco giallo. Le qualità non gli mancano e non gli sono mai mancate, forse avrebbe bisogno di un po’ più di resistenza agli eventi e alle delusioni che lo hanno sempre fortemente attraversato, è anche il suo bello, ma è forse anche il suo limite. Why resist? È lo slogan del suo gelato LEC (…), le risposte sono molte: innanzitutto resistere perché vincere con la Ferrari non è cosa banale, ma che anzi richiede cura, attenzione e un senso del rischio per comuni mortali totalmente inimmaginabile. E poi perché battere Hamilton non è roba di tutti i giorni. E infine perché sarebbe anche ora, per la squadra, per i tifosi, ma soprattutto per un ragazzo di ventisette anni che ha dato tutto per questo sogno e che ha ricevuto in cambio certamente molto, anzi moltissimo, ma anche una solitudine esistenziale durissima da combattere con o senza la visiera abbassata.

 

Un aspetto comune a molti, anche della sua generazione. Leclerc rappresenta il corpo esile di una gioventù abbandonata a sé stessa, anche negli agi, ma che potrebbe rivelare una resistenza inedita dando forma a una possibilità che se si avverasse sarebbe clamorosa e fortemente liberatoria. Per lui e per quelli come lui, che alla solitudine devono farci il callo, con o senza ricchi premi e cotillon.

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