Tutti tifiamo per un sogno. Tutti vogliamo che si realizzi qualcosa di magico, di imprevedibile, di improbabile o addirittura di impossibile. Quando una storia è bella da raccontare tutti tifiamo perché quella storia accada ed è per questo che tutti coloro che amano il motociclismo avrebbero voluto vedere trionfare Valentino Rossi durante il Gran Premio delle Americhe ad Austin. Tutti tifiamo per Vale. Tifiamo per un 40enne simpatico, trasparente, onesto nelle intenzioni che ci mette tutta la voglia, la grinta e la passione per lottare per la vittoria. Com’è successo nel calcio per l’ultimo periodo di attività di Francesco Totti e come continua a succedere nel tennis per Roger Federer.
Vogliamo le grandi storie, vogliamo goderci i grandi atleti, i grandi appassionati, quelli che, nonostante tutto, non mollano mai e ci provano e ci riprovano per rincorrere una meta che ogni anno si sposta un po’ più in là. E come per la doppietta di Totti in uno dei suoi ultimi derby della capitale, come per i set di Roger vinti sull’erba di Wimbledon, domenica tutti sognavamo di rivedere Valentino Rossi sul gradino più alto del podio perché dopo più di 20 anni di presenza continua nel motomondiale, nove titoli conquistati tra tutte le categorie e più di 6mila punti ottenuti nelle 383 gare a cui ha preso parte, Vale rappresenta la parte che amiamo dello sport: la passione genuina.
Anche questa stagione si è aperta con i commenti di chi, senza comprendere la persona, l’uomo, l’atleta, si chiedeva come mai quel vecchietto che aveva appena compiuto 40 anni non avesse ancora deciso di smettere, scendere dalla sella della sua Yamaha M1 e appendere casco e guanti ai chiodi. La risposta è arrivata subito in Qatar, ma per chi non fosse stato attento a coglierla, un secondo indizio è arrivato in Argentina – sorpasso all’ultima curva di Rossi su Dovizioso e conquista del secondo posto – e poi ad Austin, negli States, è arrivata la conferma. Rossi c’è, come gridava Guido Meda quando il Dottore stava stabilmente davanti a tutti e vinceva titoli a raffica, l’ultimo conquistato esattamente dieci anni fa.
Rossi c’è ancora oggi anche se non vince e magari non vincerà, perché non si abbatte quando la moto non è performante, perché a ogni stagione si presenta più in forma di quella precedente, perché anche se un giovane spagnolo che tifava per lui da piccolo (no, non sto parlando di Marquez, ma di Rins. Eh, sì, tutti tifano Vale) lo sorpassa e conquista la prima vittoria nella massima categoria del Motomondiale, lui non accampa scuse, non fa un passo indietro, non cerca attenuanti ma gli fa i complimenti, perché nonostante tutto lui è lì, a dare tutto per farci godere.
E lo so che i detrattori di Rossi non vedono l’ora di vederlo fallire, di vederlo rinunciare, ma alla fine, pensateci, tutti, in questo momento, vorremmo essere Valentino Rossi. L’ultimo giro a Austin è stato incredibile, forse magico. Rins davanti e Rossi che prova in tutti i modi a recuperare il distacco ma non ci riesce. Ci prova, a ogni curva, commettendo qualche errore, aggrappandosi a tutta l’esperienza e il talento di cui dispone mentre tutti noi avevamo il cuore che saliva di giri, come il motore della sua moto, e incrociavamo le dita sperando che quel sogno si potesse realizzare. In quel momento noi tutti eravamo Valentino Rossi. Noi siamo Valentino Rossi.