Uno dei terrori massimi dei giocatori da tavolo è quello di non avere controllo sulla partita. L’alea viene spesso vista come un difetto invece che una caratteristica, e ci sono giochi bellissimi che vengono sovente equivocati. Da lì ansia, panico, attacchi di tachicardia cardiaca, dermatite fulminea e tutto il kit del giocatore da tavolo Kingdom Builder non avrebbe bisogno di nessuna premessa, e invece tocca farla. Il suo autore è Donald X. Vaccarino, il creatore del franchise Dominion, ovvero il più bel gioco di costruzione mazzo, a oggi per me imbattuto per eleganza e tensione. Un titolo giocato e amato in tutto il mondo, che inanella un’espansione ogni anno e che in Italia è fermo a quella Secoli Bui (tiratina d’orecchie a Giochi Uniti).
In Kingdom Builder la fortuna non è un ingrediente del tutto, ma il vero motore, chiave e senso del gioco. La sfida infatti è subirla il meno possibile e, al contrario, riuscire a ghermirla onde usarla a nostro vantaggio. Nel gioco abbiamo una plancia componibile che rappresenta un terreno composto da quattrocento esagoni, divisi in sette diversi tipi di territorio, solo cinque dei quali colonizzabili (non i mari e non le montagne). Ogni giocatore ha in dotazione quaranta casette per creare il proprio regno.
La meccanica di gioco è semplicissima, al limite della banalità. Prima della partita vengono estratte da un mazzetto tre carte punteggio, che ci diranno secondo quali regole verranno calcolati i punti alla fine. Per esempio: un punto ogni due casette nel proprio gruppo più popoloso, un punto per ogni casa adiacente al mare, quattro punti per ogni città che riusciamo a collegare l’una all’altra, un punto per ogni gruppo e via discorrendo. Durante il proprio turno, il giocatore pescherà una carta rappresentante uno dei cinque tipi di terreno colonizzabile e dovrà posizionare tre delle proprie case in tre differenti esagoni. Ma l’aurea regola è: quando possibile, saremo obbligati a posizionare ogni casa adiacente a una delle nostre già posizionata. E già lì il gamer trema. Ma perché tremi quando dovresti solo essere in fregola? Niente dà più soddisfazione che riuscire ad arginare il caos indeterministico, e quella è l’ambiziosa sfida del gioco. Quando la partita inizia sei spiazzato, confuso e preda di un attacco di agorafobia. Come affrontare la plancia conoscendo i tre tiranti della partita (le tre condizioni di punteggio)? Dove posizionare la prima casa (è lì che si gioca molto)?
C’è da dire che, posizionandosi adiacenti a determinati luoghi, acquisiremo delle tessere che ci daranno, da lì in poi, la possibilità di eseguire durante il proprio turno un’azione speciale per rompere le regole del gioco. Vaccarino è un maestro di varietà, quindi ce ne saranno delle più disparate, dal posizionare una quarta casa nel tipo di luogo della carta estratta, a spostare di due esagoni una casa già piazzata, a posizionarsi sul bordo della plancia. Questa varietà, così come le condizioni di punteggio e la plancia variabile, danno una grande variabilità al gioco, foriero di partite sempre molto diverse. Senza parlare di quattro espansioni uscite negli anni e una Big Box che contiene l’omnibus di Kingdom Builder.
Quando conobbi questo titolo non fu un colpo di fulmine. Oggi invece me lo porterei nella tomba e mi sono pure comprato la versione Deluxe con le tessere in bachelite. Non ce l’avevo con l’alea, anzi mi piace il caos managing di certi titoli, lo trovo molto tensivo e avvincente. Ma la semplicità della struttura del turno mi aveva fatto storcere il naso, come se Kingdom Builder fosse il downgrade di qualcosa di più grande e pensato per i giocatori assidui.
Un paio di anni fa quel gioco che avevo in mente è uscito, ed è Winter Kingdom. Che ha tutto quello che trovi in Kingdom Builder, più un’altra serie di meccaniche. Nel seguito di Kingdom Builder le azioni speciali non solo nelle locazioni in plancia, ma in una mano di carte. Se nel gioco originale sono di quattro tipi a partita, qua ogni giocatore riceverà cinque carte con due azioni speciali per carta. Per poterne disporre a ogni turno dovremo pagare quelle carte con delle monete. Queste ultime si fanno a determinate condizioni (c’è un nuovo mazzo di carte che le detta) e ciò rende il gioco ancora più variabile. Insomma niente di posticcio, ma tutto perfettamente integrato, sensato, con l’eleganza, la morbidezza e la sintesi che ti aspetti da Vaccarino. Eppure quel gioco non ha la perfezione ascetica di Kingdom Builder – facile da giocare ma difficile da giocare bene -, non crea lo stesso clima al tavolo, pur essendo molto più profondo, competitivo e strategico. Questo per dire che il gioco, pur essendo fatto di regole, numeri, leve e cremagliere, non è una scienza esatta, perché l’immateriale fattore-K del divertimento fa sempre la differenza e se ne frega anche della sezione aurea. Bellissima frase con cui chiudere una recensione che spero di poter vendere alla Montedison per qualche slogan del keyser.