Divorarsi ‘Il Gattopardo’, con gli occhi e con la bocca | Rolling Stone Italia
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Divorarsi ‘Il Gattopardo’, con gli occhi e con la bocca

Nella serie, tratta dal classico di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il cibo parla più di quello che sembra. E racconta la storia di una Sicilia che cambia, tra grandi banchetti e cucina di sussistenza

Divorarsi ‘Il Gattopardo’, con gli occhi e con la bocca

Kim Rossi Stuart in 'Il Gattopardo'

Foto: Lucia Iuorio/Netflix

Il Gattopardo è come il ragù domenicale preparato dalla nonna: pensi di averne avuto abbastanza, la cipolla inizia a salire dritta in gola e forse hai bisogno di un Gaviscon, ma poi ti accorgi di avere spazio (per un altro episodio). Tra le top 10 serie tv in Italia su Netflix, Il Gattopardo è prodotta da Indiana Production e Moonage Pictures, con la regia di Tom Shankland, accompagnato da Giuseppe Capotondi (episodio 4) e Laura Luchetti (episodio 5).

Il Gattopardo deve il suo successo a una serie di variabili: una trama ben costruita, personaggi raccontati con sottile precisione, una Palermo che affascina con i suoi vicoli, le strade in rivolta e ambientazioni che ti fanno venir voglia di una lunga passeggiata in campagna, mentre tutto intorno la Storia inizia a mutare. E mentre questa produce i suoi effetti, il cibo si mostra nel suo massimo splendore: è sinonimo di opulenza, di ricchezza, di colori sgargianti e alti livelli di zucchero. Ma spesso è anche necessità, prima di una lunga giornata di lavoro. Per altri, insomma, il cibo è semplicemente un pasto per riprendere le forze, niente a che fare con il brillio delle grandi sale addobbate.

Ho una confessione da fare: con le serie tv storiche, mi capita spesso di immaginarmi in un’altra epoca, magari in sella a un cavallo o in compagnia di Hemingway, mentre mi racconta della sua ultima relazione tossica. Oppure seduto accanto al Principe di Salina, lungo una tavolata in cui ogni bontà è servita in nome dell’aristocrazia. Timballo di maccheroni, cassate, granita, fragole e panna, cannoli a non finire: la tavola di un principe che può permettersi il lusso del gusto.

Nel Gattopardo il cibo è un elemento centrale, non solo decorativo: da una parte i grandi banchetti, dall’altra una Palermo fatta anche di povertà, di una cucina che sazia quel che basta, senza troppi fronzoli. Il cibo, insomma, viene reso visibile e desiderabile. Un esempio? Il timballo dei Monsù.

Piatto borbonico per eccellenza, unisce i maccheroni al pollo e ai suoi fegatini, al prosciutto cotto e alla salsiccia, al tartufo e alle uova sode. Tutto ricoperto da una pasta frolla dolce e profumata, poi da una crema pasticcera. Ma al principe piacevano anche gli anelletti al ragù, la caponata di melanzane, i cannoli ripieni di ricotta fresca, la frutta martorana decorata a mano, i buccellati con fichi secchi, frutta candita e cioccolato e il gelo di melone. Vivo a Palermo da dieci anni, ho imparato a conoscere le contraddizioni di questa bella ma affannata città. Palermo, così come tutta la Sicilia, fa del cibo una delle sue forme d’arte più importanti. Vecchie tradizioni culinarie rimangono invariate, quasi preservate dalla storia, mentre altre non reggono il peso del nuovo marketing turistico, sempre alla ricerca di piatti invitanti, più estrosi che davvero buoni. Allora mi sono chiesto: mentre aspetto la nuova dieta della nutrizionista, perché non associare un piatto della tradizione culinaria siciliana ai personaggi della serie tv? Prometto di farvi venire fame, tanta fame.

Arancina accarne – Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina
Arancina “abburro” e arancina “accarne”. Non esistono altre verità. Per i palermitani, l’arancina è un fatto serio. Fritte, non al forno. Zafferano, non curcuma. Una palla di riso che ti promette amore eterno: quella “abburro” è fatta con prosciutto, mozzarella e besciamella, mentre quella “accarne” con ragù, piselli e carote. Una non basta, due sono ancora poche, cinque forse è il numero giusto. L’arancina conserva, però, un pizzico di malinconia nei confronti di un passato che sta pian piano scomparendo, un po’ come fa il Principe di Salina, interpretato da Kim Rossi Stuart (da piccolo conservavo i suoi ritratti nel diario segreto, grazie Kim). Il suo è il personaggio-emblema del grande cambiamento storico. Un po’ come un’arancina, che dalle sue solide origini oggi si è arresa a una serie di cambiamenti, spesso imperdonabili. Arancina alla nutella, arancina cotta al forno (questa fa davvero male), arancina con pollo al curry, arancina con ossobuco e zafferano (non esiste ancora, ma chissà). Sta di fatto che è impossibile sfidare il corso della storia: il Principe di Salina lo sa, si arrende pian piano, mentre la panatura dell’arancina si arrende agli zuccheri di una nutella non degna del suo amore.

Cassata siciliana – Angelica Sedara
La ricotta zuccherata di pecora, poi il pan di Spagna, la pasta reale e la frutta candita: la cassata siciliana è un dolce pensato per apparire nel massimo del suo splendore. Nato come dolce celebrativo pasquale, le sue classiche decorazioni barocche lo rendono un piatto difficile da ignorare mentre al bar prendi il tuo caffè mattutino. Come con la sua sorella cotta invece al forno (e anche meno zuccherata), la cassata siciliana richiede una grande attenzione nella scelta degli ingredienti, così come con le dosi. Una bellezza, insomma, dolce e misurata, come Angelica Sedara, interpretata da Deva Cassel, che riesce a portare sullo schermo tale eleganza e bellezza che è difficile non rimanerne incantato (scusami, Kim). Figlia di Don Calogero Sedara, il sindaco di Donnafugata, Angelica è quel mix perfetto di equilibri ben dosati. Non ha paura di essere fraintesa: rappresenta il cambiamento, un po’ come la Cassata al forno, pur restando ancorata a quella sicilianità che è il gusto buono di ogni cosa.

Busiate con pesto alla trapanese e patate fritte – Tancredi Falconeri
Patate fritte nella pasta? Ma questa è rivoluzione! Aglio, pomodorini, pecorino, mandorle, basilico, olio e sale sono i lineamenti di un carattere che può sembrare difficile da digerire ma che produce meraviglia, nonostante tutto. Niente frullatore! Il pesto alla trapanese va “pestato”, affinché sprigioni tutto il suo sapore. Le patate fritte, poi, rendono il piatto ancora più ricco di gusto, ma attenzione alla cottura: le patate devo restare dorate, non troppo unte. Un piatto, insomma, che grida per certi versi alla rivoluzione, come il nipote rivoluzionario di Don Fabrizio, Tancredi Falconeri, interpretato da Saul Nanni. È lui a partecipare ai moti garibaldini, tra l’indignazione di suo zio e l’amore incondizionato di Concetta. Mentre l’Italia cambia, lui rappresenta quell’equilibrio necessario affinché tutto possa funzionare e non essere necessariamente distrutto dal cambiamento stesso. Come un piatto di busiate, Tancredi si lascia avvolgere da un pesto alla trapanese (Angelica) e dalle attenzioni di Concetta (patate fritte) e sembra non saper scegliere chi tra le due sia degna del suo amore.

Pasta alla norma – Concetta Corbera
La pasta alla norma è un piatto essenziale, semplice e gustoso. La dolcezza delle melanzane si sposa bene con la sapidità della ricotta salata. Qualsiasi formato di pasta va bene, fresca o secca, ma i maccheroni sanno il fatto loro. Gli ingredienti sono pochi: melanzane, pomodori pelati, aglio, olio, basilico, sale e pepe. E ricotta salata, ovviamente. Ma attenzione: una melanzana amara potrebbe rovinare tutto. Ecco, questa è Concetta Corbera, figlia di Don Fabrizio e interpretata da Benedetta Porcaroli. Un amore non corrisposto, la fragilità di un’anima che si arrende al rimpianto e alla solitudine. Concetta non sembra adeguarsi ai cambiamenti, si muove lentamente, osservando un nuovo nel quale non sembra riuscire a trovare spazio. Di pasta alla norma non esistono grandi variazioni, tranne quelle che però rispettano religiosamente la ricetta di base. Concetta, grazie all’interpretazione di Benedetta Porcaroli, riassume la meticolosità di una cucina che diversamente non potrebbe esistere, se non con compromessi che cambierebbero il gusto di un piatto must della tradizione.

Biscotti di San Martino – Maria Stella Salina di Corbera
Alcuni piatti gridano alla rivoluzione, altri all’eleganza, altri ancora al gusto e all’abbondanza. I biscotti di San Martino gridano alla rigidità (e pure troppa). Maria Stella è la principessa moglie di Fabrizio Corbera, interpretata da una bravissima Astrid Meloni che si ritrova a dover impersonare una donna bigotta, chiusa, isterica e totalmente indifferente ai tradimenti del marito. La sua è una rigidità che spacca i denti, come i biscotti di San Martino, serviti tradizionalmente in occasione del santo, ogni 11 novembre. Anice e cannella sono i protagonisti di un dolce (poco zuccherino) che non fa impazzire di certo per la sua stravaganza. Inzuppati tradizionalmente nel vino, restano comunque duri e irremovibili in questa loro rigidità. In fin dei conti, Maria Stella è quella madre che ti vieta qualsiasi forma di gioia, perché l’importante è restare umili. Una madre che negli anni 2000 ti avrebbe sicuramente vietato di ascoltare i Tokio Hotel, perché contro natura.

Pasta con i tenerumi – Colonnello Bombello
Che scoperta la pasta con i tenerumi. Me la ricordo ancora quell’estate palermitana, la prima che ho passato in questa terra gioiosa. Incerto, mi lascio convincere dal consiglio di un mio amico. Ma non fa caldo per una pasta con il brodo? No se unisci spaghetti spezzati, pomodori pelati, la zucchina lunga e le sue foglie (i tenerumi, per l’appunto) e un po’ di aglio. Il gusto è delicato ma anche deciso, memorabile per certi versi. Un po’ come il Colonnello Bombello. Precisazione: non è la quantità di minuti sullo schermo a fare l’attore, ma la capacità di essere immortale. Alessandro Sperduti, nel ruolo, lo è. Nel suo modo di sorridere, di diventare serio e sfacciato, mentre sceglie se dare o meno il permesso al principe di raggiungere Donnafugata. Insomma, un po’ come un piatto di pasta con i tenerumi. Perché associarlo a un personaggio così complesso? Semplicemente perché, una volta assaggiato, ne rimani colpito, e ogni tua certezza su ciò che è giusto o sbagliato viene meno. Ti dimentichi del caldo, e degli edemi solari, per pensare solo al gusto di un piatto che è facile portare nella memoria. Un po’ come il colonnello Bombello.

Biancomangiare – Padre Pirrone
Latte fresco, zucchero, amido di mais, limone e vaniglia. Nient’altro. Mai sia aggiungere altro: il biancomangiare se ne sta alla larga da certi pensieri liberali che lo vorrebbero immerso nel cioccolato o nel caramello salato. Che peccato divino è mai questo? Alla fine, non è un dolce che sazia, piuttosto che accompagna verso il digestivo e il conto da pagare (speriamo il dolce sia omaggiato). Il biancomangiare è quel dessert non dolce che arriva sulla tavola zitto-zitto, per ricordare quanto siano belli i valori tradizionali di una volta, come fa Padre Pirrone, interpretato da Paolo Calabresi. Confessore personale di Don Fabrizio è una figura che si contraddistingue per la sua moralità e religiosità, e che ben rappresenta il ruolo della Chiesa durante gli anni del cambiamento. Un biancomangiare potrà ricordare anche che la prova costume si avvicina, ma a te non interessa e finisci per ordinare quel cannolo grande quanto un braccio, che probabilmente mangerai tutto da solo.

Anelletti al forno – Don Calogero Sedara
Con l’uovo o senza uovo? Tra versioni tradizionali e altre più innovative, gli anelletti al forno raccontano di una Sicilia che, nonostante i cambiamenti, conserva un posto speciale per la tradizione e i gusti autentici. Ma attenzione alla cottura: non troppo bruciacchiati né troppo molli. C’è bisogno di equilibrio e giusti compromessi. Il primosale, il macinato misto, il caciocavallo da grattugiare: anche in questo caso è tutta questione di dosi ben distribuite (e di giusta temperatura del forno). A quale personaggio si può associare? Ma ovviamente a Don Calogero Sedara, padre di Angelica nonché sindaco di Donnafugata, interpretato da Francesco Colella. Entrambi sono l’emblema storico di una borghesia che pian piano sta prendendo piede, come gli anelletti al forno che cercano un posto nel tuo stomaco, mentre si lasciano digerire con tutta la calma di questo mondo.

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