Nuovo Ordine Marracash
La trilogia dell'identità si chiude ma, quando tiri le somme, l'unica sintesi possibile è che forse Marracash andrebbe coniugato al plurale. Per questa copertina siamo andati a Londra da un mostro sacro della fotografia, Rankin, e ci siamo anche divertiti. Un bilancio di vita artistica e non solo, a metà strada tra l’uscita di ‘È finita la pace’ e l'inizio del tour negli stadi: Sanremo e la sfida di non andarci («è più importante preservare la musica»), la salute mentale e il microcosmo dell'industria musicale che è «un tritacarne», i social («un bel rullo compressore di appiattimento») e l’aria che tira in Italia: «Vuoi fare la zuppa di fascismo? Metti dentro ignoranza e paura»
Foto: Rankin
Eremita, spaccone, sensibile, onesto, genio, bastardo. Questa o altra mezza dozzina a scelta: il risultato non cambia, darà sempre sì. Non perché sia necessariamente vero tutto quanto, ma perché è vera una premessa: Marracash, Fabio, e tutte le altre parti che li compongono, si portano dentro la più grande rappresentazione psicologica possibile. Contengono tutto. O quasi. La trilogia dell’identità si chiude – con piena soddisfazione lirica e musicale – ma quando tiri le somme l’unica sintesi possibile è che forse Marracash andrebbe coniugato al plurale.
Per questa copertina siamo andati a Londra da un mostro sacro della fotografia, Rankin, e ci siamo anche divertiti. L’intervista è il frutto di questa scampagnata in terra d’Albione con un’appendice finale milanese.

Foto: Rankin; Cappotto in fresco lana gessato, blazer e pantalone gessati con coating lucido: Diesel
È finita la pace è fuori da più di tre mesi e siamo più o meno a metà tra l’uscita del disco e l’inizio del tour quindi ti chiedo di fare un bilancio. Come sei messo?
Allora guarda, inizialmente è stato un po’ strano. Ho fatto delle scelte in questo disco forti, tra tutte quelle di non avere featuring, di uscire senza fare marketing né promo. Ho evitato delle cose che sembravano inevitabili è però in qualche modo pensavo che non ne avrei pagato il prezzo. Invece un po’ l’ho pagato. Inizialmente mi sono un po’ preso male, perché io volevo proprio dimostrare quella tesi lì, cioè che si potesse seguire un’ altra via ed essere competitivi. Ma qualcosa perdi. Però ti dico, col passare del tempo le sensazioni sono migliorate perché quelle scelte mi hanno ripagato in termini di serenità personale. Quindi se mi ha tolto da una parte mi ha dato da un’altra, forse più importante.
Questo prezzo di cui parli è a livello di numeri, immagino.
Sì, a livello numerico e di risonanza soprattutto per quanto riguarda i pezzi che toccano aspetti più sociali che personali. Di solito questi pezzi li metto un po’ più avanti nel disco e invece questa volta sono partito proprio su quella roba là, perché volevo dargli importanza e perché pensavo che i tempi fossero maturi. Invece noto che, come al solito, è sempre il lato che si fa più fatica a far arrivare alle persone, siamo tutti mega individualisti, per cui i pezzi che parlano dei problemi del singolo arrivano mentre quelli che parlano di noi come sistema, come conglomerato di persone, fanno più fatica.
Perché manca una coscienza collettiva o perché magari tra chi ti ascolta c’è anche gente che la pensa diversamente da te?
No, ma infatti non è che io mi aspetti che la gente la pensi come me ma mi aspetto che vengano stimolati dal discorso, e che da lì nascano delle discussioni. Forse io ho accelerato un po’ i tempi, però mi sembrava di captare che i tempi fossero idonei perché guarda il mondo, se non c’è una coscienza collettiva adesso non so quando si formerà. Forse mai.

Foto: Rankin; Giacca: Bottega Veneta
Oltre che a metà strada tra disco e tour si potrebbe anche dire che sei a metà strada della tua vita artistica.
Mi sento più alla fine di un percorso che a metà, sento che veramente questo tour negli stadi chiude gli anni della trilogia, che non è solo una trilogia musicale ma è stata anche un’esplorazione, un’indagine profonda. Diciamo che io nella prima fase della carriera sono stato un aviatore mentre in quest’ultima mi sono trasformato in un palombaro che scandaglia i fondali. Ora urge, sia a livello personale sia a livello creativo, uscire un po’ da questa ultra analisi. Il che è bello perché non so dove mi porterà.
Più che altro, mi chiedo, ce la fai?
Eh, bella domanda. Questo è quello che vorrei fare: vorrei cercare di riscoprire un po’ il lato più divertente, trovare cose nuove da raccontare che non siano solo all’interno di me stesso. Certo, però prima devi vivere.
Il tour però non anticipa questo cambiamento
No, il tour è l’ultimo atto della trilogia, rappresenta proprio l’ultimo tassello in questo racconto lungo tre dischi che è tutto alla fine sull’identità, sui conflitti interiori tra Marracash e Fabio. Diciamo che il tour è la risoluzione, la rappresentazione finale. Come in Highlander, ne rimarrà soltanto uno e chissà chi sarà. In questo momento io mi sento una fusione dei due. Si diceva in Persona che Fabio avesse ucciso Marracash ma a me serve Marracash perché è quello che mi fa combattere, mi dà un motivo. È il veleno che mi muove. Tutti i miei dischi sono allo stesso tempo un gesto di amore e un gesto di odio.

Foto: Rankin, Giacca nylon metallizzato: Stone Island
Tu hai sempre avuto nella tua produzione vari strati di analisi: oltre all’Io c’è anche la lettura della realtà, c’è il veleno, c’è la proposta, eccetera. Mi ricordo che nella prima intervista che facemmo, quella per Persona, ormai 6 anni fa, ti chiesi come mai in Italia i grandi giornali non intervistavano i rapper come all’estero e tu mi rispondesti che il rapper in Italia non era ancora assurto a maître à penser. Ora ti intervista Michele Serra, quindi cos’è cambiato dall’inizio alla fine di questa trilogia, quantomeno per te?
Be’, sicuramente un riconoscimento grande dai media più tradizionali anche se poi resta la domanda che mi hai fatto quando eravamo a Londra.
Quella di Sanremo?
Sì.
Ti chiedevo se pensi che sarà ancora possibile in futuro rimanere rilevante a livello di numeri e di “occupazione spazi” senza scendere a patti con il diavolo, e cioè andare a Sanremo.
Per me la sfida rimane quella di non andarci. Io sono un romantico, la mia cosa è riuscire a cambiare le situazioni e poi a imporre ciò in cui credo. Sostengo l’unicità di un percorso e il solo fatto che esista la “vetrina” a cui per forza ci si debba piegare mi fa girare i coglioni, quindi lotterò con tutte le mie forze per non andarci. Ecco però se devo pensare a un rimpianto rispetto all’album penso a Canzone triste. Per me, per tutti noi, quel pezzo è speciale. Sentivamo in quella canzone qualcosa di unico. Effettivamente è una canzone che forse portata in quel contesto avrebbe avuto la risonanza che merita, capisci? Il problema è che Sanremo comunque abbassa l’asticella. Essendo comunque una gara non è che tu vai là a portare il pezzo più bello che hai, vai là a competere in una roba che poi alla fine se ci pensi veramente è una specie di Grande Fratello VIP compresso in meno di una settimana. È un talent per artisti.

Foto Rankin, Giacca e Jeans: Bottega Veneta, Boots: Timberland® Heritage 6-Inch
Se uno può evitarlo è meglio evitarlo, sono d’accordo con te, però se ti metti nell’ottica di massimizzare la pervasività del messaggio allora è difficile starne fuori. Ma mi chiedo: è davvero così importante raggiungere tutti?
Questa è una domanda di fondo a cui si deve rispondere. A me interessa sicuramente arrivare a più persone possibili perché se non c’è un impatto sulla vita della gente poi mi rimane come un vuoto. Devo dire che comunque io ci arrivo già alla grande, quindi non mi interessa farlo saturando tutti i condotti. È più importante preservare la musica.
C’è anche da dire che Persona non può essere un termine di paragone – e forse nemmeno Noi, loro e gli altri – che sono entrambi ancora in classifica dopo anni e quindi portare all’estremo questa specie di “terza via” ha senso se la si valuta in maniera autonoma rispetto a quanto fatto nel passato.
Sì, e secondo me fa parte del mio percorso artistico anche questo ruolo che alla fine è il mio, non è né meglio né peggio degli altri, però già il fatto che esista comunque incarna un’altra possibilità. Non seguire strade già percorse ricopre un significato simbolico che secondo me è comunque importante sottolineare.
Che questo disco e il relativo chiamiamolo “trattamento” sia venuto dopo il bagno di folla del Marrageddon che era proprio invece la cosa concettualmente opposta, un po’ come il riflusso degli anni ’80 dopo il movimentismo dei ’70, forse non è un caso.
Io avevo il titolo del disco, È finita la pace, per via di tutte le cose che stanno succedendo: non solo letteralmente il ritorno delle guerre ma gli enormi sconvolgimenti che ci aspettano, su tutti l’intelligenza artificiale. Poi è venuta la roba della bolla che è un ulteriore passaggio e col senno di poi eravamo davvero dentro una bolla: io e Marz siamo stati forse ancora più isolati del solito quindi l’album è figlio di quel bagno di folla e del conseguente isolazionismo.

Foto: Rankin; Cappotto, blazer e pantalone gessati con coating lucido: Diesel DIESEL,
Però questa separazione dal resto del mondo non si avverte nei testi. Oltre alla parte più conscious sembra sempre che tu sia stra-informato su tutto quanto succeda al mondo, e non parlo solo delle cose se vogliamo più semplici da seguire, come l’attualità politica, ma anche i tic e i meme della società, o delle società, quella reale e quella che vive sui social.
È vero, me lo dice sempre anche Paola (Zukar, nda), ma ti dirò da un lato c’è la bolla e poi dall’altro c’è la mia enorme curiosità che mi porta a vedere e ascoltare un sacco di persone. Io ricevo a casa, un po’ come il Papa, e soprattutto vedo molte donne, forse anche questo aiuta. E poi forse so usare questi cazzo di social perché comunque effettivamente riesco a capire quello che succede in giro. Avrò fatto impazzire l’algoritmo perché io non personalizzo, non scelgo, e quindi mi arriva tutto, anche la merda, tantissima merda, che però mi dà la panoramica larga. Aggiungici che sono iperattivo, guardo tutto, centinaia di film, seguo qualunque cosa, e poi cerco di collegare e selezionare.
E per tutta questa mole di informazioni che raccogli l’unica strada possibile sono le canzoni o puoi pensare di poterle esternare anche in altri modi che non siano necessariamente la musica?
Alcune cose a me piace dirle in musica perché è uno spazio finito. La musica ti protegge, ti difende. Il rap ti difende, ti difende il genere, ti difende il modo in cui puoi utilizzare argomentazioni anche spigolose fino al livello del paradosso. Fuori dal rap è tutto più fraintendibile. Però ci ho pensato tante volte e mi piacerebbe sicuramente provare a utilizzare altre forme. Secondo me il racconto, che poi per me diventerebbe una specie di canzone dilatata, potrebbe fare al caso mio. Ma sicuramente mi ci dovrei dedicare come per un disco, un sacco di tempo, senza ghostwriter. Non sarebbe il gadget del cantante ma una vera opera creativa. Io vorrei farlo di mio pugno e dovrei lavorarci magari un anno intero, non lo so, ma il libro dovrebbe essere vero, altrimenti è una stronzata e ti va pure contro.

Foto: Rankin; Giacca in pelle effetto vintage: Bottega Veneta
Tu ti senti parte della società?
Forse sono un antisociale. In realtà è ambivalente questa cosa perché sicuramente mi sento diverso dalle persone però al tempo stesso mi preme comunque essere parte di qualcosa di più grande altrimenti non avrei l’istinto di fare queste chiamate collettive. Ci sono proprio cose che mi fanno incazzare e ho un senso di giustizia che mi anima e mi fa venire voglia di non accettare le cose passivamente. Poi nel podcast ho detto che non ho mai votato e la gente, non tutta ovviamente, una parte, mi ha scritto lamentandosi di questa cosa come se fosse sinonimo di disimpegno. Lo capisco, ma è una cosa personalissima. Capisco anche che possa non essere condivisibile però effettivamente non credo nel voto come sistema per cambiare le cose. Sono al mondo da un bel po’, ho visto mio padre votare e non è mai cambiato nulla. A volte il voto mi sembra più un gioco per cui decido di non partecipare. Il mio contro-ragionamento è che se tutti pensassero come me questo sistema non sarebbe legittimato, capisci?
Certo che capisco, ma è un territorio estremamente scivoloso. Esiste un sistema migliore?
È quella la domanda. A maggior ragione oggi, dove ci sono delle istituzioni sovranazionali così forti e degli interessi così enormi, mi sembra veramente sciocco pensare che il voto possa davvero cambiare le cose.
Forse non bisognerebbe dare per scontato che con il voto si debba necessariamente condizionare un sistema o addirittura un ordine mondiale. Perché poi il rischio è che quelli che vanno a votare, che a volte sono quelli più incazzati, ti restituiscano governi come quelli che stiamo vedendo in Italia e un po’ in tutto il mondo.
Hai ragione, anche se il punto è che io non riesco a guardare le cose così in piccolo, vedo sempre tutto dal macro. Vedo la concatenazione che esiste tra l’economia, la politica, lo stato mentale delle persone, la cultura, è tutto totalmente intrecciato, per cui mi sembra ingenuo affidarsi a quell’unica cosa lì… ma è chiaro, io non dico di no, è giusto che la gente combatta attraverso il meccanismo democratico. Io combatto lo stesso, non attraverso il voto perché non ci credo più di tanto, ma piuttosto cercando di ispirare, di avere un impatto sulle persone. E quindi insomma, per tornare alla domanda iniziale, sono sempre stato un outsider, vengo da quella famiglia lì, e la risposta a se mi sento parte della società è insieme sì e no.
Ambivalenza.

Foto: Rankin; Tank top, orologio e gioielli: Marracash’s own.
Che aria tira in Italia?
Non bella. Però non è solo in Italia, è un po’ dominante nel mondo in questo momento. In Occidente sicuramente c’è quel sentimento lì, quel malessere lì, una mistura pericolosa di ignoranza data da politiche ventennali di riduzione della centralità della cultura e dell’istruzione e la spinta su sentimenti irrazionali di paura. Questi due elementi, ignoranza e paura, sono gli ingredienti della zuppa principale. Cioè, vuoi fare la zuppa di fascismo? Metti dentro ignoranza e paura.
Amen. Alleggeriamo tornando al tour: che altro ci puoi dire?
Allora questo tour, come dicevo, è una cosa un po’ nuova, almeno per me, perché cercherò di raccontare una storia attraverso le canzoni e attraverso delle parti rappresentate. Porrà più accento sulla scenografia che sugli effetti visivi, quindi sarà più concreto, più materiale. Avrò una band. Non troppi ospiti, non voglio fare un altro Marrageddon. Ma anche gli ospiti sono inseriti all’interno di un racconto.
Ma il racconto avverrà attraverso le canzoni o c’è un filo conduttore esterno?
No, c’è proprio una storia. Sono dei capitoli. Ci sarà anche un ospite d’eccezione, che comunque interagirà con me in maniera virtuale per tutto lo show. Avrò un interlocutore insomma, che sarà poi la cornice che mi permetterà, attraverso le canzoni, di raccontare tutto il percorso.

Foto: Rankin; Piumino in tech nylon: Bottega Veneta
E la dimensione dello stadio?
Non mi spaventa. I live in generale non mi spaventano, sono sempre un qualcosa che faccio con piacere, che raramente mi inquieta. Anche perché poi è un percorso lungo e io sono un perfezionista, quindi già il fatto che inizi mesi prima, che c’è il tuo team, fai tante prove, non lo so, riesco a considerarlo un’estensione dello studio, nel senso che quell’intimità che ho in studio la riesco a ricreare anche nel live.
In passato abbiamo – e tu hai anche ultimamente – già parlato più volte di salute mentale. Dicevamo a Londra che tu hai iniziato questo percorso attraverso le canzoni e non solo, che ha coinvolto anche altri artisti, magari all’inizio privatamente e ora sempre più pubblicamente.
Sì, io sono una persona che ha a che fare con la depressione dall’adolescenza, quindi la conosco bene, ho sempre avuto quest’alternanza di baratri e picchi di iperattivismo. Devo ammettere che ultimamente ho scoperto anche una nuova fase, che è quella dell’ansia di cui non avevo mai avuto esperienza. Non può essere una coincidenza, nel senso che così tante persone, artisti e non, soffrano di ansia sociale. L’ansia cerca di comunicarti qualcosa, cerca di farti capire che stai facendo qualcosa che va contro te stesso. Il fatto che così tanta gente soffra di ansia oggi significa che forse tanta gente agisce contro se stessa. E se stringiamo il campo da gioco tutto questo sistema dei social è proprio fatto perché tu non riesca a essere te stesso. È fatto per assomigliare a un modello, per schiacciare l’individualità. È veramente un bel rullo compressore di appiattimento. Ed è assurdo perché teoricamente doveva essere l’opposto. Apparentemente siamo tutti più liberi però poi non è vero.

Foto Rankin; Giacca e Jeans: Bottega Veneta, Boots: Timberland® Heritage 6-Inch
Tu non pubblichi quasi nulla, no?
Poco. Io pubblico poco. Solo praticamente robe di lavoro.
E della tua vita personale niente? Come mai?
Intanto perché secondo me è infinitamente più interessante seguire un’artista di cui puoi immaginare delle cose e non sai esattamente che cosa fa. Cioè, a volte è proprio una scesa. Ci sono artisti a cui vorrei proprio togliere il telefono. Come una volta si diceva toglietegli il vino, oggi toglietegli i social. Perché fanno solo un danno a se stessi. E poi ti esponi ogni volta a giudizi sommari che oggi come oggi sono sempre estremi, decontestualizzati, cercano comunque sempre la polemica perché il meccanismo è quello, la controversia.

Foto: Rankin; Giacca nylon metallizzato: Stone Island
Per tornare al discorso dei motivi per i quali il microcosmo degli artisti musicali è colpito da quest’epidemia di gente che non sta bene: quali sono le cause particolari?
I ritmi sono comunque pompatissimi. I ritmi di uscita. Perché comunque il meccanismo dello streaming genera il fatto che tu sia soggetto a continue misurazioni di quanto sei popolare. Per cui la produzione ipertrofica è una richiesta diretta. Poi fai un disco e dopo poco devi aggiungere dei pezzi. Un album diventano quasi due. Poi la promo, gli eventi. Non si finisce mai. È un tritacarne. Il problema è che l’artista in effetti la vive quella FOMO lì. Ti viene paura di sparire.
Anche tu hai paura di sparire?
Io ormai meno perché ho tirato talmente tanto la corda in passato che credo di aver scollinato. Ho già fatto aspettare anni i miei fan, per Status e Persona per esempio. Ho affrontato già quelle prove lì, ho visto che non è vero, che se sei interessante e hai veramente qualcosa da dire ce la fai. E anche gli altri artisti che sono identitari, unici, ce la fanno ma certo devono crederci loro per primi. Però quando ti trovi impegolato in quelle dinamiche lì, che ti senti costretto a buttare fuori qualcosa, poi si sbaglia. Poi sai, anche un’altra cosa va detta: oggi i social sono un po’ come una droga. Tutto questo meccanismo è come una droga. Ora noi questa droga la stiamo assumendo da anni e adesso stanno arrivando anche gli effetti indesiderati. Hai capito cosa voglio dire? Nel senso che siamo stati dentro questa roba qua genuinamente per un po’ senza pensare che magari avesse delle conseguenze e adesso stanno venendo fuori per tutti. Siamo stati delle cavie.

Foto: Rankin; Piumino in tech nylon: Bottega Veneta
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Marracash sarà il primo rapper italiano a fare un tour degli stadi in tutta Italia dal 6 giugno esibendosi a Bibione, al Maradona di Napoli il 10/6, all’Olimpico Grande di Torino il 14/6, a San Siro con due concerti il 25 e 26 giugno, fino all’Olimpico di Roma il 30/6 e a Messina il 5 luglio. Porterà in scena la trilogia composta da Persona, Noi, loro, gli altri e È finita la pace.
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Credits
Photographer: Rankin
Art Director: Alex Calcatelli per Leftloft
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Fashion Editor: Francesca Piovano
RS Graphic Designer: Stefania Magli
Business Development Manager: Matteo Berciga
Talent Manager: Paola Zukar
Talent Publicist: Valentina Ferrara
Island Promotion Manager: Paola Corradini
Promoter: Friends & Partners
Talent Stylist: Lorenzo Posocco
Image Consultant: Irma Papini
Groomer: Maya Man
Rankin Studio PR: Kay Riley
Video Operator & Editor: Andrew Mizzi
Photographic Team: Charlie Cummings, Olly Dundas