Alberto Piccinini: Io sono quasi certo che i confinati di Ventotene avessero intuito qualcosa. Saranno stati il carcere, il confino, le botte, la fame, i 15 anni di stenti. Per questo scrissero ai posteri cioè a noi di andarci piano con il nazionalismo e la proprietà privata. La proprietà privata soprattutto. Quella che adesso si legge nei meme funerei di Fratelli d’Italia «loro sono a favore», hai presente? Manca soltanto un «ciao povery», oppure: «la sinistra non fa ballare la fresca» tipo Filippo Champagne. E così tutto va in caciara, in teatro dei burattini, talk da tv privata di terza categoria, Telemare International: da Ilaria Salis annunciata lunedì al podcast di Fedez, a Maurizia Paradiso che ho beccato l’altro giorno alla Zanzara dopo anni di assenza dalle scene, pare. Intendiamoci, queste sono le cose serie. Il ritorno di Maurizia è una notizia per i vecchi studiosi del trash (penso di averne scritto sul manifesto quando ancora vendeva le videocassette la notte) e per i curiosi di sapere dove va veramente questo paese. Cruciani: «Tu oggi per chi voteresti?». Ti risparmio la suspence: «Riesumiamo il Duce! Oggi ci vorrebbe un altro Mussolini!», grida lei con la stessa voce di sempre. E poi: «Rivoglio il pisello!». Difatti, in un delirio anti-trans molto Elon Musk e molto alla moda dice di aver fatto appello alla «sentenza ipocrita» che anni fa ha certificato la sua transizione. Sarà. Aggiungo, così ci togliamo il dente, che siccome «Milano è piena di extracomunitari», lei il sindaco lo chiama Salah. Sarebbe una battuta. Ma la Zanzara non è un programma comico. Non è un figlio spurio di Alto gradimento – baluardo dell’antiautoritarismo sessantottino – e neppure Radio Parolaccia. Quando i ragazzi mi parlano della Zanzara io ho un sussulto di padre e di docente: è la versione pimpata del TG4, un programma di propaganda suprematista e razzista, la stessa roba con cui l’alt right americana e i podcast di Joe Rogan o Logan Paul hanno fatto vincere Trump. Cioè, questi coi freak stanno scrivendo il loro manifesto di Ventotene, e non ditemi che esagero.
Giovanni Robertini: Prima di scrivere il loro, tocca “asfaltare” l’altro, gran specialità della propaganda social: hai visto il meme della “Ventottenne”, la prosperosa Megan Fox, come bullismo freak (e un po’ incel, va da sé) a Ventotene? Siamo sempre nel turbo-bar sport che ci meritiamo, anzi nella Gintoneria come Zeitgeist. Per questo ho guardato con occhi diversi la nuova stagione della serie Sky Gangs of Milano (prima si chiamava Blocco 181, ma qualche ricerca di marketing avrà suggerito un re-branding): è un Gomorra del nord in cui – nella prima puntata – ci sono solo arabi maschi e chicas latinas, queste ultime costrette a intrattenere dei Lacerenza in una pretenzioso fac-simile del locale delle sciabolate. Ecco le ultime ruote del carro, rider di Glovo, di sesso e di cocaina, in guerra tra loro, inseguite dagli sbirri: si riconsoce in un paio di inquadature il Corvetto, il blocco del giovane Ramy morto dopo un inseguimento da serie tv, appunto. Mortacci. Le puntate di Gangs of Milano e le 30 tracce del nuovo disco di Playboi Carti ci dicono la stessa cosa: l’ossessione per soldi, donne e droga è l’unica dinamica di potere riconoscibile in un ambiente in cui coercizione e violenza decretano chi vince e chi perde. Non possiamo dire più di non averli visti arrivare.
A.P.: Gangs of Milano mi piace, belle facce, buona visualità, però succede poco e niente. La seconda puntata mi sono addormentato, confido nella terza che è già fuori. Ai tempi della prima serie avevamo ricordato Fame chimica di Bocola e Paolo Vari, che è ancora uno degli autori. E c’è aria di vecchia MTV. Ma soprattutto l’idea di raccontare Milano oggi senza doversi subire il pippotto di Tommaso Cerno, Vittorio Feltri o della leghista imbruttita Silvia Sardone in uno degli innumerevoli talk razzisti di Rete 4. L’altro pomeriggio avevano mandato un vecchio inviato del tg a indagare su non so quale moschea clandestina, e dopo il servizio l’hanno sbattuto in diretta da un marciapiede di via Padova. Capirai: quello a lamentarsi dell’invasione di musulmani assatanati e in giro non c’era nessuno, difatti a un certo punto hanno mandato due tizi del bar di fronte a dire che per carità non se ne può più eccetera. Una pena, guarda. È che abbiamo perso il polso degli eventi, e delle reazioni. Non sappiamo più quando si dovrebbe ridere di qualcosa e quando no. Ma io dico se non siamo d’accordo su questo allora è finita. Hai sentito mai parlare dell’effetto Poe? Citando il commento di un utente, un certo Poe, a proposito di una parodia delle tesi del suprematismo bianco, conclude che sui social è sempre più difficile capire se ti trovi di fronte a una parodia oppure alla cosa vera, in mancanza di segni espliciti, cioè se alla fine bisogna ridere oppure no. Ecco, scusa se salto di palo in frasca, ma ho letto un’intervista di Lucio Corsi nella quale a un domandina sulla politica lui risponde: «Sono cose mie private e non ne parlo nelle interviste». E insiste: «penso che nelle canzoni come dice Nick Cave si deve parlare nei termini dell’anima e non della politica», allora tremo. Va bene non rischiare l’ambiguità, ma se putacaso Lucio Corsi fosse di destra? Se fosse un mezzo fascio? Non mi fraintendere, non mi interessa la risposta. Mi interessa la domanda. Prova a fartela anche tu, è un esercizio mentale, io ci sto provando da stamattina.
G.R.: Certo il cantautore impegnato si fa riconoscere a botte di retorica, ma l’altro? L’ambiguità di Lucio Battisti e di Rino Gaetano? Il travestimento del glam come maschera politica? Lasciamo stare, come dicevi tu, interessa la domanda. Le risposte non contano, neanche quando il Ministro della Difesa Crosetto dice alla radio di aver lavorato da ragazzo in un cooperativa di musica indie che produceva concerti di Afterhours e Almamegretta, e di essere stato collega e amico di Cristiano Godano dei Marlene Kuntz. Dopo un timido clickbait degli indie sopravvissuti, cosa rimane del caso Crosetto-Marlene Kuntz? Muove qualcosa questa notizia talmente assurda da poterci fare esclamare, come un coro greco o meglio ancora un coro ultras, «e allora… QUESTO SPIEGA TUTTO»? E che quindi ovviamente, per fortuna, non spiega un cazzo.