Non è da molto che ci siamo alzate dal letto, e a questo tavolo della cucina siamo in tre a fare colazione: io, mia figlia e l’altra mia figlia che ancora è nella pancia, ma scalcia dal terzo morso che ho dato alla fetta biscottata piena zeppa di marmellata d’albicocche. La televisione è accesa sul solito cartone, e per fortuna non ho niente intorno che possa riflettere la mia immagine che è diapositiva della decadenza cui può andare incontro un corpo durante la notte. Non ne ho prova, ma lo so: in questo momento ho i capelli arruffati, le occhiaie, il colorito pallido («Hai bisogno di cambiare aria»; «Ma mangi carne?»; «Prendi un po’ di sole»; «Ti ci vuole il ferro»: un classico), le labbra screpolate e ’sti brufoletti che neanche a quindici anni s’erano mai visti. E dicono che sono gli ormoni; che sono le notti insonne; che è la gravidanza: ma nessuno che dica mai chiaramente quanto stai un cesso (con tanto di pigiama messo pulito ieri sera, e or ora chiazzato col caffè all’altezza della pancia).
Nessuno tranne mia figlia, che mica si sogna di porre fine a questa diceria che recita che i bambini sono la bocca (sporca di nutella) della verità, se la verità è che sua madre ultimamente avrebbe bisogno del magic touch di Diego dalla Palma o della knowledge di Clio Zammatteo (aka ClioMakeUp). Così basta un innocente «Mamma, oggi ti trucchi io» in una mattina qualunque, per scoperchiare il vaso di Pandora e far uscire tutti i demoni di una che non solo non sa quale sia la differenza tra BB Cream e fondotinta, tra fard e cipria (annotare: la parola “primer” non ha niente a che fare con “Primark”); ma che soprattutto rientra appieno tra quelle che, vuoi per il lavoro da casa, vuoi per svogliatezza, vuoi per dimenticanza, sono finite per non truccarsi più (salvo preziose e sempre più rare occasioni, s’intende).
Eppure, anche per noialtre poco avvezze alla pratica la lezione è chiara: truccarsi fa bene ad anema e core (scusate, sono gli effetti di Mare fuori). Lo sapevamo già quando ci piazzavamo davanti allo specchio a cercare di fare la riga drittissima con l’eyeliner – ché ci sembrava fondamentale dovesse esserlo, per andare a sbavarci il trucco in discoteca in una serata infrasettimanale (sia precisato). E l’abbiamo sentito consigliare più volte dagli psicologi durante l’interminabile periodo di lockdown, quando la prospettiva di svaccarci sul divano (in pigiama) o di lavorare in smart-working (sempre in pigiama) ci metteva nell’ottica di chiudere per sempre la trousse e buttare l’eyeliner nella spazzatura, tanto era ormai cementificato nell’abbandono.
E questo potere benefico, ma che dico, salvifico, dell’abbellirsi nel bene e nel male (e bene nel male) con ombretto e lucidalabbra ce lo ricordano oggi le mum-to-be che aderiscono a colpi di reel all’hashtag (da più di 80 milioni di visualizzazioni su TikTok) del birthing makeup. In altri termini: quel trend che porta le gestanti in pieno travaglio a tirare fuori specchietto e sopracitata trousse per mettersi un po’ di sano blush (ché le contrazioni fanno impallidire non poco) e il mascara resistente all’acqua (si sa: le lacrime per la commozione ci sono sempre), ma solo quando il conto in banca non permette di chiamare in sala parto la truccatrice in persona (d’altronde, mica tutte abbiamo la liquidità di Heidi Montag di The Hills). E sacrosanta sia quella induzione, benedetto sia quel cesareo: fortunate occasioni per viversi in serenità la nascita del proprio bebè; ma soprattutto per programmare trucco e parrucco con il dovuto anticipo.
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Tutorial, consigli, video-esperienze: come ogni trend che si rispetti, anche quella del birthing makeup è una fucina di contenuti che pare essere inesauribile. Un po’ come le domande che viene da porsi, perché diciamolo: se per alcune di noi è già quasi assurdo pensare di truccarsi per portare i figli a scuola (e poi tornare a casa), figuriamoci come può venirci in mente di piazzare la matita per le sopracciglia e lo smalto nella valigia per l’ospedale. Proprio lì, tra i reggiseni per l’allattamento e le sexy mutandone postparto, tra le tutine di ciniglia e i body a manica corta di un bebè che, a quanto pare, quando aprirà gli occhi non vedrà a un palmo di naso; però vedrà benissimo la meravigliosa curvatura delle nostre ciglia finte. Insomma: questione di superficialità o incentivo a una maggiore self-confidence? E com’è possibile che così tante donne si preoccupino di vedersi (e sentirsi) belle, in un momento delicato e faticoso come il parto? E poi: è giusto? È sbagliato? In una sola parola: perché? Che ognuna tragga le proprie conclusioni.
Fatto sta che nell’epoca dei social gli altarini si scoprono presto, e così dalle cattedre della facoltà di Medicina dell’Università del South Carolina la prima risposta al nostro primo dubbio ci arriva dalla dottoressa Lauren Demosthenes, che afferma ad Allure che «molte persone vogliono guardare le foto [del parto] ed essere felici di come apparivano»; cosa che ai nostri microfoni (e più cinici) suona un po’ come la conferma che ci aspettavamo su quanto siamo in fondo dei narcisisti in preda a un delirio di condivisione social. Mentre poco dopo Liesel Teen, infermiera e fondatrice del sito di educazione alla nascita Mommy Labor Nurse, la mette su un altro piano dicendo che «truccarsi è un atto così semplice che può davvero aumentare la forza mentale e la fiducia di una persona durante le ore di travaglio»; della serie che, gira e rigira, lockdown o travaglio che sia, in fondo va sempre tutto a parare lì: nella psicologia. Fino a che quel «raderti le gambe o mettere il rossetto della tonalità che ti dona di più, fare qualsiasi cosa ti faccia sentire bella prima di partorire» – parole della truccatrice di Euphoria Donni Davy – diventa (ancora una volta) «atto di autoaffermazione»; nonché l’ennesimo esempio in cui una qualsiasi pratica social(e) ci viene venduta come qualcosa legata all’empowerment femminile.
Checché se ne dica, e in qualunque modo la si pensi, una cosa è certa: finché a noialtre miscredenti non verrà imposto di arrivare in sala parto con il nostro migliore mascara (dicevamo: waterproof), non sarà di certo il trend del birthing makeup a impedirci di presentarci all’appuntamento più importante della nostra vita con l’occhio da triglia e il pallore mortale. Anche perché, a pensarci bene, le più belle storie d’amore che mi vengono in mente sono iniziate tutte così: nella sfattezza. E sono proseguite nel racconto di due (o più) persone che si trovano allo stesso tavolo a sporcarsi pigiama e faccia di marmellata e nutella, mentre fanno arruffate colazione insieme.