Luca Locati Luciani possiede un archivio personale di circa 20mila libri e 40mila riviste, che percorrono più di un secolo di storia queer a partire dalla fine dell’800 fino agli anni 2000. “Poi c’è tutta la parte dei memorabilia, gli oggetti che venivano buttati via ma che invece sono importantissimi perché legati alla vita quotidiana. Questi oggetti sono quelli che preferisco, circa 50mila pezzi”, dice a Rolling Stone il collezionista di Carrara. A_queer_archive su Instagram rappresenta solo una piccola parte della collezione “nata da una passione personale, speriamo presto fruibile al pubblico in un vero archivio fisico”.
Le peregrinazioni di Locati Luciani per librerie d’antiquariato e mercatini lo rendono un interlocutore prezioso per capire la storia delle riviste queer. “Si chiamavano riviste omosessuali, il termine queer è arrivato dopo, con le fanzine negli anni ’80. C’è stato un periodo che va dalla fine dell’800 fino alla seconda metà degli anni ’60 in cui le riviste avevano un’ottica integrazionista e riformista. Non miravano a sovvertire la società ma volevano integrare le persone omosessuali nella società”.
Fino alla caduta della Repubblica di Weimar, nel 1933, le pubblicazioni erano diffuse soprattutto in Germania, Olanda e Francia, “dove c’era un movimento pre-omofilo che cercava di cancellare le leggi omotransfobiche”. In Italia il movimento pre-omofilo non è mai arrivato, con due eccezioni: “C’erano riviste un po’ dimenticate che si sono avvicinate a questo movimento. Come la rivista fondata da Aldo Mieli Rassegna di studi sessuali. Poi è arrivato il fascismo. La rivista non venne chiusa ma cambiò completamente registro e diventò fascista”.
L’archivio delle psicopatie sessuali invece è una rivista fondata nel 1896 da un medico napoletano chiamato Pasquale Penta. “Letta oggi sarebbe omotransfobica”, scherza Locati Luciani, “ma all’epoca non era una rivista di attivismo, voleva smontare i pregiudizi rispetto alle persone omosessuali e ermafrodite in ambito scientifico e antropologico. Havelock Ellis, pioniere nell’ambito del protoattivismo, pubblicò su questa rivista”.
Con il fascismo e il nazismo in Italia queste riviste cessarono le pubblicazioni. Nella Germania hitleriana, invece, venne cancellato uno dei momenti più floridi della storia queer durante la Repubblica di Weimar: “Migliaia di copie di riviste sono ormai introvabili”, spiega Locati Luciani. Si tornò a pubblicare dopo la fine della seconda guerra mondiale, con uno spirito scientifico-antropologico vicino alle riviste di inizio secolo. Unica eccezione la rivista Curiosa: “Nata nel 1946, durò pochissimo perché andò a processo per divulgazione di materiale pornografico. Si parlava di letteratura erotica e in particolare di libri omoerotici, anche oscurati sotto il fascismo”.
La chiusura di riviste come Sesso e libertà e Problemi sessuali negli anni ’50 non portò nel decennio successivo il seme del rinnovamento: “Gli anni ‘60 sono stati un periodo buio. In compenso Giò Staiano, che sarà poi Maria Gioacchina Staiano, nel 1970 su Men inaugurò Il salotto di Oscar W, una delle prime rubriche di lettere gay nata in Italia. Prima aveva collaborato con una rubrica La terza goccia, sulla rivista LSD“.
E per le donne? Gli anni ’70 abbozzano un nuovo corso anche per i movimenti lesbici. Locati Luciani ne passa in rassegna le principali pubblicazioni: “Nel 1974 uscì un numero speciale di Fuori! dedicato alle donne, la prima rivista lesbo-femminista italiana. Poi ne sarebbero nate altre, sempre in formato bollettino. C’erano rubriche anche su Quotidiano donna. Poi negli anni 80 nacque il collettivo CLI, con il suo bollettino che durò fino ai primi anni 2000. A inizio anni ‘90 viene fondata Towanda!, la prima rivista lesbica italiana registrata in tribunale”.
Esistere, essere visibili e protagonisti di una società nuova erano tra le rivendicazioni principali del movimento omosessuale italiano negli anni ’70. “Dalla fine degli anni ‘60 fino all’avvento dell’AIDS, in queste riviste si rifletteva uno spirito rivoluzionario e si parlava di sovversione della società”. Lo stesso spirito interpretato da Mariasilvia Spolato, attivista e prima donna lesbica a fare coming-out in Italia, in una manifestazione a Roma nel 1972: “Ho addobbato una pattumiera a pedale in modo da esprimere l’uscita delle lesbiche dal mondo capitalistico borghese, aprendola, col premere il pedale, si dice FUORI!”.
Fuori! è stata anche la casa di Mario Mieli, la personalità più controculturale del movimento omosessuale di quegli anni. Mieli si distaccò dalle posizioni vicine al partito Radicale, cui il movimento si federò sotto la spinta dell’altro fondatore Angelo Pezzana, per abbracciare le istanze meno politicizzate. In quegli anni dal collettivo torinese fuoriesce anche Lambda, che nel 1982 diventerà Babilonia, “la rivista gay più importante in assoluto”, aggiunge Locati Luciani.
Nel 1972 Spolato pubblicò uno dei testi fondamentali che fotografano quell’epoca di rivendicazioni e proteste. I movimenti di liberazione omosessuale, uscì per la prima volta a puntate su Fuori!, rivista dell’omonima prima associazione italiana che riuniva gay e lesbiche, e venne pubblicato dalla casa editrice Samonà e Savelli. Poco tempo dopo Spolato, che aveva perso il lavoro di insegnante a Milano a causa del suo coming-out, lasciò l’attivismo e fece perdere le sue tracce. La povertà e il rifiuto sociale la costrinsero a una vita senza fissa dimora, terminata nel 2018 nella casa di riposo Villa Armonia a Bolzano.
Un filo rosso collega gli anni’70 ai giorni nostri. Nel 2019 il lavoro di Spolato sulla rete di movimenti di rivendicazione per i diritti omosessuali è stato ri-pubblicato da Asterisco edizioni nella collana Eresie. Tra i testi recuperati e ristampati dalla casa editrice milanese c’è anche La traviata Norma, ovvero: vaffanculo… ebbene si!, opera prima per il teatro di Mario Mieli, parte del collettivo Nostra signora dei fiori. Le realtà editoriali queer e indipendenti italiane si moltiplicano e portano il racconto collettivo della comunità dalle rivendicazioni politiche alla costruzione di una memoria e una narrativa comune.
“Fioriscono in questi anni le proposte editoriali LGBITQ*: romanzi, fumetti, saggi. Lo stesso vale per le questioni femministe: si assiste ad una vera e propria primavera fatta di proposte sfaccettate – un po’ per tutti i gusti e le correnti. Anch’essa in fioritura, seppur con qualche difficoltà aggiunta e dovuta ai gruppi di estrema destra e ai loro ‘allarmi gender’, l’editoria per l’infanzia attenta alle narrazioni prive di stereotipi di genere, classe e razza”, spiega Laura Fontanella di Asterisco. Un altro tassello in questo senso è la collana, aperta nel 2013 dalla casa editrice Settenove, interamente dedicata ai bambini per la prevenzione delle discriminazioni di genere.
Queer gaze – Corpi, storie e generi della televisione arcobaleno, testo a più voci curato da Antonia Caruso, è l’ultima pubblicazione del collettivo Asterisco. La raccolta parte da una domanda fondamentale: cos’è lo sguardo queer? Può bastare avere un personaggio LGBTQI per poter definire una serie queer?. “Prima di parlare di sguardo queer devo specificare che non intendo il queer come una shortcut più figa per dire LGBTQI, ma ancora come qualcosa di sovversivo”, spiega a Rolling Stone Caruso. “Lo sguardo queer è lo sguardo che rompe sia la normatività hollywoodiana, fatta di amori etero e romantici, che quella LGBTQI dove c’è sono tutta una serie ormai di stereotipi, sia narrativi che visivi”. L’analisi si concentra soprattutto sull’audiovisivo e sulle serie tv, che hanno scoperto “una parte della soggettività minoritarie, diventate un target di mercato da esplorare”. Le prese di posizione di Netflix, apertamente a favore dei diritti LGBTQ+ e della loro visibilità, ha normalizzato i corpi e le soggettività, introducendo un modello “non molto sovversivo ma che ha portato una quantità di serie tv impensabili fino a 10 anni fa”.
Caruso, editrice, sceneggiatrice di fumetti e attivista trans/femminista, ha fondato nel 2020 Edizioni minoritarie insieme al fumettista Federico Pugliese. “È un progetto controculturale per cui usiamo gli strumenti a noi accessibili, cioè le autoproduzioni. Cerchiamo di dare strumenti ma anche di creare nuove storie, nuovi immaginari”, spiega l’editrice. Lo spirito della casa editrice è espresso a chiare lettere sul sito: “Cosa non pubblichiamo: romanzi, soprattutto il romanzo di formazione della tua vita. Poesie, soprattutto le tue poesie sull’amore e sull’autunno”.
Le prime conquiste politiche della comunità LGBTQI+ in Italia sono arrivate tardi: il 2016 è stato l’anno di massima visibilità per il movimento con l’istituzione delle unioni civili estese anche alle coppie omosessuali. Le rappresentazioni delle minoranze sessuali nell’editoria e nella tv (e purtroppo anche sui giornali con effetti disastrosi), hanno assunto un ruolo fondamentale per la comprensione di quel mondo. Oggi le riviste si sono spostate online, acquisendo più diffusione e contenuti variegati ma con alcune eccezioni cartacee – come Il Simposio, attiva dal 2014; La Falla, storica pubblicazione del centro Il Cassero di Bologna; Frute, rivista intersezionale dalla grafica interessante.
Le tematiche ora si estendono al femminismo, al transfemminismo e ai diritti delle persone transgender: “Nelle vecchie riviste si parlava principalmente di gay culture, ogni tanto si parlava di lesbiche e di persone transgender. Gli articoli uscivano ma non era la norma, ed erano articoli fatti da gay con terminologie non appropriate”, precisa Locati Luciani. A livello mainstream la comunicazione convenzionale mostra solo una parte della vita della comunità LGBTQ+ (coppie gay, famiglie arcobaleno, transgender in transizione) e non si sofferma sulle parole adatte a definirne i suoi contenuti, la cultura o le singole identità.
Da Instagram alle newsletter, le fonti che sfuggono al mainstream abbondano. Anche i festival di cinema e di cultura Queer sono diventati una vetrina urbana per capire la cultura e le soggettività minoritarie, sempre più sfumate e meno legate alla cultura gay tout court degli anni ’70. Palermo ospita ogni anno il Sicilia Queer filmfest, a Torino c’è il Lovers Film Festival, a Milano il festival MIX, Bologna ha sia l’imperdibile Gender Bender ma anche la rassegna di corti Ce l’ho corto nella sezione OFF del festival curata dalle ragazze di Inside Porn.
Riusciremo a non morire di cultura mainstream? Per Locati Luciani non c’è una risposta unica: “C’è una parte della stampa periodica che strizza l’occhio a un mercato più vasto. C’è un’altra parte invece che affronta alcune tematiche che al pubblico mainstream non interesserebbe come questioni filosofiche e storiche o delle modifiche alla lingua italiana. Si parla di più di questioni asessuali, trans e intersex anche con una presa di parola diretta. Questo passaggio è importantissimo”.
Per Caruso la riflessione si concentra sull’idea di comunità unita, che “è un mito e un ossimoro che piace tanto perché di fatto è un’immagine inoffensiva ed è la parte più mainstream, che è quella legata anche a un immaginario più patinata, più legata alla cultura gay maschile”. Ma l’anima controculturale mette in discussione i nuovi paradigmi, in particolare la cultura patriarcale e l’idea di monogamia: “Per fortuna esiste ancora una parte controculturale e che vuole rimettere in questione sia l’idea che si debba essere per forza etero, cis (cioè, in breve, non trans) e seguire una condotta monogama sia verso quella parte più mainstream della popolazione LGBTQI”.
Tutte le foto per gentile concessione di di Luca Locati Luciani. Grazie all’archivio Wikipink, fonte preziosa di fact-checking.