Lizzo sa che la guardia di sicurezza la sta squadrando. È una fredda serata di novembre, nel centro di Los Angeles, ed è appena passata da un negozio di strumenti alla ricerca di un libro di studi per flauto del compositore danese Karl Joachim Andersen; vuole tornare a esercitarsi con lo strumento che ha iniziato a suonare in quinta elementare. Quando si accorge dello sguardo della guardia, la porta del negozio non si è ancora chiusa del tutto.
«Voleva assicurarsi di aver visto il mio tanga due volte!», dice sfilando attraverso Sunset Boulevard indossando stivaletti di finta pelle di serpente e un piccolo vestito rosa, e passando le mani ricoperte di brillanti tra i vaporosi capelli neri.
Come poteva la guardia non fissare Lizzo almeno un paio di volte? Dopo un decennio di fatica, il 2019 è stato il suo anno. Cinque giorni fa correva verso l’aeroporto di Copenhagen, dove ha concluso la parte europea del suo ultimo tour. Dopo essere salita a bordo, ha chiamato su FaceTime il suo manager, che con il telefono le mostrava la diretta televisiva delle nomination ai Grammy. È così che ha scoperto di avere più nomination di tutti: otto in totale, tra cui una in tutte le categorie più importanti, i “Big Four”. Era euforica. «Subito dopo, sono rimasta seduta su un aereo per 10 ore», dice.
L’ultimo anno è stato tutto così: surreale, gratificante e in un certo senso estenuante. Qualche giorno prima di questa intervista, Lizzo si è esibita agli American Music Awards. Indossava un soffice abito viola e cantava la dolce e sofferta ballata Jerome di fronte a un mare di luci e smartphone. «Continuavo a pensare che avrei dimenticato le parole», dice. Jerome è una delle poche canzoni della scaletta in cui non deve twerkare, suonare il flauto o correre da una parte all’altra del palco. Mentre la canta, i suoi pensieri la portano altrove. «Sono seduta sullo sgabello e penso: ‘Insomma, che mangio dopo il concerto?’». A Toronto, forse – nella sua testa le città iniziano a mescolarsi una con l’altra – a metà canzone ha avuto un attacco d’ansia, ma non ha smesso di cantare. «Ho iniziato a pensare a roba diversa, ma la mia bocca si muoveva e le parole uscivano da sole».
Lizzo, 31 anni, è un nuovo tipo di superstar: è una cantante nera oversize, e anche una rapper che domina un panorama largamente bianco e piuttosto skinny, il tutto con un atteggiamento allegro e proponendo una sessualità libera e indipendente. La sua storia è interessante e radicale tanto quanto la sua immagine pubblica: anni di insicurezze e difficoltà seguiti da un’ascesa insolita ma veloce, guidata da Truth Hurts,una canzone vecchia di due anni che non è nemmeno nel suo ultimo album.
Lo scorso aprile ha pubblicato Cuz I Love You, il debutto con una major. Ha iniziato a scriverlo con un anno di anticipo, più o meno durante la fine della sua prima vera storia d’amore; il misterioso ragazzo Gemelli che frequentava ha ispirato più o meno ogni canzone del disco. Costretta a seguire un programma impegnativo, e sempre più lontana da amici e famigliari, nella primavera del 2018 ha avuto un esaurimento nervoso e da allora ha iniziato ad andare in terapia. «È stato davvero spaventoso», mi ha detto poco prima dell’uscita dell’album. «Ma mostrarmi vulnerabile di fronte a uno sconosciuto e poi imparare a essere vulnerabile con chi invece conoscevo bene mi ha dato il coraggio di essere vulnerabile anche come cantante».
Cuz I Love You ha i suoi momenti strazianti, ma nel complesso è una celebrazione: Lizzo vuole che tu – sì, tu! – impari ad amare te stesso esattamente come Lizzo ha imparato ad amare Lizzo. Negli ultimi anni il pop ha preso una piega cupa, probabilmente un riflesso di quello che accade nel mondo. Non è il caso di Cuz I Love You. Lizzo ha scritto le canzoni che voleva ascoltare dopo una giornata difficile, canzoni che ti fanno sentire bella, di successo, impegnata e richiesta, perché è così che si sente chi le ha scritte.
Ora tutti gli occhi sono su di lei, compresi quelli dei suoi eroi. Rihanna ha accolto il suo assolo di flauto durante i BET Awards con una standing ovation. Beyoncé ballava a lato del palco durante il suo set al festival Made in America. A dicembre è arrivato il debutto dal vivo a Saturday Night Live, nell’episodio condotto da Eddie Murphy. Durante il monologo, il comico ha detto che i suoi figli sono grandi fan di Lizzo.
Insieme all’attenzione, però, arrivano sempre i giudizi. Lizzo è stata attaccata per aver commentato su Twitter una recensione di Pitchfork che considerava il suo disco mediocre. “Chi fa le recensioni degli album e non suona musica non dovrebbe avere un lavoro”, ha scritto. Mesi dopo, altri tweet di questo tipo si sono accompagnati a una denuncia: Lizzo aveva accusato un rider di Postmate di aver rubato il suo ordine, e l’ha fatto condividendo il suo nome con milioni di follower.
In quanto donna nera impegnata a scrivere musica positiva – una scelta non proprio cool, ma molto redditizia –, Lizzo si attira addosso insulti pesanti e personali. L’hanno definita banale, una “pianta d’appartamento”. In un titolo poi ritrattato, il sito di gossip Bossip l’ha definita una “Kidz Bop Kween”, suggerendo che la sua musica sia la pallida imitazione di un pop più autentico. L’insulto più ricorrente e doloroso, però, è che scrive canzoni per i bianchi, che balla e canta per le femministe bianche. «Sì, c’è un sacco di gente bianca ai miei concerti», dice con un ghigno. «Che devo fare, cacciarli? La mia musica è per tutti».
Ironia della sorte, vedere così tante donne nere nel pubblico mentre apriva i concerti di SZA, nel 2015, ha ispirato le canzoni che finalmente stanno scalando le classifiche. Coconut Oil, in particolare, è nata come inno di auto-affermazione per le donne di colore. «In quanto donna nera, scrivo musica per tutti, ma parto dall’esperienza di una donna nera», dice. «Scrivo musica che, almeno spero, fa sentire bene la gente e che mi aiuta ad amare me stessa. Questo è il messaggio che voglio mandare alle donne di colore, alle grosse donne di colore, alle donne trans di colore. Fine».
Ora si sta esercitando a controllarsi, a vivere nel “mondo reale”, cioè offline, e a non rispondere agli hater. «Quella è stata la fine di un’era, per me», dice dei suoi litigi su Twitter. «Avevo torto, cazzo. Sono abbastanza adulta da ammetterlo». All’inizio di gennaio ha deciso di lasciare il sito, almeno per un po’, stanca di tutti i troll e della “negatività” che domina gli utenti. In un certo senso, però, capisce le critiche. «Senti, sono nuova», dice. «Metti due piatti di fronte alla gente: in uno c’è del pollo fritto. Se ti piace il pollo fritto, è grandioso. Nell’altro, però, c’è fica di struzzo fritta. A chi verrebbe voglia di mangiarla?».
Nonostante per qualcuno sia “fica di struzzo fritta”, Lizzo non ha intenzione di andare da nessuna parte – non dopo tutta la fatica che ha fatto per arrivare fino a qui. «Alla fine ci si abitua a qualsiasi cosa», dice. «La gente dovrà abituarsi anche a me».
Il 31 dicembre 2018, Lizzo ha deciso che non avrebbe fatto buoni propositi per il 2019. Aveva già ottenuto tutto quello che voleva. Registrava canzoni che amava, e i suoi concerti erano tutti sold out. «Ho guadagnato un milione di dollari con il tour. Sono riuscita ad assumere i miei amici», dice. «Ero Gucci». Era anche all’inizio di una delle storie di successo più assurde del pop.
Lizzo ha sempre pensato che avrebbe scritto una hit. La sua migliore amica e storica collaboratrice Sophia Eris ricorda quanto fosse veloce a scrivere le canzoni per il loro trio pop-rap, le Chalice, che hanno formato nel 2011 a Minneapolis. Ma è dopo aver firmato con Atlantic, nel 2015, che secondo Eris l’amica ha davvero compreso il suo potere creativo. «Ha detto: “Sono abbastanza sicura di sapere come scrivere una hit”», dice Eris. «Ha la mente di un chimico. Conosce l’equazione. Lizzo potrebbe scrivere una hit nel sonno».
L’orecchio pop di Lizzo ha reso lei e la sua etichetta impazienti per una hit. Coconut Oil, l’EP del 2016, è stato apprezzato ma non è diventato un successo. «Ci sentivamo frustrati, perché sapevamo tutti quanto fosse grandiosa, vedevamo il suo potenziale», dice Brandon Davis, dirigente dell’A&R di Atlantic che ha portato Lizzo verso Nice Life, la società del produttore Rick Reed, nel dicembre 2015.
Nel 2017 ha pubblicato Truth Hurts. Metà rappata, metà cantata, era una canzone sulla fine di una relazione e allo stesso tempo un’inno motivazionale, in perfetto equilibrio tra umorismo irriverente, un po’ di dolore e una tonnellata di sicurezza. «È la prima canzone che mi ha fatto pensare: “Oh, questa è una figata”», racconta. «La maggior parte delle mie canzoni rap avevano testi circolari, capisci? In Truth Hurts ho mischiato il rap al cantato, e il beat era pazzesco. Ero orgogliosa di quella canzone. Volevo farla sentire ai miei amici di Houston». Poco dopo averla scritta ha visitato una sensitiva, che ha iniziato a citare frasi del testo. «Ho pensato: “Ma che diavolo succede?”. Lei diceva: “Dovresti sposarti con te stessa”». È esattamente quello che ha fatto nel videoclip.
Truth Hurts era intelligente, maledettamente cantabile e un flop totale. Quando sembrava che la canzone stesse per scomparire, Lizzo si chiedeva se stesse per succedere anche a lei. Ha pensato di lasciare la musica una volta per tutte. Il suo team l’ha convinta a non farlo. Truth Hurts era già il cuore pulsante di tutti i suoi concerti, ma è andata avanti, concentrando le sue energie su Cuz I Love You.
Il 20 ottobre 2018, Lizzo ha pubblicato su Instagram un video registrato durante un concerto a Iowa City. Suonava il flauto durante una cover di Big Shot di Kendrick Lamar. Lizzo e le sue ballerine – le Big Grrrls – si muovevano a tempo con il bridge, poi ha ricominciato a suonare il flauto. «Quella è un’altra delle cose che mi soddisfacevano di più», continua. «Ero conosciuta come flautista. Ti svelo un segreto: sono una nerd della musica».
In meno di 30 secondi, Lizzo era riuscita a emergere nel confusionario zeitgeist dei contenuti virali, e la sua #FluteAndShootChallenge è diventata un fenomeno online. Ha continuato pubblicando altri video virali – dove diceva “Hi bitch” e “Bye bitch” a bordo di macchine da golf, ascensori e così via – ed è diventata una sorta di generatore umano di meme. Il suo pubblico, nel frattempo, continuava a crescere.
Nell’aprile 2019 ha pubblicato Cuz I Love You. Alla critica è piaciuto e ha accumulato buoni numeri – ma non eccezionali – sulle piattaforme streaming. Poi è successo qualcosa di strano. Someone Great, una dramedy con Gina Rodriguez e Lakeith Stanfield, è uscita su Netflix lo stesso giorno dell’album. Il film usava Truth Hurts come colonna sonora di una scena memorabile in cui il personaggio di Rodriguez, con il cuore spezzato, si ubriaca, balla e canta urlando in mutande. «La mia intenzione è sempre stata di rendere quel momento valido anche fuori dal film», dice la regista e sceneggiatrice Jennifer Kaytin Robinson, che ha ascoltato Lizzo per la prima volta nel 2016. Ispirata dalla scena di Tiny Dancer in Almost Famous, Truth Hurts era la sua prima scelta.
Someone Great ha cambiato tutto. «Quando mi sono svegliata, la mattina successiva, tutto sembrava tangibilmente diverso», ricorda Davis. Truth Hurts ha iniziato a scalare le classifiche di iTunes ed è esplosa sui social media. Il pubblico più giovane, nel frattempo, scopriva la canzone grazie a un meme su TikTok. All’improvviso, una canzone vecchia di due anni, che non faceva parte del nuovo album di Lizzo, è diventata una hit in cima alle classifiche. Poi, dopo aver suonato un medley di Truth Hurts e Good As Hell agli MTV Video Music Awards, anche il secondo brano è diventato una hit.
Nel frattempo, gli autori Justin e Jeremiah Raisen l’hanno accusata di aver rubato il verso d’apertura di Truth Hurts (“I just took a DNA test, turns out I’m 100% that bitch”) da una demo a cui avevano lavorato insieme. Il verso era ispirato a un meme che Lizzo aveva visto su Instagram, a quanto pare nato da un tweet della cantante Mina Lioness. Lizzo ha risposto facendo causa per persecuzione e offrendo i diritti d’autore a Lioness. «L’autrice del tweet è la persona con cui condividerò il mio successo. Nessun altro», ha scritto in un comunicato.
Quando parla della strana traiettoria della sua carriera, Lizzo è diplomatica. Nessuno può pianificare che vecchi singoli possano avere successo dopo la pubblicazione di un album pieno di materiale completamente diverso. «Quando li stavamo registrando sapevamo che erano avanti con i tempi», dice. «Ora abbiamo la prova che quelle canzoni sono senza tempo. Entreranno in connessione con il pubblico quando sarà il momento giusto».
Quando ho portato una mia amica a vedere Lizzo al Brooklyn Steel, lo scorso marzo, lei ha pianto. Siamo più o meno della stessa taglia della popstar, due ragazze curvy con la cellulite, il grasso sulle braccia e la pancia rotonda. La mia amica ha pianto perché per la prima volta assomigliava alla persona che vedeva sul palco, un’artista oversize che rappa, balla e canta invece di restare ferma con il corpo coperto. In un mondo che ci dice che donne leggermente più formose del normale come Jennifer Lopez, Beyoncé e Kim Kardashian sono in qualche modo straordinarie, Lizzo sembrava una rivoluzionaria.
«Mi ha cambiato la vita», dice la designer per taglie forti Gabi Gregg, convinta che Beth Ditto e Missy Elliot le abbiano aperto la strada. «Quando la vedi suonare l’effetto è così d’impatto da portarti alle lacrime. Ti viene da pensare: “Sapevo che questa cosa mancava dalla mia vita, ma non sapevo quanto sarebbe stato importante vederla per davvero”». Gregg è diventata una fan di Lizzo quando nel 2015 ha pubblicato il video di My Skin, una ballata grezza a proposito di come si faccia ad amare se stessi, con un video in cui Lizzo aveva un look più naturale, diverso dal solito glam. «Ho scritto My Skin quando avevo 26 anni, in un momento in cui mi ero già confrontata con me stessa ed ero felice», spiega.
Gli ultimi anni dell’adolescenza di Lizzo sono stati segnati da gravi problemi d’autostima, problemi aggravati da una relazione tossica con un uomo che desiderava una ragazza magra. My Skin è il frutto di anni di lavoro in cui ha disimparato a odiarsi come le diceva la società. «Ho accettato la dismorfia del mio corpo e mi sono evoluta», dice. «Il movimento per la body-positivity sta facendo la stessa cosa. Siamo cresciuti insieme, abbiamo sofferto insieme, e sono felice di essere vicino a qualcosa di così vivo e organico».
Poco dopo l’uscita di My Skin, il team di Lizzo ha contattato Gregg per un consiglio. La cantante voleva cambiare stile, liberarsi degli abiti di flanella e degli stivali da pioggia che indossava in Minnesota. Gregg ha aiutato lo stylist di Lizzo a trovare brand che trattassero taglie forti, e poi è apparsa nel video di Scuse Me. «Pensavo a quanto quel momento fosse importante per le donne come lei», riflette Gregg. «Le cose stanno davvero cambiando».
C’è il cambiamento, sì, ma il progresso non è sempre così cristallino. A dicembre, il corpo di Lizzo è tornato al centro di un dibattito violento dopo che, durante una partita dei Lakers, ha osato twerkare con un abito che lasciava intravedere un tanga. I fan infuriati dei Lakers la accusavano di aver rovinato un evento “per famiglie” e paragonato il suo corpo e l’outfit a quello di un wrestler professionista; gli utenti di Twitter si sono ossessionati con i volti di chi, tra il pubblico e gli addetti ai lavori, aveva un’espressione di moderato disgusto, probabilmente non collegato a Lizzo.
Lizzo sembra un po’ esausta all’idea di parlare del suo corpo, e non ha tutti i torti. Vuole essere celebrata per la sua musica, non essere considerata “orgogliosa” per essere com’è. «Sono molto di più del mio corpo. Ho un’intera carriera», dice. «Non sono un trend».
Melissa Jefferson non è mai stata sicura che sarebbe potuta diventare un’artista solista, quindi per la maggior parte della sua vita ha suonato con dei gruppi. Il primo era il coro della chiesa della sua città, Detroit. Non era conosciuta come “la cantante”, ed era ok: era “quella intelligente”, la ragazza che sognava di diventare astronauta. Nel tempo libero, scriveva storie fantasy di donne eroiche che sperava, un giorno, di poter emulare, e guardava innamorata l’anime Sailor Moon.
Quando aveva nove anni, si è trasferita a Houston insieme ai fratelli maggiori. I genitori, Shari e Michael Jefferson, lavoravano nel mercato immobiliare e il Texas offriva buone opportunità. «Ho pensato: “Ma che diavolo succede?”», ricorda Lizzo. «Non sono riuscita a riflettere sulla partenza, all’improvviso mi sono ritrovata in mezzo a tutti quei cavalli e ai cowboy».
Nel sud, però, ha scoperto qualcosa in cui era davvero brava: suonare il flauto. Lo strumento le è stato assegnato dalla banda della scuola, e sembrava un segno del destino. «Ero davvero brava», dice. «Ho pensato: “Sembro nata per questo. Andrò al college grazie a questa roba”. Sapevo che sarebbe stato così». Fuori dalla banda, Lizzo era presa in giro per le sue abitudini da secchiona. «Alzavo sempre la mano, e mi dicevano: “A quante diavolo di domande devi rispondere? Nerd”».
Era “riservata” ma abbastanza estroversa da organizzare una serie di provini per un gruppo femminile, un tributo alle Destiny’s Child. La prima canzone che ha scritto per il gruppo si chiamava Broken Households – parlava di bambini diversi da lei, cresciuti in famiglie disastrate. Lizzo non pensava fosse in grado di cantare, quindi dirigeva gli altri membri attraverso le note tristi del brano. Alla fine ha formato i Cornrow Clique, la sua prima vera band. La line-up era composta da tre amici: Nino, Lexo e Zeo. È così che Melissa è diventata “Lisso”.
Ai tempi del liceo, da secchiona si è trasformata nel clown della classe. Il cambiamento era figlio dello stesso sentimento da cui sono nati gli atteggiamenti da nerd: «il desiderio di essere ascoltata», dice. Si è iscritta all’Università di Houston per studiare musica, ma il college era problematico. «La matematica, andare in giro per quel posto così grande, i soldi». La pressione aumentava, e a 20 anni ha lasciato gli studi. Abbandonare il college significava dimenticare il suo sogno di diventare flautista professionista.
Ha continuato a rappare con un’amica, uno dei membri dei Cornrow Clique, ma la sua insicurezza peggiorava: l’amica sembrava più portata per il successo. «Pensavo fosse lei quella speciale, perché era più magra e ai ragazzi piaceva, cose del genere. Mi dicevo: “Le scriverò le rime, la supporterò”».
Il duo è finito insieme alla loro amicizia e Lizzo ha passato i due anni successivi dominata dal senso di colpa, dalla paura e dall’imbarazzo. Ha fatto un provino per una band prog rock, gli Ellypseas, mentendo sulla sua esperienza di cantante. È stata presa, ma per suonare ogni sera doveva aiutarsi con diversi shot di whisky, e i suoi nervi ne risentivano. I fan amavano la sua presenza energetica e stravagante, ma era ancora infelice, nascondeva la band dagli amici, aveva paura che non avrebbero apprezzato quella musica.
Lizzo ha lasciato gli Ellypseas nel 2010, un anno dopo la morte del padre. Temeva che lasciare il college l’avesse deluso. «Mio padre è sempre stato un sostenitore dei miei sogni da flautista e voleva davvero che tornassi al college», dice. «Andava in giro a chiedere soldi ai miei cugini per farmi tornare a studiare. Io pensavo: “Non lo farò mai, non tornerò lì”. Ma non gliel’ho mai detto».
Lizzo faticava a sbarcare il lunario, e per un periodo ha vissuto nella sua Subaru. Nel 2011, un amico e collaboratore si stava preparando per trasferirsi a Minneapolis e le ha chiesto di partire con lui. Pronta per un cambio di scenario, ha accettato l’offerta.
A Minneapolis, Lizzo è tornata a rappare, e all’epoca era una delle poche donne della città a farlo. Insieme a Eris ha subito fondato le Chalice, un altro gruppo ispirato alle Destiny’s Child. Sono diventate presto celebrità locali. Poi hanno conquistato l’investitura definitiva per ogni musicista di Minneapolis: Prince era un loro fan. Nel 2014, Lizzo ed Eris sono apparse in Plectrumelectrum, un album di Prince con la band 3rdeyegirl, nella canzone Boytrouble. Prince le ha invitate a suonare a Paisley Park; più avanti, Sua Maestà ha suonato un concerto al piano davanti a loro e pochi intimi. Prima di morire, si era offerto di produrre l’album di Lizzo.
Avere questo tipo di rispetto le ha cambiato la vita. «Non avevo mai firmato qualcosa insieme a un altro artista, e mi frustrava molto», ha detto a Rolling Stone nel 2018. «Pensavo: “sono troppo strana per i rapper e troppo nera per gli indie”. Era come se giocassi in un campionato tutto mio. Essere riconosciuta da Prince… gli sarò eternamente grata».
Una settimana dopo il nostro incontro a Los Angeles, la principessa dell’auto-affermazione sta suonando un concerto alla Dickies Arena di Dallas. Nel backstage, coccola legioni di fan piangenti indossando pantaloni con cordoncino Gucci, un top Gucci e degli stivali di cammello che vorrebbe non venissero fotografati. Mentre salta da un’intervista all’altra, rispondendo a domande su qualsiasi cosa, dalle sue foto di nudo raffinate («Tutti si spogliano!») alla sua vita sentimentale (Lizzo non manda mai il primo DM), tira fuori dal nulla una busta di Flamin’ Hot Cheetos.
Come tutti i guru che si rispettino, Lizzo rivela se stessa selettivamente. Racconta a tutti i momenti salienti del suo percorso, ma conserva le parti migliori per sé e per chi è stato con lei per un decennio o ancora di più. In fondo, è sempre stata una tipa riservata.
Tuttavia, una delle ragioni per cui il suo brand ha tanto successo è che la sua positività non è né idilliaca, né da santa. Sa essere arrabbiata, depressa, crudele o commossa. È piena di sentimenti e alcuni sono venuti fuori dopo aver interagito con i troll durante una diretta Instagram, dove racconta senza filtri la sua vita e quel che le passa per la testa.
Con la musica ha trovato il modo giusto per esplorare il suo amore, ma parlandone dal vivo le capita di bloccarsi, ancora impegnata a mantenere la sua privacy. La prima volta che ha pensato di essere innamorata era in uno dei momenti più bassi della sua vita. Aveva 19 anni e si illudeva, cercava di essere una persona che non era. «Ai tipi magri piaccio», dice ridendo. «Ricordo che lui diceva: “Sono un tipo minuto, mi serve una ragazza minuta”». Era il 2007 e Lizzo cercava di imitare Zooey Deschanel («Non posso svegliarmi la mattina e diventare una tizia bianca»). La fine della relazione la porterà a farsi una domanda a cui cercherà di rispondere con le canzoni: «Come fai a innamorarti di qualcuno, se non sei te stessa?».
Due anni fa, una versione molto più sicura di Lizzo si è innamorata per davvero, questa volta dell’innominato ragazzo Gemelli di Cuz I Love You. È convinta che quella storia sia finita perché è arrivata nel momento sbagliato, quando voleva sentirsi libera. «Per quanto suoni malato, avevo bisogno di farmi spezzare il cuore», dice. «Non sono triste, perché uso il dolore costruttivamente. È inevitabile. Il dolore è l’esperienza umana».
Per molto tempo è stata convinta che il suo futuro sarebbe stato pieno di solitudine – «Niente figli, due amici» –, che avrebbe passato il tempo sommersa dal lavoro. «Adesso è diverso», dice sospirando, con la voce da guru con cui interpreta i suoi sermoni sul palco e fuori. «È come il rapporto con i miei famigliari… ci sto lavorando. Sono aperta alle nuove amicizie. Mi piace pensare ai figli, una cosa grossa per me, perché i miei album sono come dei bambini».
Una settimana prima, guidando per le strade di Los Angeles, ha messo alla prova il rapporto con il fratello, informandolo via FaceTime che non avrebbe potuto ospitarlo a casa prima di partire per Joshua Tree, dove avrebbero festeggiato il Ringraziamento, perché aspettava compagnia. «Mi sento così in colpa», si è lamentata dopo aver chiuso la conversazione. «Ma sto cercando di farmela leccare!». Ultimamente scrive durante il tour, ispirata soprattutto dalle «piccole cose» che i suoi ultimi amanti le hanno detto. «Quella è roba buona», dice.
Lizzo incontra un altro pretendente a Dallas, quando nel backstage si imbatte in Charlie Puth. Beve uno shot di fronte ai genitori e alla sorella del musicista. «Stiamo per limonare, e sarà strano!», strilla mentre si mette in posa per una foto di gruppo. Poi chiama “suocero” il padre di Puth, e i due artisti scappano via insieme canticchiando Bridal Chorus. È tutto uno scherzo e Lizzo prende vita per le telecamere un’ultima volta prima di chiudere la giornata. Tuttavia, l’inganno dura così a lungo da farti sperare che un giorno possano davvero scappare insieme.
«Chiamami», dice facendo l’occhiolino a Puth e poggiando le mani sul suo costume da Babbo Natale Sexy. Gli ha fatto il più grande regalo possibile: la speranza che un giorno possa stare con Lizzo. La serata è finita.