Anni a sentire le interviste di calciatori ingessati che ripetono sempre le stesse frasi fatte nel dopopartita: «Ringrazio il mister, la squadra, i tifosi, bla bla…», poi arriva la Bobo Tv su Instagram e scoppia la bolgia. Per chi non lo sapesse, Christian Vieri si annoia tremendamente come tutti in quarantena e da qualche giorno ha preso il via a fare dirette con i suoi ex compagni di squadra. Fino a notte fonda.
Diciamoci la verità, fino ad oggi i calciatori hanno sempre avuto un ruolo ambivalente nella nostra società: due terzi del paese li venerano (troppo), altri due terzi li odiano perché ricchissimi (tutti quei soldi solo per calciare un pallone! Maddai!). Fanno quattro terzi e non torna ma va bene così. Su Instagram Vieri è fuori controllo. Capello tagliato dalla moglie, 106 kg di cui si vanta e si lamenta («mangio come un pazzo, fino alle cinque del pomeriggio, uno SPETTACOLO»), occhiali perché ormai non ci vede, risate sguaiate e molestia da spogliatoio con i compagni alternati a momenti di confessione totale. Un utente gli scrive: «Quanto hai sofferto dopo quel 5 maggio? (il giorno in cui l’Inter perse clamorosamente lo scudetto contro la Juve, per molti rubando, nda)». Lui si fa serio e risponde: «Diciotto anni». Un utente gli scrive: «Godo». Vieri lo blocca.
Interagisce davvero. Ogni tanto qualcuno scrive un commento e Bobo lo chiama. Rispondono in diretta, di fronte a 40mila spettatori, dei ragazzi timidi in appartamenti fuori sede che, parlando nei dialetti più improbabili, gli dicono timidamente: «Sei un grande». Perfetti sconosciuti, tifosi che lui continua ad abbracciare. «Il calciatore è il mestiere più bello del mondo, io ho goduto come un cane… SPETTACOLO. Facevi gol e partiva la bolgia. Io ho smesso perché ho bisogno degli ottantamila, senza non c’ho la motivazione, non potevo giocare in squadre minori».
E poi gli aneddoti.
11 ottobre 2003. Italia-Azerbaigian. Vieri viene sostituito e lancia una bottiglia a Trapattoni. L’immagine fa il giro del mondo. Pippo Inzaghi in lacrime dalle risate spiega: «Sapevo che avrebbe tolto me, così nell’intervallo gli ho detto una balla: “Mister, Bobo ha un problema agli adduttori… se si stira è un casino”, e lui ha tolto te!». E i due scoppiano a ridere.
Ancora. Gennaio 2006. Cassano arriva al Real Madrid e si presenta in conferenza stampa vestito tamarrissimo con un pellicciotto inguardabile. Un’immagine che fa il giro del mondo. Italiani mangiaspaghetti volgari! Il Cassano show in barese andrebbe mandato ogni giorno: «Bisogna avere i coglioni Bobo! Erano tutti incravattati a Madrid. Gli dissi: io sono così, mi avete preso, se mi volete sono così (fiero)». Poi, un attimo dopo (totalmente cazzone): «Ora a distanza se ci penso mi vergogno. Però tu Bobo hai veramente dei capelli che fanno cagare! Mi ricordi Malgioglio» e giù a ridere ancora. Cassano è epico, regala SOLO perle. «Hai sentito Inzaghi? Oh, Pippo se il calcio era senza porte poteva giocare a basket». Questa è criptica ma i due si spaccano di risate. Parla di sua moglie: «È più dura del marmo di Caracalla». La gaffe è talmente genuina che fa tenerezza.
Ancora aneddoti. Marcello Lippi da le casacche per la prima squadra all’Inter e lascia fuori il mitico Taribo West, che gli dice: «Mister, Dio mi ha detto che devo giocare» (Bobo lo racconta fregandosene totalmente del politically correct e imitando l’accento africano “da vucumprà”). Lippi gli fa: «Cazzo, pensa un po’… a me non m’ha detto niente!» e giù a ridere con Ronaldo che è grassissimo, dolcissimo e gentile, e ricorda che con Taribo ci aveva giocato per un’amichevole e lui era nella primavera dei ventenni, mentre il Fenomeno aveva solo quindici anni. «Poi arrivai a Milano e scoprii che avevamo la stessa età». In realtà pare che West di anni ne avesse quaranta ma sulla carta di identità taroccata ci fosse scritto ventotto. SPETTACOLO.
Nicola Ventola con la tavola da stiro dietro chiama travestito da Di Biagio (che oggi fa l’allenatore della Spal) e lo scimmiotta: «Sto a Spal, in piazza di Spal». Bobo: «Ma no, è la squadra che si chiama Spal, la città è Ferrara». E giù a ridere. Poi Di Biagio si incazza e chiama Ventola per fargli la partaccia. Ma Bobo lo giustifica: «Lo sai com’è Nicola… beve due bicchieri di vino e non capisce niente. Oggi m’ha mandato un messaggio in cui piangeva e mi diceva che sono il suo migliore amico. Gli ho detto: macchecazzodici sei ubriaco». E giù a ridere. Totti scrive: «Siete inguardabili!». Di Biagio: «Ti ricordi che nun sapevi manco stoppà la palla?». E tutti a sfottere Ventola (Inzaghi: «Ma che c’è stato anche lui in nazionale?»).
Sembra Amici Miei, c’è un cameratismo tutto maschile, aggressivo come alle scuole medie, un sentimento che spiega come mai tutti ma proprio tutti noi italiani ci stringiamo assieme nelle notti magiche inseguendo un gol. Non è solo il tricolore, è merito di questi ragazzi sgrammaticati, un po’ rozzi, maschilisti (Cassano che urla: «Ma che cazzo cresci i figli te? Ci pensa tua moglie, funziona così») in quel modo retrò e fascinoso del maschio italiano capofamiglia degli anni cinquanta che contava ancora qualcosa nella piramide sociale, mentre oggi è soffocato dal senso di colpa per guardare la partita. Se ami il calcio sei un rozzo. Max Pezzali cantava alla tipa snob che gli piaceva: “t’incazzi perché parlo sempre di calcio / dici che tra un po’ ti verrà il fegato marcio / Perché non ti parlo di tramonti lontani, e mangio la pizza solo con le mani”. Erano tempi in cui si poteva ancora dire.
La vita dei calciatori è la stessa della nostra, impegnati a non annoiarsi, a non ingrassare. «Dobbiamo stare attenti», dice Adani, «dobbiamo metterci taglie larghe e nessun vestito chiaro». Oppure a destreggiarsi tra le piccole dinamiche familiari. Totti tira in ballo il suo gatto. Bobo scoppia a ridere: «Ma che cazzo è un pipistrello?». E Il Pupone: «No, è un gatto senza pelo (un Canadian Sphynx). Io e mi moje ce stavamo pe’ lascià. Nun lo volevo er gatto. Ma tanto comannano loro. Un giorno l’ha portato in casa e ora lo amo».
Bobo su Instagram è un quasi cinquantenne che fa delle telefonate private in cui parla come si parla tra amici, senza filtri. Ogni tanto il dialogo si arena sulla tuttologia che fanno le persone al bar, con lo stesso tono, le stesse retoriche («speriamo che passa», «come stanno le bambine», «qui nessuno ci capisce nulla»), poi rientra in scena Bobone e diventa puro teatro.
Gianni Mura è stato il poeta dello scrivere di calcio e diceva sempre che amava il gesto tecnico, che rendeva il calcio speciale. È vero. Ed è vero anche che amiamo quello spirito libero, agonistico, senza filtri che si respira in ogni campetto da Bolzano a Messina. Quello spirito che ha insegnato a vivere a milioni di uomini, perché il campo non mente mai. Quello spirito che tutte le sere potete ritrovare sull’Instagram di Vieri. Con 50 mila persone collegate all’unisono. Come allo stadio. E al posto dei gol ci sono gli aneddoti. Roba buona, solo per intenditori. Godiamoci questo dono finché dura, e a ripresa di campionato diamo un programma tv a quest’uomo in cui fa tutto quello che gli pare. SPETTACOLO.