Giovanni Robertini: Che i manganelli già girassero nell’aria da un po’ s’era capito. Ma i reel delle botte della polizia a Siena e Firenze che da ieri viaggiano sui nostri social hanno acceso anche gli animi dei boomer più spenti. E ognuno ha la sua colonna sonora da appiccicare sopra a un post incazzato, come a ribadire – se ce ne fosse ancora bisogno dopo questo Sanremo – che la musica è politica, sia quando orienta l’opinione pubblica (vedi Ghali) sia quando è l’ipertesto delle news. Nella mia bolla stagionata c’è chi ha postato Contessa, chi i Chemical Brothers, chi i Clash, io avrei scelto la sempre attuale dopo 30 tondi anni Cani Sciolti dei Sangue Misto: «vivo un clima di tensione negativo/perciò non venirmi a dire che sono ostile e che non c’è un motivo»… «per darci addosso non serve che un pretesto/hanno la divisa il manganello e tutto il resto». Boomerismi a parte mi piace immaginare che questi liceali stretti nell’imbuto delle cariche ascoltino tutt’altro, chessò Kid Yugi o della techno rave anni Novanta come lo studente della Naba di cui mi raccontavi. Sarà una coincidenza, sarà l’astuzia e il vederci lungo del rapper navigato, Fabri Fibra ieri è uscito con una versione aggiornata di In Italia. Nell’originale del 2008 Fibra parlava di stragi di stato e colpevoli mai scoperti (Nato e morto qua/nato nel paese delle mezze verità) mentre ora condivide le rime del pezzo con Baby Gang, l’unica CNN del ghetto in mezzo a tante Rete 4, che meglio di un editoriale rappa: «Fascisti e razzisti al comando, in Italia/ Ti accendi una canna puoi finire in una gabbia». Non ci sono manganelli perché, per il momento, la strada di Baby non si incrocia con quella dei cortei per la fine del genocidio in Palestina. Per il momento.
Alberto Piccinini: Grazie a un’intervista di RS Usa stavo ascoltando il nuovo album di Residente, rapper portoricano stagionato quanto noi e Fibra. C’è un pezzo Bajo los escombros dedicato ai palestinesi figli dei figli dei figli che combattono con «palo y con piedra contra los tanque». Potrebbe averlo scritto Joe Strummer, invece lui ha il feat. di una cantante palestinese Amal Murkus comunista femminista odiata da Hamas. Capisci? Si muove qualcosa di globale. Forse la Palestina potrebbe diventare il Sudafrica di questa generazione, in senso simbolico più che politico, la terra di chi non ha terra, dei seconda generazione senza cittadinanza, ma non voglio essere retorico, non mi piace. Forse lo stop al genocidio pronunciato da Ghali a Sanremo ha soltanto provocato uno smottamento politico-semantico di cui ancora non vediamo tutte le conseguenze. E di fronte a tutto questo, alla capacità dell’hip-hop di innescare processi culturali globali, dico che lo show di Netflix su nuovi rapper è più che ridicolo, è proprio cringe. Come abbia potuto accettare Geolier, che trovo adorabile, di fare l’imitazione di un Cannavacciuolo o di un Alessandro Borghese qualsiasi io non lo capisco davvero. L’unico vero rap show in Italia è quello di Rete4 quando porta le telecamere nei quartieri con gli spacciatori e quelli giustamente fanno scappare inviata e cameraman. Lo show, voglio dire, è proprio l’ultima inquadratura della telecamera che cade per terra. E poi in studio che facce, che tipi, l’incubo materializzato delle vecchiette che vanno a fare la spesa, 10 film dell’horror in uno. Mia mamma ti ha visto l’altra sera in onda, eh. Ha detto: ma quello non è…?
Giovanni Robertini: Ero io, mannaggia, e per fare il mio round comunque perdente nel ring televisivo mi sono perso il listening party di Kanye West. Tanto non mi avevano accreditato e cento euri non li avrei spesi. Non perché non fosse un concerto vero, anzi… sai che palle un live intero di Kanye? Meglio la performance baracconata a uso Instagram, e infatti è lì che lo ho visto, dalle stories che molti, quasi tutti over 30 in entrata e uscita dalla fashion week milanese. Un’installazione cilindrica, fumo, Kaye, Ty Dolla e gli altri sodali che ballano, sorta di versione Marvel del black power o supercazzola distopica, comunque spettacolo senza ironia, in stile vernissage di arte contemporanea. Per un attimo ho pensato che sotto quelle palandrane mascherati ci fossero Giovanni Lindo Ferretti e tutti i CCCP, i Kanye prime di Kanye. Trumpiano antisemita o punk islam? Con la curva dell’Inter o con Giorgia ad Atreju? Se Alessandro Michele qualche hanno fa era riuscito a vestire Gucci pure Ferretti per la rivista Dust, se Scanzi apre con un suo monologo i concerti berlinesi per la reunion del gruppo, se Kanye fa Kanye, come possiamo distinguere la critica di uno show biz sempre più vuota di contenuto dallo show biz stesso? Arrendiamoci, ma con stile, quindi scelgo Kanye. Poi vabbé, ma non stiamo parlando di musica, giusto?
Alberto Piccinini: Ah dici che Scanzi fa parte dello show quindi inutile lamentarsi? Mi sa che hai ragione. E Chiara Ferragni? Sai che dico? Mi fanno sorridere quelli che si lamentano perché il TG parla di Chiara Ferragni e non delle notizie davvero importanti. Ma più di tutti mi fanno sorridere quelli che ti spiegano che Chiara Ferragni è tutta una fiction. Mica si è separata veramente – dicono – deve salvare il marchio, farsi pubblicità per tirare avanti. Non ci vedo niente di male. Io mi spingerei a suggerirle una prossima mossa: trovati un nuovo fidanzato, il romance paga sempre. Una fidanzata? Emma? la bassista dei Måneskin? Una liaison segreta con Marco Travaglio? Tipo Cacciari e l’ex moglie di Berlusconi vent’anni fa, ricordi? Truman Show. Anche Truman Show, come genocidio, lo ha detto Ghali nella sua canzone. Perché lo ha fatto? Cosa succederà adesso? Non lo so. Erano vent’anni che non si parlava di un film che all’epoca sembrava chissà cosa ma era la scoperta dell’acqua calda. Il problema non è scappare dalla cupola temo, ma addestrarsi all’idea che la cupola non esista. Che la realtà è sempre molto più avanti del realismo grigio con il quale ci illudiamo di aver capito il mondo. Dall’intervista esclusiva al Corriere fatta a Chiara Ferragni da Candida Morvillo (che ho visto l’altra sera in un Porta a Porta allegro come una diretta della bara di Padre Pio), realizzata due giorni prima della notizia della separazione quindi inutile come un Pandoro a Pasqua, si capisce che Ferragni è come i poeti maledetti di inizio secolo. Sai quelli che provavano la sregolatezza dei sensi, hashish e oppio? Ecco, lei prova per noi la neurochimica del capitalismo delle piattaforme: odio, amore, like not like. Ma soprattutto il vasto continente nel quale realtà e finzione si intrecciano in una specie di continua performance artistica. Proprio come Kanye West. E come Andrea Scanzi, mannaggia.b