Ero a cena con una romana quando ha iniziato a circolare la breaking news, come dicono al Flaminio: Totti e Ilary si separano. (Qui lo dico e non lo ripeto: scrivo e scriverò sempre Totti e Ilary perché per tutti sono Totti e Ilary; se per altri invece è sessismo, me ne farò una ragione.)
Dunque la romana, che aveva portato i gin tonic, comincia ad agitarsi, e così faccio io, noi, i pochi presenti, e ci ritroviamo a sbocciare il gin giapponese non per festeggiare come previsto una bella notizia, ma per brindare alla fine di tutto. Perché se Totti e Ilary si lasciano, allora è davvero finito tutto.
Totti e Ilary i nostri Brangelina unici e soli, principi burini, stardom analogico e dunque ancora più imprendibile, anche se si son fatti prendere da tutti e tutto, ma sempre risparmiandosi, quasi negandosi pure nella loro regale generosità, o più probabilmente proprio grazie a quella.
«Conosco una che c’aveva il figlio in classe con Chanel, detta Sciani», dice sempre la romana, «e Totti andava a prenderla due giorni a settimana, e lei ogni volta era emozionatissima, ogni volta cercava una scusa per andare a parlarci e ogni volta poi non lo faceva», così per cinque anni. Totti e Ilary affratellatori di borghesia e plebe, vera royal couple, e questa è una cosa che poteva succedere solo a Roma. Ma Roma è il mondo, e il loro regno è diventato il nostro.
Una royal couple senza re e principessa consorte, c’è sempre stata vera parità anche prima che ce la insegnassero le storie di Instagram. Totti era il Capitano, sì, ma anche il barzellettaro, l’eterno pupo più che Pupone. E Ilary, la letterina per tutti diventata Cenerentola, in realtà era (parlo già al passato) la donna alfa, alfissima, lupa capitolina, Anna Magnani, queen a suo modo evanescente e mai salottara, e quella che – dal prime time trucido e dunque amatissimo del quinto canale – metteva a posto tutti i Corona del mondo: «Io quelli come te li sgamo da prima che iniziano a parlare», e mai scomunica fu più solenne.
Di Totti e Ilary abbiamo aspettato per anni il reality che non c’è mai stato, altro che Ferragnez, sarebbero stati i nostri Kardashian per davvero, e in epoca pre social, la gomma americana masticata al matrimonio all’Aracoeli, e gli eredi, e la momager Fiorella – ci resta la splendida Guerritore di Speravo de morì prima, l’incompresissima serie biopic che ha veramente trovato il tono più giusto per raccontarli: l’epica e la commedia all’italiana sempre intrecciate, il peana e lo sfottò.
Totti e Ilary come Ivano e Jessica, ma anche come Favola con Ambra, la rom com di borgata che poi, nel loro caso, s’è tradotta in un divismo quasi aristocratico: perché a Roma, si sa, contano ancora i nobili, e loro lo erano diventati. Totti e Ilary, ripeto, sarebbero stati il reality definitivo, il calcio e la tv, le colonne su cui è fondata davvero la nostra Repubblica, mica il lavoro.
C’è sempre tempo per un reality sulla (presunta, ma ormai già verissima) separazione, ma no, quello non lo vogliamo, questa favola non può andare a processo, non era scritto da nessuna parte. «La verità vera è che le coppie non durano», mi scrive un’altra amica affranta mentre giro il risotto. «Questa è peggio di Cassel e Bellucci», commenta un’altra (pure lei romana) su Instagram, «ma certo, mooolto peggio» è la replica nel whatsapp scrinsciottato e messo nelle storie. Tutti hanno qualcosa da dire, «lui avrà trovato una ventenne», «o forse lei», ci dev’essere giustamente parità anche nelle ipotesi, negli scenari mucciniani che ora ci si parano davanti.
Totti e Ilary erano il nostro Tre metri sopra il cielo, ora diventeranno, chissà, L’ultimo bacio, no: Ricordati di me. Dopo essere stati già tutto, Scola e Verdone, poema e farsa, Cinecittà e Cologno Monzese, Grande Fratello e Grande Fiction. Qualunque cosa accadrà, non pensiamoci adesso. Adesso un altro giro di gin tonic, fa già troppo male così.