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L’inimitabile purezza dei fumetti del Dr. Pira

Lo Sgargabonzi ricorda la prima volta sul sito internet di Fumetti della Gleba, dove si ride, ci si commuove, e si impara a riconoscere le brutte copie di uno stile adamantino
dottor pira

Instagram: @dottorpira

Installai internet a casa all’alba della sua diffusione di massa. Era il 1997, avevo in dotazione un Pentium assemblato e mi accingevo a finire il Liceo Classico con un voto molto basso, perché l’unica interrogazione in cui abbia mai preso un’insufficienza è stata proprio quella di italiano della Maturità (si pensi che mi chiesero addirittura il Guinizzelli! A me!). Detto questo, quando m’iscrissi a Psicologia c’era un test d’ingresso per 3.000 candidati. Se la prova fosse stata di cultura generale sarei stato fregato, perché l’unico argomento che so bene è l’incontro di Teano. Per fortuna era una serie di quiz di logica, tipo quoziente intellettivo. Avevamo tre ore di tempo. Una settimana dopo dettero i risultati: solo dieci candidati presero il massimo dei voti e fra quelli c’ero anch’io. Strano!!!

Ma non divaghiamo. Dicevamo: il discorso di internet. Quando aprii per la prima volta Netscape, i primi due siti che cercai su Altavista furono quello di Sanscemo, gloriosa manifestazione musicale milanese di Paolo Zunino, e quello dei Fumetti della Gleba, di cui avevo sentito parlare a Fumettopoli, un negozio di fumetti della mia città. Se ne parlava come d’una roba da carbonari, illuminati, lautari, forse addirittura ladri. Io ai tempi leggevo solo bonelliani e tascabili di Max Bunker. Come mi finiva in mano un manga o peggio ancora un fumetto di supereroi mi veniva da vomitare. E ancora doveva arrivare il maelstrom massimo: l’era dei graphic novel emozionali che devi dire che ti hanno rovistato dentro se no sei tu a essere sbagliato.

Quando mi si aprì il sito del dottor Pira, mi prese un colpo. Quelle storie lunghe una tavola sembravano scritte e disegnate da un extraterrestre con la missione di mimetizzarsi fra gli uomini. Il dottor Pira aveva in apparenza tutto il kit dell’essere umano, ma si capiva che c’era qualcosa che non andava: un difetto di lucidità, un lag di connessione, un’azotemia perennemente alta. Ancora prima dei disegni brutalisti da bambino, mi colpì il contenuto dei balloon. Frasi ostentatamente spigolose, che descrivevano pedissequamente le azioni compiute dai personaggi, un’allegria giocosa sempre fuori controllo, poi dettagli isterici (il suono del telefono che fa “DRIIIINS”).

Ai tempi avevo come provider questa tale ATS, che ogni dieci minuti di connessione costava quanto uno sfigmomanometro tutto fatto di torrone, quindi avevo gli orari contingentati dai miei. Ma fra una connessione e l’altra la mia testa tornava sempre su quelle storie, su quello stile. Credo fosse la proverbiale sindrome di Stendhal che ho provato successivamente solo con il primo album dei Baustelle e con il gioco da tavolo Hansa Teutonica. Mi addormentavo felice, fantasticando sulle storie che avevo appena letto e vivevo di dormiveglia dolcissimi, entusiasti, creativi, in cui come un palombaro esploravo gli anfratti di un mondo sommerso e sconosciuto. Del resto, l’universo dove prendevano vita quelle storie era governato dalla fantasia e dalla più sfrenata, succosa e goduriosa libertà, la logica era sovvertita e, allo stesso tempo, sapientemente zavorrata.

A me piaceva stare in quel mondo, Pira riusciva a suonare esattamente le mie tre corde, mi sembrava come se cercasse di picchettare l’Arcadia degli anni più spensierati, creando il diorama di un mondo dove era bello attardarsi. Le sue storie erano divertentissime, eppure mi trovavo commosso alle lacrime pure quando di commovente attorno non sembrava esserci nulla, se non (come fosse poco) la purezza adamantina con cui erano scritte. Mi piaceva come Pira non volesse conquistare nessuno, non strizzasse mai l’occhio, eppure il suo personalissimo mondo gettava un naturale gancio empatico, non tanto al lettore in generale (là fuori è pieno di stronzi), ma a un tipo di lettore che gli somigliava. Nemmeno te ne accorgevi, ma tempo due tavole lo percepivi come il tuo ideale miglior amico, uno che avresti dato via un braccio per avere la sua e-mail o chiacchierarci di notte su PowWow.

Negli anni, leggere le storie di Berutti e Marguati, Topo e Papero, Batma e Robi, il gatto Mondadory, il gatto Silvestre, l’invincibile robot Gabonzo, la Pattuglia Spaziale Iodosan e Sergio (sua opera più recente e per me il suo zenith) è e continua a essere qualcosa di disintossicante, che mi ha sempre messo in contatto con una parte ancestrale e misteriosa di me stesso. Quello che conferisce poi al dottor Pira una grande autorevolezza ai miei occhi è anche il fatto di non aver mai avuto bisogno di rifarsi a qualcosa che già esiste, né di tritare a dadini la contemporaneità con fare arguto, disilluso e al piacevole retrogusto di vetiver e neppure di raccontarci le sue depressioni, anche se negli anni ho avvertito che certe storie delle più divertenti germogliavano anche da momenti bui.

Il dottor Pira è stato, negli ultimi decenni, uno dei fumettisti più copiati in assoluto. E chi s’è avventurato a farlo per me ha sbagliato anche solo a pensare che si potesse. E penso che tanti di questi non ne abbiano colto granché lo spirito, riempiendo le loro tavole di trivialità alla moda per far sapere che scopano, di cinismo da meme e ammiccamenti unticci, con l’ansia di raccattare un pubblico e cercando costantemente la gag e la risata grassa. Ma imitare il dottor Pira è come imitare gli Squallor: semplicemente non è possibile per un fatto squisitamente genetico. O sei lui, o è meglio che vai a mangiare la pizza con i carciofini.

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