Morgan, nel vuoto, annaspa: cerca appigli, afferra quel che ha sotto tiro. Cappelli, persone, sigarette, strumenti. E idee. Nel senso platonico di forme. Le produce con le parole come per saturare il silenzio. Se la musica è la sua arma nella lotta col diavolo, quando non suona gli lancia contro i cocci di un mondo in frantumi. La capigliatura di Mina in Le mille bolle blu, esorcisti ciechi da un occhio, tabarri, filosofi cani, cavalli che non sudano, monopattini, fantasmi alieni. Accumula il suo universo davanti ai tuoi occhi, pezzo per pezzo, con raffiche di voce graffiata.
Mentre chi non ha idee cura l’horror vacui così come gli è stato insegnato: coi soldi. Ecco gli androidi, ingranaggi di una burocrazia che è Satana al tempo dell’F24. Ecco i cattivi. Morgan, presto in uscita con il libro La canzone perfetta (per la Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi) e con il singolo inedito L’anarchico corrotto (per la sua nuova etichetta Morganbase), non lo è, cattivo, così ripete: lui non è il Joker. Se per i detrattori è uno spirito dissoluto che si rispecchia in se stesso, Morgan vuol essere lo Spirito Assoluto che si rispecchia in Se Stesso. Lui cerca soltanto pienezza. Per evitare che il vuoto si insinui nelle fessure tra domande e risposte, e per fedeltà al suo modus saturandi, qui di seguito un monologo ragionevolmente tratto da una giornata con Marco Castoldi, un flusso di sofferenza e competenza in tre sezioni da sonata.
Esposizione
Io non sono il Joker. Non voglio mi fotografiate con la faccia bianca di un morto, odio lutti e teschi. Dove siamo, qui? A Pregnana Milanese? Perché non fotografate queste strade desolate? Sembra Un tranquillo weekend di paura. Ci sarà gente con un occhio tra le scapole in fondo a quel vicolo: andate là! Però il ragazzino di quel film, con il banjo, era bravo: do, do diesis, mi bemolle, do, do diesis, si bemolle, do, sol diesis, si bemolle.
Io non sono un cattivo, io non odio mia madre, io non ammazzo nessuno, io non brucio i soldi. Io faccio musica. Con questa storia del Joker, poi la gente che scambia i social per veri è capace di fermarmi per strada: “Perché hai bruciato i soldi?”.
Io non sono Joker. Avreste dovuto fotografarmi nudo, riportarmi al mio nocciolo di carne, liberarmi da chiacchiere e orpelli. Avete mai visto Bowie travestito da Superman, Jagger da Flash, Hendrix da Robin? Andate a fanculo! È il Jack Sparrow del film a imitare Keith Richards, non viceversa. Io voglio trasformare la realtà con la mia fantasia, non che la fantasia di altri trasformi la mia realtà. È vero: lo pseudonimo l’ho preso da un altro. Ma almeno il pirata Morgan era uno che dopo anni di scorribande per i sette mari è diventato Sir per volere della Regina. E invece, a me, lo Stato mi ricompensa con uno sfratto. Cavaliere del lavoro, dovrebbero farmi, col culo che mi faccio per creare bellezza. Pietro Pomponazzi diceva che la virtù è premio a se stessa. Io però ho bisogno anche di un pezzo di pane.
Non la voglio questa giacca viola, toglietemela, è una tinta da carro funebre. Io non sono il Joker, non vivo a Gotham City. Ora vivo a Milano. Milano non è mia, Mi-lano di mio ha solo l’ano, Piacenza mi piace perché è come ti immagini Milano mezzo secolo fa, Crema è una crema padana e Cremona è una crema più grande, un secchio di crema. Ma amo vivere a Milano, nel casino della metropoli, nel cuore pulsante delle faccende umane imbrigliato nelle rotaie, spostarmi per le sue vie in monopattino elettrico, con il tabarro nero che mi svolazza dietro la schiena. Invece di Monza detesto la tara schizofrenica: allo stesso tempo provincia, con tutte le asfissie del caso, e riflesso opaco di Milano. La cosa più bella di Monza è il parco, se ce l’avesse un monzese ci costruirebbe dentro un ipermercato.
A Milano prenderei in affitto una villa, ma non si fidano, hanno paura per i loro soldi. La droga è il grande ricatto. A competenze sono inattaccabile: con la dichiarazione sulla coca come antidepressivo carpita nel 2010 hanno trovato il modo per disporre della mia vita. Figli, auto, casa: piano piano si sono presi ogni cosa. Prima, quando parlavo, tutti annuivano: dico cose sensate. Dopo, hanno registrato un controcanto e attaccano play appena possono: “tanto quello è un tossico”. E così, invece di affidare a me un programma, che farebbe più share di ogni concorrente, mi tocca fare l’ospite in quelli degli altri, per alzare il loro, di share. Non credo ci sia un complotto, non sono un paranoico come Joker, non c’è nessuna cupola. C’è solo l’abitudine. Anche ad alti livelli. Tendono a comportarsi tutti nello stesso modo, da androidi.
Per lo shooting gonfiatemi i capelli come Mina sulla copertina di Le mille bolle blu. Voglio avere una nuvola bianca per testa. Voglio pensare nel cielo. Non sentite che puzza di chiuso qui in basso? Qualcuno ha detto che Bach è la più convincente prova dell’esistenza di Dio. Ma oggi chi se lo caga, Bach? Secondo te J-Ax e Fedez si occupano di Bach? Però riempiono stadi e palazzetti. E non è facile, per carità. Non c’è nessun merito a comporre musica che non vende. Dal mercato ci si emancipa combattendolo e dimostrandogli che ha torto, non astenendosi. E uno vale uno ‘sto gran cazzo. Vediamo chi riesce a stare su un palco davanti a 100 mila persone. Non dico per cantare, ma solo per raccontare la propria giornata. Vediamo. È selezione darwiniana, c’è poco da fare.
Io non sono il Joker, io sono un cantautore. Oggi vedo un ammasso di cantautori molli, il panorama musicale è una gelatina, ma storicamente sono figure solide e complete: letteratura e note insieme producono un pensiero filosofico. La musica è l’espediente emozionale che ti convince a credere in un pensiero. Io non scrivo per avere successo come Joker con la sua cazzo di agendina. Io scrivevo e scrivo per conoscere Noam Chomsky, che non ho ancora conosciuto, per suonare il pianoforte con Umberto Eco, per andare in turnée con i Duran Duran, per capire davvero Bach e Beethoven. Negli ultimi dieci anni mi sono tolto innumerevoli sfizi artistici. So già che alcuni diranno che mento, che pure io voglio ciò che vogliono tutti. Se non sei un androide, ti invidiano. L’Italia è ostile all’artista. Nonostante la gente venga in Italia proprio per l’arte. L’America è l’America per l’industria dell’entertainment, tutto il resto è una conseguenza. Ma noi ci rifiutiamo di capirlo. Io non sono il Joker perché lui ha solo la pazzia mentre io ho la poesia: pazzia + opera d’arte.
Sviluppo
Io sono il Joker per l’intenzione anarchica del film di Todd Phillips. Per me lo studio dovrebbe diseducare. L’educazione così come viene comunemente intesa ti abitua a rimuovere il pensiero, l’originalità, la fantasia. In pratica ti dicono: sta alla larga dai posti dove c’è fantasia! Prima di tutto perché potresti avere dei problemi con la legge. A logica, il politico dovrebbe fare le leggi e il magistrato applicarle. Ma il politico non fa le leggi e allora il magistrato si convince di essere la legge. Così nascono i problemi, quantomeno i miei.
Però nessuno le dice, queste cose. E sai perché? Perché hanno paura di perdere soldi. Ecco qual è l’ossessione degli italiani. I 100 euro. Nemmeno i milioni, cazzo! I 100 euro. È tutto un fottersi a vicenda per 100 euro. Certa gente cerca di spillarmi quella cifra lì. Ma, dico, fatemi suonare, fatemi inventare, fatemi suonare al Madison Square Garden. E poi scappate con l’incasso. Avrebbe più senso, no? Invece questi pensano ai 100 euro. Guai a pensare in grande! Hanno tutti sete di soldi, sempre, ma si riempiono l’abisso mandando giù un sorsetto alla volta. Io, con i soldi, mi ci comprerei un sintetizzatore. Mi piace la corrente elettrica, i sintetizzatori mi scatenano fantasie da luna park. Sono giocattoli che non annoiano, come il succhia succhia che non si consuma mai di Willy Wonka. Io sono il Joker perché comprendo la sua rabbia.
L’Occidente è un posto gretto, rotto, fatto di robot. Persone che non hanno idee e quindi si attengono alle regole. Ma che vuoi dirgli? Sono funzioni più che esseri umani. Rispondono agli stimoli in modo meccanico. Se gli dici che sta scoppiando una guerra nucleare prima ti chiedono “facciamoci un selfie”. Credevo che il ’68, Pannella e Tangentopoli avessero bruciato questa prigione di incartamenti. E invece la burocrazia ricresce come le erbacce, rifiorisce in digitale: è ancora il vero Potere in Italia. Bruciare! Bruciare! Avanti, datemi una banconota da 100 euro, la voglio incendiare, tanto è finta. Voglio arrotolarle, infilarmene una in ogni buco. 200 euro per le orecchie, altrettanti per le narici, 100 per la bocca… insomma, fanno 600 in tutto.
Io sono il Joker perché ho pietà della sua tristezza. La depressione è come un temporale, come un ictus: capita e muori. Prendi Tenco, uno che Jannacci diceva capace di inventare superbe cazzate: raccontava di una tribù della Nuova Guinea con una cerbottana che spara a 500 metri. Ma poi… sono così, i veri artisti. Una volta Celentano tartassava Paolo Conte chiedendogli che cos’era per lui il paradiso, a un certo punto Conte gli disse di non rompere i coglioni e Celentano rispose: “e allora te lo dico io, è semplice, poi mi dirai che avresti potuto arrivarci da solo: il paradiso è un cavallo bianco che corre ma non suda”.
L’inferno invece è l’assenza di bene. È l’assenza. Il male occupa lo spazio lasciato vuoto dal bene. Il Diavolo è un abbandono, Dio è un abbraccio. Li ho sperimentati entrambi. A Joker manca suo padre, come a me. Ma io il mio papà l’ho conosciuto eccome. L’ho visto perfino mentre si guardava allo specchio la sera in cui è morto il suo, di padre. Ripeteva: “perché mi hai abbandonato”. Adesso mi capita di dirgli: e pensare che tu, papà, mi hai abbandonato tante di quelle volte. E ti sei tolto la vita per un danno economico molto inferiore a quello che ho subito io.
Ripresa
E quindi no, io non sono il Joker manco per il cazzo. Io sono un anarchico come lui, giusto, ma non sono come lui perché me ne frego del potere. L’anarchico corrotto, il mio nuovo singolo, non parla del Joker ma parla proprio di questo concetto: l’anarchico corrotto è un anarchico che esercita il potere. L’anarchico non deve andare al potere. Soprattutto se è per fare i cazzi propri. Sennò non è più anarchico: è soltanto egoista. L’anarchico vero non può che essere una splendida eccezione, tutta incentrata sul rispetto dell’altro: non evito di ucciderti perché me lo dice la legge, non ti uccido perché me lo dice l’empatia. Ma purtroppo l’empatia, elevata a sistema, diventa utopia. Il b side del singolo si chiama Quanto poco ci vuole. Fa parte di un progetto ancora inedito sugli inni da stadio. Ci sono andato solo una volta, con mio padre, e gli ho detto: mai più allo stadio. Poi mi ha portato a vedere un concerto di Vecchioni, e io gli ho detto: ai concerti portamici ancora.
Io non sono Joker perché lui cerca a vuoto suo padre mentre il mio, ne La canzone perfetta, viene a farmi visita sotto forma di fantasma alieno. E io tento di spiegargli che cos’è una canzone: nessuno l’ha mai definita compiutamente. Voglio che lui capisca così bene l’essenza della canzone da riuscire a scriverne una. Torna qui sulla terra col suo cane, che nella realtà si chiamava Platone ed è morto nel suo stesso giorno, e che nel libro è effettivamente Platone. La musica è filosofia. La forma sonata, con la sua struttura, è pura dialettica hegeliana. È divisa in tre grandi blocchi: esposizione, sviluppo e ripresa. La ripresa ti fa riascoltare il tema dell’esposizione alla luce di ciò che è avvenuto nello sviluppo. Tesi, antitesi, sintesi. Anche se la sonata sta alla canzone come una carrozza sta alla Ferrari, ancora adesso i brani più riusciti sono strutturati secondo lo stesso movimento dialettico, e sono autoreferenziali: lì, lo Spirito Assoluto si riflette in Se Stesso. La musica riproduce eternamente questo anelito totalizzante. Nel libro ho cercato la forma platonica della canzone, la sua idea, ho proposto una sua tassonomia basata su quella di Linneo. Canzone. Bisogna onorare le parole, rispettarle. Uccidere una lingua è grave quanto uccidere le persone, la nostra informazione basata su Wikipedia è disinformazione. Nelle pagine illustrate del testo smonto riga per riga le definizioni di un sito che ha trasformato in farsa populista l’ideale enciclopedico dell’Illuminismo.
Io non sono il Joker perché il male mi ha sempre annoiato: il concetto di Diabolus in musica non mi attrae per nulla, quando ho incontrato Satana ho sbadigliato. Il diavolo aveva il suo fascino finché competeva in lucentezza con Dio. Poi è diventato un anarchico corrotto, come il Joker che è un suo epigone. Il diavolo non apprezza il bello, il diavolo non conosce, e allora io lo voglio ridicolizzare dicendo che è un nulla. Tuttavia Dio non ha distrutto nemmeno lui. Dio non crea vuoto, non distrugge neppure la creatura che ha creato capace di Male. Questo mi dice Don Egidio, che fu parroco di mia mamma, un esorcista claudicante con un occhio bianco. Sta nella chiesetta accanto a villa Arconati, dove andiamo a scattare la seconda parte del servizio. Ora lo chiamo. Ha 87 anni, ma lotta ancora col diavolo. Qualche tempo fa è venuto a casa mia per scovare influenze maligne. Non ne ha trovato traccia. Don Egidio, lo dica lei, a questi qui, che del diavolo non bisognerebbe nemmeno parlare. Altrimenti gli diamo importanza. Lo rappresentiamo brutto, con le corna e la smorfia e le zampe caprine, semplicemente perché è brutto. E io voglio avere a che fare soltanto con la bellezza. Lasciateci soli, qua, in questa stanza, me e Don Egidio, bastano due sedie, voglio parlare con lui di dolore e serpenti e preghiere.
Io non sono Joker perché la violenza è inflazionata. Tutta la nostra civiltà è basata sul ricordo delle sevizie patite da Cristo. Ce le sbattono in faccia ovunque, sempre. Anche Gesù si è messo nei guai quando ha toccato i soldi nel tempio. Finché restava sulla filosofia… chi se ne frega. Ma appena gli tocchi i danè… A questo pensa la gente, ai soldi e a nient’altro, la gente vuole i soldi per andare a puttane. Un uomo, un ragazzo di 33 anni, nel fiore degli anni e della gloria. Poi arriva il Male, perché di questo si tratta, e guasta tutto. Gli fa il vuoto attorno. Ma che palle! Cristo è morto torturato, continua a soffrire in tutte le sue rappresentazioni, la gente guarda il crocifisso, legge l’articolo di cronaca nera, si fa un pianto, si fa una risata, e se ne torna a casa come se niente fosse successo. In fondo è tutta una commedia. Una grande commedia.