Alberto Piccinini: La prima frase dell’album di Calcutta (oggi lo ascoltavo dalle 7 del mattino) che ti si è piantata in testa? A me questa: “Guerra persa / non ero mai finito a letto con una di destra / E mano per la mano mi dicevi: senti che tristezza”. Se ho capito bene è una canzone su un fugace amore che comincia in un autogrill toscano, e non va avanti a lungo. Come sempre uno degli ingredienti è proprio la parola che non ti aspetti: autogrill. Toscano mi fa venire in mente Renzi e i servizi segreti, ma questa è una perversione mia. Ok, Relax è il disco di Calcutta per i nostalgici di Calcutta, per i nostalgici in genere. È l’indie come comfort zone. L’evocazione dell’età d’oro della canzone italiana, Battisti, Concato, Dalla, la bella calligrafia, le giornate uggiose, il disimpegno, il piacere del fallimento. Ma abbiamo detto che non faremo recensioni, lasciamo tutto ai colleghi di Rolling. Calcutta è la plastica dimostrazione che la destra e la sinistra esistono e non sono la stessa cosa, un po’ come la svastica a Bologna. Nella vita c’è chi è Giambruno e c’è chi è Calcutta. Il maschio di destra è Giambruno, cioè Vannacci più Cruciani più il geometra Calboni. Il maschio di sinistra è Calcutta, fallimentare, inconcludente, maudit, rompicoglioni, ansioso, astioso, incapace di crescere, prendere responsabilità, politicamente corretto, scorretto, un disastro d’uomo, un padre meraviglioso, romantico, un deficiente completo, un disco ogni cinque anni. Come dice l’altra canzone? “Sembriamo tutti falliti”. Esattamente
Giovanni Robertini: “Se questo è il mondo forse lo rifiuto”, canta Calcutta nella sua canzone più filologicamente lisergica, SSD. E lo canticchio anche io sopra le mie nuove cuffie scontatissime ma con Active Noise Cancellation, perché il rumore me lo devo scegliere, almeno quello. Scrollo il telefono e vedo che si è già aperto il dibattito, bolla contro bolla: troppo disimpegno? Troppo Battisti? Troppa Coca Light e loneliness? Ti dico la mia. Al netto della stressante inutile giornata meme Meloni-Giambruno-pacco-threesome-pesca, l’uscita di Relax è un inno alla diserzione in stile Bifo, il Pleasure Activism pubblicato dai ragazzi di Not, le megattere femministe e consapevoli del libro Undrowned, insomma l’unico attivismo rimasto, che non mi sento di definire “de sinistra”, ma che è sicuramente più sinistra che destra, molto obliquo, un raggio laser che unisce Pigneto e Parioli, Nolo a Brera. Ci vuole impegno a disimpegnarsi, a chiamarsi fuori, non è così facile. Tocca studiare, e Calcutta l’ha fatto. Poi, come dici tu, nella vita c’è chi è Giambruno e c’è chi è Calcutta, e su questo anche l’estetica è importante. Il cantante ha sempre lo stesso taglio arruffato, sfatto, pure il cappelletto e la felpa sembrano quelle del disco precedente, credo Diadora o altro marchio medio. Giambruno è puro film dei Vanzina più Federico Fashion Style più primo anello rosso di San Siro. Non sono d’accordo con chi l’ha definito un maranza, che comunque una certa coolness ce l’hanno. E pure i maranza alla fine sono dei disertori: non stanno alle regole del gioco, almeno per ora.
AP: Cosa vuoi che dica? Mi spiace. Ti scrivo in un grigio pomeriggio di venerdì, fuori fa un caldo brodoso e per nulla rassicurante: ho letto le rivelazioni di Fabrizio Corona su un probabile amante di Giorgia, visto il trailer di Crozza già pronto per la mascherata di stasera (matte risate), attendo di capire con che faccia Cruciani e quell’altro genio di Nicola Porro si lamenteranno del politicamente corretto perché non si può più dire niente, nemmeno threesome (e neppure foursome, no). Ho capito che siamo precipitati in un vortice spaziotemporale del quale non vedo la fine. Che Fiorello e Antonio Ricci non sono televisione ma un braccio armato di un potere occulto capace di rincoglionire un Paese intero con la complicità dei social. Mi spiace perché coltivavo come tutti gli appassionati di schifezze televisive il mio personale culto di Giambruno, uno dei conduttori più impacciati di ogni tempo, un tanghero terrificante, vero uomo di destra, Vannacci della conduzione tv, degno erede della redazione carrozzone che fu di Emilio Fede («Franca… Jolanda», secondo l’immortale tormentone di Corrado Guzzanti). C’era bisogno dei fuori onda per saperlo? No davvero. Mi consolo pensando agli altri che restano in sella: Del Debbio, Porro, Giordano in forma smagliante (l’altra sera gridava «Allah akbar!» preparandosi alla guerra santa), e tutti i sacerdoti disagiati del rito del Retequattrismo. Ce n’è uno normale? Sono la cosa più estrema di questo disgraziato Paese, l’abbraccio mortale della tv generalista, il regalo di Silvio, muoia Sansone addio.
GR: Aggiungo un’altra nota karmica alla settimana, il ritorno dei Club Dogo con tanto di video annuncio ambientato in una Gotham City bosco-verticalizzata. L’hai visto? Con Santamaria e Beppe Sala che recitano le battute all’americana, con le pause giuste? Male, ma recitano, purché se ne parli. E se ne parla. È una grande operazione di rap marketing: Sala è il baffo Nike del brand Milano, al posto di Santamaria sarebbe stato meglio uno qualunque di Top Boy, ma questo è lo star system che abbiamo, tocca accontentarsi. E il rap è il brand dei brand, originale e contraffatto, pagato a caro prezzo o scippato in discoteca, per pochi, ma alla fine per tutti: il rap a Milano (e in Italia) è ovunque, dice Santamaria nel video, ha conquistato «la maggioranza degli italiani». Non a caso Berlusconi è stato per anni considerato dai Dogo un loro collega, è sempre stata una gara a chi swaggava e sbocciava di più. E il fatto che gli eredi del berlusconismo siano Sala e Giambruno non promette nulla di buono.