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Ti senti più Jovanotti o Grignani?

Dialogo attorno a Sanremo: le due possibili vite dei boomer rappresentate all’Ariston e Dargen D'Amico che ricorda Francesco Salvi. Ma anche l'inno della Roma scritto da Måneskin, la voglia che manca di uscire di casa, il papa da Fazio

Foto: Marco Piraccini/Mondadori Portfolio via Getty Images

A.P. Come va? Qui a Roma è già primavera. Domenica erano tutti a pranzo fuori.

G.R. No, qui a Milano nebbia. Un freddo…

A.P. E sabato nemmeno ho visto la serata finale di Sanremo. Party in casa per l’uscita del libro della nostra amica Veronica Raimo, credo la prima festa da due anni a questa parte. Però tutti a ballare Dargen D’Amico, l’ultimo classicone dance-ironico sanremese nella scia di Francesco Salvi, Righeira, Beruschi, Pippo Franco.

G.R. L’hanno paragonato allo Stato Sociale, secondo me sbagliando. Non c’entra niente. Loro ci avrebbero messo dentro sicuramente un messaggio sull’ambiente o la pace nel mondo, ma Dargen è proprio l’assenza di messaggio. Un po’ come la Ferilli.

A.P. Giusto. Ma tu lo conosci? Non andavi nella stessa scuola?

G.R. Mah, lo si incrociava spesso in piazza Vetra. Con lui c’erano sempre Jake La Furia e Guè. Stavano dietro al liceo Manzoni (quello di Matteo Salvini e Michele Serra), da Wag, era il giro dei primi graffitari, dei rapper del Muretto. Per quanto lui adesso non c’entri più nulla col rap vecchia scuola. Si è messo a lavorare con Fedez, ha fatto la canzone per Sanremo. Durante il Festival leggevo su Facebook le pagelle che scriveva il suo ex compare Jake – altro che quei democristiani della sala stampa – e ti riporto qui il suo commento al pezzo di Dargen: «Once Were Rappers, ci insegna una grande lezione, ovvero che anche se sei un genio puoi fare una canzone di merda». Che poi il tormentone è buono, si cresce, si cambia, chi lo avrebbe mai detto che avrei visto Dargen abbracciare zia Mara a Domenica In. È successo, va bene così.

A.P. Del resto le due strade possibili nella vita di noi boomer le abbiamo viste chiaramente rappresentate sul palco dell’Ariston. Una è Jovanotti, l’altra Grignani. Da una parte l’ottimismo nonostante tutto, la famiglia, la bicicletta, le buone letture e la musica bella, la poesia di Mariangela Gualtieri, Che sarà di José Feliciano. Dall’altra il tunnel, e il rock’n’roll.

G.R. Giusto. Lascia stare Mahmood e Blanco, non ci riguardano. Dopo Sanremo è tempo di buoni propositi: bisogna scegliere. Che poi mi ricordo, Jovanotti li ha sempre invitati tutti ai loro concerti: Rkomi, Carl Brave, Charlie Charles, per circondarsi del nuovo…

A.P. Ma Jovanotti ha sempre avuto questa cosa di essere superato a sinistra da tutti, fin dai tempi delle posse. E però passo dopo passo è rimasto sempre lì, al centro.

G.R. Beh, Penso positivo e Ragazzo fortunato sono stati l’unica cosa vera sentita a Sanremo. Canzoni che hanno acquistato senso negli anni. Adesso c’è bisogno di leggerezza e che fai? Ti metti ad ascoltare La Rappresentante di Lista?

A.P. Ma va. La domanda è: sei più Jovanotti o sei più Grignani?

G.R. Come i test dell’Espresso! Oltretutto Grignani, mezzo Johnny Depp e mezzo Zucchero, secondo me era l’unico senza stylist. L’unico maschio che non si è prestato al gioco. Morandi e Ranieri sembravano molto più giovani di lui. Ho letto Lorenzo Tosa, star di Facebook, una specie di Selvaggia Lucarelli buono, hai presente? Uno che ha milioni di seguaci e fa dei post super moralisti. Cade il bambino nel pozzo, i nostri occhi, il nostro cuore, like, like. Su Grignani ha scritto una cosa lunghissima: ne parlava come se fosse morto. Dobbiamo farci carico di questa persona con dei problemi, la sofferenza… Ma fatti i cazzi tuoi.

A.P. Tutti a prenderlo in giro, poveraccio.

G.R. Io ho fatto un programma dieci anni fa con Grignani. Entro un po’ in confidenza, simpaticissimo. Siamo a pranzo alla mensa Rai e mi accorgo che c’è un signore che lo segue da quando è arrivato. L’ha accompagnato in macchina, è rimasto seduto fuori dallo studio. Gli chiedo: ma chi è l’autista che ti accompagna? E Grignani: è mio padre, guida lui perché mi hanno ritirato la patente. Che gli vuoi dire?

A.P. Nella vita bisogna imparare anche a essere perdenti definitivi.

G.R. Jovanotti invece è la resilienza. Ma ha avuto anche lui le sue sfighe. A proposito, hai presente il nostro amico Pietro? Lui è il sosia di Jovanotti.

A.P. Vero. È uguale.

G.R. Allora sabato ci organizziamo per vedere il derby nella nostra chat che si chiama Pazza Inter e lui scrive «non vengo». Ma come non vieni? Ci siamo tutti, terza dose fatta, dai… Risponde: «Io in questo preciso momento sono immune alle relazioni umane, non ho piacere di vedere nessuno, buona partita, niente di personale». Capito? Non riesce più a vedere le persone. Un po’ Grignani anche lui.

A.P. Eh. Inutile che dici ricominciamo, ripartiamo, andiamo tutti ai concerti, usciamo la sera, se poi non hai voglia. Si sta così bene a casa.

G.R. Ci siamo proprio disabituati. Ti dirò di più: ci accontentiamo di Dargen D’Amico e de La Rappresentante di Lista. Il 60% di share ha fatto Sanremo. Ci accontentiamo di ballare a casa. Perché far la fila in discoteca, al concerto? Io mi sparo Dargen e ci ballo sopra. Poi sì uscire forse, ma dopo, vediamo.

A.P. In fondo Dargen D’Amico è musica da camera. Ironica, riflessiva. Non è per uscire. E comunque dopo tanti anni di Sanremo ho capito una cosa: il quinto giorno le canzoni spariscono. È la teoria del contagio. Seguimi: il primo e il secondo giorno le canzoni fanno tutte schifo; il terzo giorno senti come dei tarli in testa, l’equivalente del gusto che sparisce; il quarto giorno scopri di saperle tutte a memoria ma c’è la serata delle cover, e la rota sale. Devi aspettare il quinto giorno per sentirle tutte, a questo punto con le lacrime e i brividi ogni volta che parte l’apertura sanremese. E la mattina della domenica puff, le canzoni sono sparite quasi tutte, come lacrime nella pioggia. Come il gol annullato di Zaniolo in Roma-Genoa.

G.R. Poveraccio, ho sofferto anch’io per lui. Ma poi cos’aveva sotto la maglietta, un reggiseno? Boh. Chissà chi è il suo stylist…

A.P. Davanti a Totti e a Damiano dei Måneskin in tribuna.

G.R. Il prossimo inno della Roma dovrebbero farlo i Måneskin.

A.P. Vero. E comunque un momento assoluto, di sesso e d’amore, cancellato dal Var.

G.R. Prendila da un altro punto di vista. Se potessi riavvolgere il nastro della vita non lo faresti? Io tornerei al primo giorno delle elezioni del presidente della Repubblica.

A.P. Ah, dici? Tu chiami il tuo Var e dici: ho fatto un errore, posso tornare indietro? E ricominci daccapo dal punto che vuoi.

G.R. Mi spaventa molto questo ottimismo di primavera. Arriva il Generale Figliuolo e dice che il virus arretra, normalità, riapriamo! Calma, fammi ancora vedere qualche stories di Salvini che fa la pizza, devo ascoltare il nuovo degli Animal Collective, c’è pure il Papa da Fazio.

A.P. Bel Papa, sì. Tempo fa ha detto che non guarda la tv dal 1990, per un fioretto. Beato lui. Pensiamoci su.

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