Poco prima dell’Undici Settembre, un giovane italiano decide di trasferirsi a New York per studiare e perché in quegli anni New York e gli Stati Uniti sono il centro del mondo – soprattutto per chi come lui viene da studi economici. Appena arrivato assisterà al crollo delle Torri Gemelle, all’inizio della narrazione sullo scontro di civiltà tra l’Occidente e il terrorismo islamico, alla “guerra al terrorismo” che porta gli USA a intervenire in Medio Oriente inseguendo Bin Laden e rovesciando i governi di Afghanistan prima e Iraq poi – senza riuscire, come i fatti di quest’estate in Afghanistan hanno dimostrato, a costruire un nuovo ordine alternativo.
È in mezzo a questo rilancio del caos globale che il giovane italiano trova la sua vocazione di giornalista e narratore. Deciderà allora di rimanere negli Stati Uniti a tempo indeterminato – superando i canonici tre anni che, si dice da quelle parti, fanno di un visitatore occasionale un abitante della Grande Mela. E seguendo da un punto di osservazione privilegiato il “nuovo secolo americano” che doveva aprirsi nelle intenzioni della classe dirigente statunitense dopo la guerra al terrorismo e il trionfo dell’americanismo.
C’è tutto questo nel nuovo libro di Francesco Semprini, Twenty. Il nuovo secolo americano: venti anni di guerra e pace nelle cronache di un giornalista italiano (Sign Books), che alterna i toni del memoir a quelli della cronaca giornalistica. C’è dentro tutta la carriera nel giornalismo di Semprini, dagli inizi umili in un’agenzia collegata al Sole 24 ore, all’ingresso un po’ casuale in quel mondo con il suo primo scoop, realizzato con astuzia e un po’ di fortuna: intercettare l’allora premier Silvio Berlusconi nella base militare di Andrews, in Maryland, dove era atterrato, diretto al G8, nel giorno della liberazione degli ostaggi italiani in Iraq. Al lavoro come cronista – oggi Semprini è corrispondente da New York per La Stampa – e reporter di guerra che “mostra, non dice”: in Afghanistan, in Iraq, in Libano.
Lo sguardo di Semprini sull’ultimo ventennio è privilegiato per diversi motivi. Il primo e più banale è che è quello di un giornalista, uno che i fatti li ha seguiti man mano che si dipanavano e che è stato anche suoi luoghi in cui avvenivano. Il secondo è geografico: Semprini questi 20 anni li ha vissuti proprio dal cuore dell’Impero, potente osservare da quella prospettiva sia gli anni in cui il dominio americano sul mondo era più marcato che mai sia gli anni in cui questo dominio ha cominciato sempre più a sgretolarsi.
E terzo: Semprini è per formazione un economista. All’inizio di tutto, oltre all’Undici Settembre, c’è la grande crisi economica del 2007-2009, il crack di Lehman Brothers, il panico sui mercati. I fenomeni politici strani e morbosi che osserviamo oggi, i vari Donald Trump e simili, vengono da lì. Per cui fa un certo effetto sentire l’autore raccontare di come, facendo il giornalista economico, fosse inciampato quasi per caso nei primi sviluppi di quella che sarebbe diventata la grande crisi.
I momenti migliori di Twenty sono però, per forza di cose, quelli che raccontano “dal campo” i vari conflitti che Semprini ha documentato nel corso della sua carriera. Per quanto l’Undici Settembre e la crisi finanziaria siano scolpite nella nostra memoria di occidentali, infatti, la storia del mondo negli ultimi 20 anni è prima di tutto una storia di guerre. Afghanistan, Iraq, primavere arabe, Libia, Siria: l’inizio del XXI secolo non ha il suo centro solo a New York ma anche nel mondo arabo. Non è solo il secolo americano, ma anche il secolo mediorientale. E non si capisce se non si prendono in considerazione entrambe queste prospettive, e il loro scontro.
Lo sguardo con cui Semprini racconta i conflitti in Medio Oriente torna a fissarsi, verso la fine del libro, sugli Stati Uniti. È il momento del gran finale del trumpismo, un elemento che è stato sempre presente in sottofondo nelle cronache del reporter di guerra e che finisce per portare qualcosa di simile a una guerra sul suolo americano: prima l’estate di fuoco del 2020, con l’uccisione di George Floyd e le proteste di Black Lives Matter – il più grande e radicale movimento di protesta della storia americana recente – e poi l’assalto trumpista al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Anche qui il racconto di Semprini è in prima persona, dalla prima linea.
Twenty è un libro denso come un saggio ma che si legge velocemente come un romanzo. È un libro che fotografa un periodo storico che oggi si è chiuso e che può essere un ottimo punto di partenza per cercare di spiegarlo a chi non lo ha vissuto e non lo conosce – perché riesce a essere al tempo stesso approfondito, dettagliato e avvincente. E non poteva uscire in un momento migliore: l’era Trump è appena finita, con Joe Biden gli Stati Uniti stanno cercando un periodo di stabilità in cui tirare il fiato, ma dietro questa stabilità rimangono nubi di una tempesta in arrivo – perché il Paese non è più egemone nel mondo, o almeno non più come prima, ed è molto difficile che possa accettare questa situazione.