Storia non ufficiale di Pompelmo Mussolini, eroe contemporaneo | Rolling Stone Italia
Conglomerandocene
Società

Storia non ufficiale di Pompelmo Mussolini, eroe contemporaneo

Lo Sgargabonzi ci racconta la storia di suo nonno, un pompelmo a mezz'aria

Storia non ufficiale di Pompelmo Mussolini, eroe contemporaneo

Mio nonno era un tipo molto particolare e questo per due motivi: il primo è che aveva gli occhiali, il secondo è che era un pompelmo a mezz’aria.

Vuoi per questa forma peculiare, vuoi per la crisi dei posti di lavoro, negli anni Trenta tentò la strada del modellismo. Cioè si propose come modello per le pubblicità dell’Esselunga, quelle che fanno i personaggi famosi con la frutta. E in effetti avrebbe dovuto essere lui il protagonista della campagna pubblicitaria della primavera ’39, nel ruolo di Pompelmo Mussolini. Solo che donna Rachele non era convinta e per questo venne trombato. Quindi si riciclò come maggiordomo dei Ciano e fu lui il cospiratore all’ombra dell’ingenuo Galeazzo, che fucilarono al suo posto.

In seguito fu deportato alla Risiera di San Sabba e lì conobbe Susina Deledda, altra modella trombata, e fra di loro nacque un amore. Si salvarono grazie ad un wafer molto particolare. Erano liberi e felici! Poi purtroppo si persero di vista, a causa di un wafer normale. C’è da dire che il nonno non dimenticò mai Susina, che rimase il suo unico e grande amore, ma questa è un’altra storia.

Ora, qui c’è un’accelerazione narrativa e senza rimpianti arriviamo ai giorni nostri. Ultimamente infatti, il nonno ci aveva destato qualche preoccupazione. Una volta, mentre lo aiutavo a farsi il bagno, mi aveva detto “toccami un po’ qui” senza pronunciare l’apostrofo.

Così io e il mio babbo gli abbiamo tenuto gli occhi addosso per giorni, per fargli tana e tacciarlo di demenza senile. Lui se ne era accorto, il furbino, così se ne stava in campana e non ne sbagliava una. Finché una sera davanti alla tv, mentre a Pentathlon chiedevano la capitale della Spagna, lui dal divano ha esclamato: “Madrid!”. Un minuto dopo eravamo già in macchina diretti alla casa di riposo Il Semolino. Il nonno stava seduto dietro e piangeva. O sudava. O faceva la pipì. Coi pompelmi si capisce sempre male.

Una volta arrivati alla casa di riposo il nonno non voleva scendere. Se ne stava lì, mogio mogio. Così ho provato a convincerlo con parole dolci e comprensive, ma senza risultato. Quindi ci ha provato il babbo con uno scioccastronzi elettrico da casinò: già meglio. Quando lo abbiamo accompagnato dentro l’ospizio, sulle prime sembrava non esserci nessuno. Abbiamo pensato che l’attività fosse stata dismessa. Stavamo per uscire, quando abbiamo notato un magma informe e nauseabondo che ricopriva il pavimento. Era come macedonia avariata buttata per terra. È stato lì che il nonno ha riconosciuto tanti modelli Esselunga che furono! Al Cacone, Fegatelli Ezio, Lebuste Dinailo. Erano carni in metastasi, frutta schiantata, polpe che si fondevano fra di loro, bucce rinsecchite, lische a casaccio e semi sparsi. Un melange di corpi in disfacimento da cui proveniva un’unica voce infernale, che diceva: “VIENI CON NOI…”.

Poi, accasciata in un angolo, mio nonno ha notato una presenza che gli ha fatto stringere il cuore. Ora pareva un dattero avvizzito e in disarmo, ma un giorno era stata la più bella fra le susine. Era lei, Susina Deledda. Anch’ella lo ha riconosciuto e gli ha sorriso. Mio nonno le è corso incontro e Susina, con le lacrime agli occhi, ha spalancato le braccia. Ma il pur debole spostamento d’aria provocato dalla corsa del nonno, è stato fatale per l’ultimo globulo rosso di Susina, il globulo Guarnacci, già ammalato di polmonite bilaterale. Il globulo Guarnacci ha starnutito un plasmide, poi è spirato. Susina ha perso i sensi. Mio nonno ha provato a rianimarla, ma il suo cuore è andato in asistolia e il decesso è stato notificato alle 12.44.

È stato uno shock terribile. Mio nonno è scoppiato a piangere. E a sudare. E a fare la pipì. Era come impazzito, si è messo a girare su se stesso, velocissimamente, poi si è fermato di colpo, si è sbucciato, si strappato uno spicchio e se lo è mangiato. Io e il babbo ci siamo guardati negli occhi e, mossi dalla pena, lo abbiamo riportato a casa.

Abbiamo poi cercato di tirarlo su di morale offrendogli una mentina, ma il nonno non si è ripreso più. Il suo sguardo era perso nel vuoto e quella sera è andato a letto prima del solito. La mattina dopo non s’alzava, così sono andato a controllare in camera sua e lui non c’era più. Pensavo fosse scappato a Jaffa, ma tutto mi si è fatto chiaro quando sul comodino ho trovato un sinistro spremiagrumi, colmo di spremuta di nonno. Accanto ad esso una lettera d’addio. E non potrò mai dimenticare la preziosa lezione di vita nelle ultime parole che mi ha lasciato: “W il quarzo!”.

Altre notizie su:  Conglomerandocene