Rolling Stone Italia

Tutto per una bella figura

Meglio la fiamma della Guardia di Finanza o quella dello Spirito Santo? Storia di un importantissimo momento di rivalsa: la nuova puntata di 'Dal divano di velluto', la rubrica di Costantino Della Gherardesca su 'Rolling Stone'

“Ero al supermercato e sai chi incontro per caso? Cecilia Germogli, presidentessa di Sticazzi.com, e pensa che culo: avevo il mio nuovo cappotto di Marni ed erano appena passate due settimane dalla cheratina, quindi ero riuscita a scurirmi i capelli”.

A raccontare con orgoglio questo importante momento di rivalsa è Agata Colombo, quarantacinquenne milanese, etero per tradizione familiare. Nonostante sia sposata con Mattia, un veneto di ottima famiglia, il loro è un matrimonio di pura facciata: lui è omosessuale e i due non stanno neanche sotto lo stesso tetto. Pur di vivere in mezzo a più gay di quanti ne potrebbe localizzare un Navigatore della Gilda spaziale di Dune, Agata è domiciliata in 18 metri quadri a Porta Venezia. Il tutto, chiaramente, a spese del marito.

Le circostanze del suo incontro con la Germogli sono state davvero favorevoli e Agata sta provando una gioia tale che è sul punto di diventare credente. Per un attimo sul suo capino cheratinoso non aleggia la fiamma della Guardia di Finanza, ma quella dello Spirito Santo. Per un attimo, Agata è invasa da un’illusione di beatitudine, ma poi ci ripensa: il dolore dei tacchi le ha fatto dimenticare chi ha davanti.

Sì, perché vantarsi di non aver sfigurato in un incontro con la Germogli è una cosa che può fare con Serena, agente letteraria che per pagarsi lo studio a Isola deve mentire ogni mese a mamma e papà, gestori di due Acqua & Sapone nel beneventano. In questo momento, però, la fragile Agata non si trova davanti a una sua pari grado, ma a una creatura che si è sviluppata sulla crosta terrestre come una concrezione calcarea, ovvero grazie allo sgocciolamento secolare di rendite parassitarie piovute dall’alto (l’unica trickle-down economy possibile in Lombardia è quella che cola dai testamenti degli antenati e scende a valle verso gli iban degli eredi). Questa intimidatoria stalagmite classista ha un nome, un cognome e una quantità di millesimi condominiali in grado di innalzare il reddito medio dell’area metropolitana milanese di circa sette punti percentuali, falsando in positivo tutti i parametri di qualità della vita dei suoi depressi concittadini: Capucine Jomini, francese da parte di madre, italiana da parte di frode fiscale.

Capucine ha decine di proprietà immobiliari, ma si identifica come imprenditrice del settore culturale. Possiede, infatti, una casa editrice che pubblica fanzine contro le Nazioni Unite, lascito di uno zio materno che negli anni Settanta si era messo in testa di fare una cosa alla Guy Debord, ma profeticamente sovranista. Come se non bastasse, Capucine può vantare uno status symbol preistorico: un marito la cui eterosessualità è stata dimostrata sia sul campo sia in condizioni di laboratorio. Si chiama Freyr e Capucine l’ha conosciuto durante una battuta di caccia nei boschi svedesi. È stata una pura coincidenza: lei gli ha sparato, lui non ha sporto denuncia. Oltre a essere uno di quei maschi mitologici che ancora praticano sport estremi come le avance alla babysitter, Freyr ha anche dei bellissimi capelli.

Agata si è già pentita di aver aperto bocca e ora pensa a Capucine che, tornata a casa, racconterà tutto all’invidiato Freyr. Chissà come rideranno di lei. Nonostante venga invitata a tutte le cene, la nostra povera Agata sa che sulla sua tomba ci sarà scritto: “Non ha mai fatto bella figura”.

“Ero ai giardini, c’era anche Agata” dice Capucine, mentre insieme a Freyr riallinea i soprammobili nel bagno della figlia, ruotandoli in senso antiorario di sedici gradi circa. “Non prende metanfetamine, perché ha frequentato il San Carlo e… ovviamente non è che poteva essere felice.” Capucine scoppia a ridere e Freyr la segue, con la sua risata tuonante e virile, un pelo di fica dopo. I due si ricompongono con manieristica urgenza, come due corazzieri beccati a cazzeggiare da Oscar Luigi Scalfaro: non possono rischiare che la servitù, davanti alla quale mantengono sempre il ruolo di filantropi impeccabili, li senta sghignazzare come una coppia di demoni copulanti.

Capucine si guarda un orecchino allo specchio e ne approfitta per controllare le rughe attorno alle labbra: sono miracolosamente assenti da quando è stata a lezione da un ventriloquo di Las Vegas che le ha insegnato a parlare tenendo la bocca chiusa. Liberata dall’incubo di risvegliarsi col contorno labbra di Kirk Douglas, Capucine ha ritrovato il piacere della conversazione e continua a raccontare a Freyr la sua giornata particolare.

“Credo che Agata stesse avendo un episodio ipomaniacale. Mi ha detto che ha incrociato la Germogli al supermercato, apparentemente per caso.”

“Nessuno si incontra per caso” declama Freyr con saggezza sciamanica. “Agata stava stalkerando Cecilia.”

“Esaaatto…” conferma Capucine. “Fatto sta che era tutta esaltata, perché non aveva i soliti capelli schiariti dalle polveri sottili di chi come lei vive sotto il decimo piano. E meno male, come dicevo, che non aveva preso stimolanti: era talmente estasiata che le stava per esplodere il cranio come una vittima della telecinesi in Scanners.”

Mentre ruota un derma roller in modo che non brilli troppo sotto la luce dello specchio, Freyr lancia a Capucine un’occhiata complice come per dirle “non infierire”, ma la lascia proseguire nel racconto.

“Non solo aveva i capelli a posto, ma era anche vestita in stagione davanti a quella faina della Germogli, nonostante la maggior parte del budget prêt-à-porter di Agata vada a suo marito. Pensa se avessero avuto un’escalation di commenti passivo-aggressivi proprio lì, nella corsia dei sostitutivi del pane!”

“Capucine!” sbotta Freyr, pronto a illuminare sua moglie con la lucidità inguinale di un uomo cresciuto nelle foreste nordiche. “Sono due donne sposate con due froci: Agata con un veneto e Cecilia con un romano. Mai e poi mai quelle due si sfideranno in un supermercato. Il destino è già scritto: il loro scontro finale si svolgerà tra una settimana, al matrimonio di Samo e Tulla, a Cortina d’Ampezzo.”

Cecilia è appena arrivata a casa e sta nervosamente mettendo in ordine la spesa. Perché la Ceo di Sticazzi.com fa la spesa e la mette a posto di persona anziché lasciarlo fare al suo staff? Perché, come le signore parioline e i produttori televisivi, Cecilia è convinta che lo staff le faccia la cresta.

Mentre sviscera a unghiate gli inermi sacchetti in amido di mais dell’Esselunga, Cecilia racconta l’incontro con Agata a suo marito Ottaviano, un romano senza pedigree che, grazie a un fisico che ancora porta i segni del suo passato da istruttore di tennis, ha effettuato un’apprezzabile scalata sociale via matrimonio.

“Dovevi vederla, oh! Vestita bene nonostante non sia altro che la serva di suo marito…” sibila Cecilia. “Quel finocchio veneto la tiene sotto scacco! Se non fosse per quei due omofobi dei suoceri, Mattia l’avrebbe mollata da un pezzo. L’hanno accettata come nuora solo perché, per quanto sia una sfigata, almeno non è un uomo.”

Ottaviano annuisce e ostenta un sorriso, ma in realtà ha la morte nel cuore. Non può gioire per il dramma di Agata, perché i loro destini sono così simili: un uomo e una donna senza prospettive, strappati a una vita piccoloborghese grazie a matrimoni miracolosi. Matrimoni senza amore, certo, ma sempre meglio che essere single e spostarsi coi mezzi pubblici.

Tra l’altro, nonostante viva da refoulé per non essere depennato dal testamento di Cecilia, Ottaviano è gay. E anche lui, come tutti in città, uomini o donne che siano, ha perso la testa per Freyr. La sua opaca avvenenza da ex tennista ha permesso ad Ottaviano di avere qualche fugace contatto intimo con questo ambitissimo Odino metropolitano. Un po’ di innocente horseplay, piccoli giochi maneschi tra uomini, come l’estate scorsa, a bordo piscina: una goffa sessione di wrestling in cui Freyr si era lanciato senza alcuna malizia. Ottaviano, invece, non vedeva l’ora di ritrovarsi faccia a terra e culo all’aria, con lo scandinavo che gli cingeva i fianchi con un braccio, mentre con l’altro gli immobilizzava la nuca.

Nonostante sia pazzo per Freyer (e chi non lo è?), Ottaviano fa il possibile per dare a Cecilia quel che è di Cecilia. Ogni venerdì sera, facendo degli sforzi bestiali, Ottaviano se la scopa. Non solo perché sa che un divorzio lo sbatterebbe sotto un ponte, ma anche perché in questo modo tiene sotto controllo la castration anxiety che gli prende ogni volta che pensa a Cecilia.

Spietata come Isabelle Huppert, Cecilia è diventata qualcuno finanziando molti anni fa le attività di un gruppetto di hacker che, illudendosi di fare attivismo contro la Monsanto, stava inconsapevolmente facendo data mining su milioni di account privati e istituzionali sparsi tra Europa, Arabia Saudita, Emirati Arabi e San Francisco, rubando una tale mole di informazioni che al confronto Cambridge Analytica è una portinaia pettegola. Da questa miniera di informazioni, Cecilia estrae algoritmi che suggeriscono quale paio di scarpe comprare online, indicando tacchi di forma e altezza compatibili con l’Isee e la classificazione di personalità dell’acquirente in base all’indicatore Meyers-Briggs.

“Che donna inutile” sbotta Cecilia. “Sulla mia scrivania passa roba più importante di quella che passa dallo Stretto di Hormuz, mentre quella parassita lavora in un negozio di vasi da piume!”

“Calmati, amore” prova a rabbonirla Ottaviano. “Non ti arrabbiare… Se proprio non vuoi vederla, non andiamo al matrimonio a Cortina. C’è il rischio che ce li ritroviamo seduti a fianco in chiesa, lei e Mattia. Io ne faccio anche a meno…”

“Cosaaa? Ma tu sei scemo! Secondo te io non vado a uno dei matrimoni più importanti del secolo per fare un dispetto a quella stronza? Ma lo sai che giro d’affari ci sarà sul sagrato della Chiesa della Madonna della Difesa? Sarà praticamente il G8, con la differenza che c’è solo gente che conta!”

“Scusa, Ceci, non volevo mica…”

“Ma cosa vuoi te, vai va’. Va’ in sala a lucidare i tuoi vecchi trofei, tennista!”

Ottaviano, falso come la merda, reagisce improvvisando un sorriso abbastanza plausibile.

È passata una settimana e Cortina è il centro del mondo. Chiunque abbia accesso a dei codici nucleari è qui per il matrimonio di Tulla, una gallerista che a suon di croste tardoimpressioniste ha rilevato il debito pubblico di sette nazioni europee, e Samo, il più adorabile mercante d’armi a est dell’Eufrate. Dopo il solito struscio su corso Italia, gli invitati si sono sparpagliati per ammazzare il tempo in attesa della cerimonia. Qualcuno è al telefono, altri sono a fare la mani-pedi in una camera iperbarica (a quanto pare è l’unico modo per rallentare la ricrescita delle cuticole). Per uno strano scherzo del destino, le nostre tre coppie sono tutte nello stesso posto. Capucine, Cecilia e Agata sono tutte e tre dal parrucchiere per gli ultimi ritocchi prima di entrare in chiesa. Freyr, Mattia e Ottaviano sono fuori a fumare.

Non ci vuole una particolare sensibilità per accorgersi che Ottaviano e Mattia stanno sbavando per Freyr, reso ancora più irresistibile dalla sua indifferenza: quando è a contatto con la natura, lo scandinavo acquista una possanza totemica. Mattia è troppo timido e innamorato per interrompere Ottaviano, che sta facendo una corte serrata a Freyr, tormentandolo con un’infinita serie di consigli sulla voleé.

“Devi ruotare il braccio cooosì…” dice Ottaviano, e si sbraccia in modo da allontanare Mattia, facendogli cascare di bocca la Merit Blu ancora accesa.

“Ehi, attento!” fa Freyr stizzito. Scansa Ottaviano e si inchina per raccogliere la sigaretta. Il romano si sente morire: lui, una stella del Foro Italico, messo da parte per una molle checca veneta. Freyr sta per porgere la Merit a Mattia, ma questo momento di inatteso idillio è bruscamente interrotto dall’esplosione di un litigio del tutto prevedibile. Nel salone di bellezza, Agata e Cecilia se le stanno dicendo di tutti i colori, i tre parrucchieri terrorizzati sono andati a nascondersi dietro un divano, mentre Capucine – in mezzo alle due litiganti – cerca inutilmente di calmarle. Anche quando urla, la sua bocca resta inspiegabilmente chiusa.

“Pure il marito finocchio c’hai! Eh, Agata? Ma da quant’è che non ti fai una bella scopata?” grida Cecilia.

“Ah, perché vuoi dirmi che il tuo Panatta ti si fila? Lo sanno tutti che è innamorato di Freyr!” risponde Agata, ribadendo un concetto che non sorprende né scandalizza nessuno se non Cecilia, che dell’omosessualità del marito è una fervente negazionista. Anche i tre parrucchieri, che ora spiano la scena tra le foglie di un’enorme monstera deliciosa, annuiscono tra loro.

“Ma quando mai, serva barbona! Mio marito mi si scopa una volta a settimana! Né più né meno! Ci sentono fino al Monumentale!”

“Ma ragazze” interviene Capucine, “dove credete di essere? A Bologna negli anni Novanta? Vantarsi di scopare è una cosa di-sgu-sto-sa! Soprattutto sopra una certa fascia di reddito…”

“Sta’ zitta, tu!” la fulmina Agata. “Hai tutte le fortune! Che cazzo ne sai di cosa vuol dire darsi da fare?”

“Ah, perché tu invece ne sai qualcosa!” ribatte Cecilia. “Sei ostaggio di quel frocio di tuo marito! Neanche in casa ti tiene, t’ha messa in una cuccia a Porta Venezia! Conosco dei carlini più autonomi di te!”

“BASTAAA!” urla Ottaviano. “Fate silenzio una buona volta, cazzo!” La sagoma dell’uomo troneggia in controluce, incorniciata dall’ingresso del salone di bellezza.

Rispondendo a un atavico riflesso patriarcale, le tre donne si zittiscono di colpo.

“State qui a scannarvi e non vi siete neanche accorte che Freyr e Mattia sono andati via.”

“In che senso…” balbetta Capucine, schiudendo inavvertitamente le labbra. Non lo faceva da quando, sei anni prima, si era beccata una colica renale a Panarea.

“Nel senso che vi hanno mollate! Per sempre!” Ottaviano è perentorio. Forse perché non ne può più di ingoiare rospi, forse perché Freyr gli ha spezzato il cuore. “Sono fuggiti in rifugio a scopare. Contente?”

Il tono autoritario di Ottaviano risveglia un’emozione adolescenziale in Capucine, che di colpo lo trova magneticamente attraente. Accenna due passi per andargli incontro, ma sviene tra i bicipiti di Ottaviano, che le concede uno sguardo a metà tra il compassionevole e il rapito: avrà perso l’amore, ma ha trovato una nuova fonte di reddito.

Ormai senza un filo di voce, col trucco colato per la rabbia, Cecilia e Agata seguono con gli occhi la schiena di Ottaviano che, con in braccio l’esile Capucine, abbandona il salone di bellezza alla volta di chissà dove.

“E adesso?” chiede Agata, svuotata dalle urla.

Cecilia la guarda. Le due si scambiano un sorriso. Il loro primo vero sorriso da una decina d’anni a questa parte. “Io a casa da single non ci torno” fa Cecilia. “Cornuta va bene, ma single no.” Tira fuori il telefono e comincia a digitare metodicamente. Trenta secondi di silenzio e poi: “Dai, facciamoci sistemare i capelli… Fra un quarto d’ora dobbiamo essere in comune”.

“In comune? Perché?”

“Perché ci sposiamo, Agata.”

“Cosa? Io e te… sposate?”

“Perché? Hai un’alternativa migliore? Guarda qui…” e le mette lo smartphone sotto il naso. “Il tuo monolocale a Porta Venezia è già su Immobiliare.it. Mattia non ha perso tempo. Ora sei un cane senza padrone.”

“Ma… come facciamo… prima di sposarsi bisogna fare la pubblicazione in comune, servono i documenti…”

“I miei hacker hanno già fatto tutto” la tranquillizza Cecilia, che intanto fa cenno a due dei tre parrucchieri di rimettersi all’opera.

Agata vorrebbe aprire bocca, ma l’altra la zittisce poggiandole un dito sulle labbra.

“Te l’ho detto” taglia corto Cecilia, accarezzandole il mento. “Io non ci torno a Milano da single.”

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