Ti scatterò una foto (segnaletica) | Rolling Stone Italia
Strike a pose

Ti scatterò una foto (segnaletica)

Con il merchandising del suo mugshot, Trump ha guadagnato sette milioni di dollari. Prima Paris, e dopo Lindsay, ne hanno fatto un iconic moment delle loro carriere. Quella di Jane Fonda è diventata un simbolo della ribellione femminista anni ’70. Storia di un fenomeno che è un’iconografia dei tempi che sono (e che furono)

Ti scatterò una foto (segnaletica)

Una supporter di Trump sfoggia una t-shirt con la sua foto segnaletica

Foto: Gabriel Bouys/AFP via Getty Images

Il 5 maggio del 2007 il mondo si fermò. Per essere precisi, fu il mio mondo a fermarsi. Quel mondo fatto di reality show americani, Joan Rivers che commenta look (orrendi) di Vera Wang sul red carpet, cliniche di chirurgia plastica e spin-off delle Kardashian pre-botox, raccontato a ogni ora del giorno da E! Entertainment, si fermò dopo aver appreso che Paris Hilton avrebbe dovuto scontare quarantacinque giorni di carcere per essersi messa al volante in stato di ebbrezza. Fu una notizia choc, come si sarebbe detto in una Mediaset pre-Pier Silvio. Ma fu, soprattutto, un momento iconico (pardon) della cultura pop y2k, che avrebbe aggiunto un altro tassello all’inarrestabile ascesa di Paris (siamo negli anni della storica foto con Lindsay e Britney in macchina) e ci avrebbe consegnato uno dei simulacri hiltoniani più memorabili: la foto segnaletica del suo arresto.

Smokey eyes, labbra appena lucidate, capelli leggermente mossi e portati di lato, pelle perfetta, sguardo da soft girl prima che fosse un trend TikTok. L’immagine fa il giro del mondo (in epoca pre-Instagram), appare ovunque, sembra scattata da Tillmans, finisce su magliette, tazze, diventerà meme (molti) anni dopo. Sappiamo poi come va a finire: Paris sconterà solo ventitré giorni di reclusione (uscirà dal carcere indossando una deliziosa giacchettina verde Petro Zillia), ma è già entrata di diritto nell’iconografia dei mugshot di personaggi famosi.

 

 
 
 
 
 
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Breve spiegone di servizio: un mugshot (da “mug”, termine con cui si indicava “un brutto ceffo”, e “shot”, scatto) consiste in una coppia di immagini in cui la persona arrestata appare di fronte e di profilo. È un formato fotografico che abbiamo imparato a conoscere grazie ai film, ai Simpson (in una puntata strepitosa), ai mezzi di informazione (soprattutto quando appartiene a delle celebrity). Non nasce, però, negli Stati Uniti, ma nell’Ottocento in Francia da Alphonse Bertillon, antropologo e funzionario della prefettura di Parigi. Fu lui a formalizzare per primo la tipica coppia di foto di fronte e di profilo, accompagnata dalle informazioni necessarie a identificare la persona.

Fine dello spiegone, torniamo nei 2000. Come tutte le cose che Paris fa in quegli anni, ci sembra che accada per la prima volta. Mancano ancora sedici anni prima che Donald Trump venga incriminato e che la sua foto segnaletica diventi la prima, questa volta per davvero, che sia mai stata scattata a un ex presidente degli Stati Uniti (ci torneremo dopo). E però Paris, che avrà pure inventato il selfie insieme a Britney, non è la prima celeb ad apparire in un mughsot, ma si inserisce in una lunga tradizione di foto segnaletiche che, in qualche misura, hanno contribuito alla popolarità degli artisti immortalati.

È a tutti gli effetti un cultural moment. Un’immagine che più che essere una sbavatura, un incidente di percorso, diventa elemento simbolico, si fa portavoce di un messaggio, di una causa, di un’idea. Cristallizza una fase, finanche un momento storico, sembra rilanciarle, le carriere, più che affossarle. E già nella posa traduce un’intenzione, come racconta Nick Ede, esperto di cultura popolare: “Alcune delle più grandi star del mondo hanno avuto foto segnaletiche. Storicamente, ci sono stati due approcci alla foto. C’è la celebrity che opta per l’aspetto humble pie, cioè sguardo umile, mento verso il basso e sguardo consapevolmente imbarazzato davanti alla camera. Oppure c’è chi, come Justin Bieber, preferisce sorridere come se fosse un servizio fotografico o stesse scattando la copertina del suo prossimo album”.

 

 
 
 
 
 
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Un mugshot può diventare un atto politico, in anni in cui una vacanza a Ibiza è semplicemente una vacanza a Ibiza. Il 3 novembre del 1970 Jane Fonda viene arrestata per la prima volta. È da tempo una sorvegliata speciale di FBI e CIA per il suo attivismo anti-Vietnam. Ha i capelli tagliati corti, scuri, una frangia arruffata. Mentre le stanno scattando la foto, alza il pugno in segno di sfida. L’immagine sgranata e in bianco e nero che verrà diffusa dopo, plasmerà una generazione di donne attiviste. Kirsten Swinth, docente alla Fordham University e studiosa della storia delle donne americane, non ha dubbi sulla potenza visiva di questo scatto: “All’epoca, ci si aspettava che una donna si presentasse in pubblico completamente truccata, vestita in modo rispettabile, con una gonna, una cintura. La foto segnaletica di Jane Fonda invece dice alle donne: puoi essere qualcosa di diverso da quello che la società ti ha detto che devi essere”. Non solo, lo scatto lancerà anche una moda. La frangetta che sfoggia nel suo mugshot è la stessa che Fonda porterà sullo schermo nel thriller poliziesco Una squillo per l’ispettore Klute, e che diventerà un’acconciatura simbolo di quegli anni, il “taglio Klute” appunto, ancora oggi simbolo di forza femminile.

 

 
 
 
 
 
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Tra l’arresto di Jane Fonda e quello di Paris Hilton passano trentasette anni. Prima di loro, già attivisti come Rosa Parks e Martin Luther King sono stati arrestati e immortalati. Di mezzo, scorrono mugshot di attori come Hugh Grant, arrestato con l’accusa di atti osceni in luogo pubblico, Charlie Sheen, accusato di violenze domestiche, Robert Downey Jr., Matthew McConaughey, Keanu Reeves, Macaulay Culkin, Mel Gibson, Mickey Rourke.

Lindsay Lohan, amica-nemica di Paris, dal 2007 al 2013 ha collezionato ben sei foto segnaletiche. Praticamente una serigrafia di Andy Warhol. L’ultima in ordine di tempo è, come si direbbe oggi, un mood: lo sguardo in camera ci regala un mix di sfacciataggine, divertimento e sfrontatezza. È il suo personale sorriso enigmatico. L’anno scorso, la foto segnaletica di David Bowie, che fu incarcerato insieme a Iggy Pop per possesso di marijuana, è stata battuta all’asta per circa 4000 sterline. Nel video di American Boy, Kanye West indossa una spilla con la foto segnaletica di Michael Jackson. Cher si è trovata nel suo primo (e ultimo) mugshot già a tredici anni. Anche Bill Gates ha la sua foto segnaletica, in cui sfoggia una folta chioma bionda.

 

 
 
 
 
 
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Arriviamo al 2023. Il 24 agosto la contea di Fulton in Georgia rende pubblica la foto segnaletica di Donald Trump: sopracciglia aggrottate, la nuvola di capelli biondo arancio, lo sguardo dont-fuck-with-me a cui ci ha abituati. È un’immagine arcitrumpiana. Diventa una linea di merchandise di magliette, adesivi, tazze, poster, thermos, con uno slogan (“Never Surrender!“) che apre la strada alla sua seconda corsa alla Casa Bianca. Tutti concordano nel definirla l’immagine più storica della nostra epoca. Ma a nessuno, guardandola, verrebbe mai da dire: that’s hot!