La cultura dell’alcol nei Paesi arabi è più complessa di quello che crediamo | Rolling Stone Italia
bere o non bere?

La cultura dell’alcol nei Paesi arabi è più complessa di quello che crediamo

Divieti, scappatoie, compromessi. E alternative analcoliche che spingono in avanti la mixology contemporanea. Una guida per comprendere il rapporto dell'Islam con le bevande alcoliche, e come navigarlo quando la gola è secca

cocktail bar muscat

Un cocktail bar a Muscat

Foto: Mike Tamasco

Tra i piccoli grandi successi editoriali del 2024, uno dei titoli che ha suscitato maggiore interesse è stato Santi e bevitori di Lawrence Osborne. Pubblicato in traduzione nell’estate dell’anno scorso, il libro ha rapidamente conquistato pubblico e critica. Osborne, autore britannico, racconta in questa opera il proprio tentativo di disintossicarsi dall’alcolismo scegliendo un autoesilio nei Paesi musulmani. Un’idea che assume i contorni di un contrappasso dantesco: cercare la sobrietà proprio in luoghi in cui il consumo di alcol è ufficialmente vietato o fortemente limitato. 

Pur presentandosi come un romanzo, il libro è in realtà una raccolta di reportage di viaggio, nei quali affiora una verità spesso ignorata: sebbene la legge islamica proibisca l’alcol, in molti Paesi del mondo arabo la sua somministrazione è in realtà tollerata, soprattutto per i turisti e gli stranieri residenti (se sei cool devi dire expat).

Dubai

Dubai. Foto: Mike Tamasco

Non solo le mete classiche del Mediterraneo (Marocco ed Egitto, ma anche Tunisia): oggi il turismo nel mondo arabo si è popolato – anche piuttosto prepotentemente – dei Paesi del Golfo, che ha registrato una crescita significativa, trasformando alcune di queste nazioni in destinazioni di primo piano per i viaggiatori di lusso. Dubai ha accolto oltre 14 milioni di turisti nel 2023, mentre l’Arabia Saudita sta investendo miliardi di dollari per attrarre visitatori con progetti come quello di Al-‘Ula, antica città considerata “gemella” di Petra, in Giordania, e “perla del deserto”. Anche l’Oman, con la sua combinazione di paesaggi incontaminati e ospitalità raffinata, sta emergendo come una meta privilegiata per chi cerca un’esperienza più autentica e meno affollata.

Non è un segreto: questi nuovi paradisi per i vacanzieri ospitano una vivace scena notturna e un’offerta di locali di lusso in cui il consumo di alcol è permesso. Ne è un esempio Dubai, dove addirittura si trovano alcuni bar presenti nella classifica 50 Best Bar, ma se ne è parlato diffusamente anche per quanto riguarda il Qatar, dove, nonostante le restrizioni imposte durante i Mondiali del 2022, gli hotel di fascia alta continuano a servire cocktail e vini pregiati alla clientela internazionale.

Complice questo marzo, che coincide con il mese lunare del Ramadan (e che quindi ci offre ottimo spunto per parlare di restrizioni alimentari di natura religiosa) e anche il molto più prosaico fatto che questi mesi freschi sono quelli preferiti dalla maggior parte dei viaggiatori per visitare la penisola arabica, ecco una miniguida nazione per nazione, con tanto di consigli di nostri connazionali expat (visto? Funziona!) su come comportarsi nei confronti degli alcolici in quest’area di mondo.

Dubai

Dubai. Foto: Mike Tamasco

Il divieto dell’alcol nell’Islam: origini, significato e implicazioni
Partiamo da un minimo di basi culturali: perché i musulmani non possono consumare l’alcol? Ovviamente i motivi sono da ricercare nel Corano, il libro sacro dell’Islam, che affronta il tema in più versetti. Curiosamente il testo non impone un divieto assoluto, ma ne scoraggia l’uso: «Ti chiedono del vino e del gioco d’azzardo. Di’ loro: in entrambi c’è un grande peccato e qualche vantaggio per gli uomini, ma il loro peccato è maggiore del loro vantaggio» (Corano, 2:219).

Successivamente, il Corano invita i credenti a non avvicinarsi alla preghiera quando si trovano in stato di ebbrezza: «O voi che credete! Non avvicinatevi alla preghiera mentre siete ubriachi, finché non comprendiate quello che dite…» (Corano, 4:43). Infine, in quello che viene interpretato come il versetto definitivo sull’argomento, il divieto diventa esplicito: «O voi che credete! Il vino, il gioco d’azzardo, le pietre idolatriche e le frecce divinatorie sono abominazioni opera di Satana. Evitateli, affinché possiate prosperare» (Corano, 5:90).

Secondo molti studiosi del Libro sacro e della cultura islamica, questa progressione (come anche dimostrano gli studi storici e archeologici) dimostra come il divieto dell’alcol sia stato introdotto gradualmente fino a diventare un tabù. Ma come racconta per esempio lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf nel romanzo Samarcande (pubblicato nel 1998, purtroppo in Italia è ormai praticamente introvabile in assenza di future ristampe) nella società musulmana dell’anno 1000 si scrivevano poesie ispirate all’amore per il vino e per le donne.

Oman

Oman. Foto: Mike Tamasco

Dal punto di vista giuridico, la proibizione dell’alcol rientra nelle norme della sharia, la legge islamica. Nella maggior parte dei Paesi a maggioranza musulmana, il consumo di bevande alcoliche è vietato o fortemente limitato. In Arabia Saudita e in Iran, per esempio, il possesso e la vendita di alcol sono illegali, mentre in altri Stati come gli Emirati Arabi Uniti e la Tunisia esistono eccezioni per i non musulmani e per il turismo, mentre in stato come la Turchia esiste una lunga tradizione vinicola. E come non menzionare la produzione del distillato d’uva all’anice raki (una bevanda simile all’ouzo greco). Anche in Marocco e in Libano, poi, il vino è prodotto e consumato, sebbene con restrizioni.

Guida per bere (o non bere) nella Penisola Arabica
La Penisola Arabica, culla della civiltà araba e dell’Islam, è una delle regioni più affascinanti e strategicamente rilevanti del mondo. Situata tra l’Africa e l’Asia, è delimitata dal Mar Rosso a ovest, dal Golfo Persico a est, dall’Oceano Indiano a sud e dal vasto deserto siriano a nord. Questa terra, caratterizzata da paesaggi desertici, oasi rigogliose e città ultramoderne, è oggi suddivisa in sette Stati sovrani: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman (di cui ci occuperemo nelle prossime righe, e poi Bahrein, Kuwait, Yemen, di cui non parleremo nello specifico perché per motivi diversi sono più chiusi al turismo o addirittura in guerra).

Oman

Oman. Foto: Mike Tamasco

Oman
L’Oman è noto per la sua storia millenaria e per essere uno degli Stati più pacifici della regione. A differenza degli altri Paesi del Golfo, che hanno puntato su sviluppo urbano e grattacieli, l’Oman ha scelto un approccio più equilibrato, preservando il suo patrimonio culturale e naturale. Giusto per fare un esempio, nella capitale per legge nessun edificio può superare i 14 piani d’altezza, in modo che nel complesso la città risulta connotata da una forte impronta tradizionale.

Oman

Foto: Mike Tamasco

Politicamente, l’Oman è una monarchia assoluta, governata dal Sultano, che gode di un ampio consenso grazie a un governo relativamente stabile e riformista. «In Oman, l’Islam vieta il consumo di alcol ai musulmani, ma per accomodare gli espatriati e i turisti il governo consente la vendita in strutture autorizzate come hotel, ristoranti e club privati. L’acquisto di alcolici da parte dei non musulmani è regolato da un sistema di permessi, e può avvenire solo in negozi specifici. Il consumo è permesso in luoghi privati o locali con licenza, ma l’ubriachezza in pubblico è severamente vietata».

Così racconta Fabio Marzano, General Manager del ristorante Roberto’s Muscat, aperto all’interno del nuovo The St. Regis Al Mouj Muscat Resort. «La società omanita è nota per la sua ospitalità e apertura verso le culture diverse. Pur mantenendo le proprie tradizioni religiose, il Paese adotta un approccio flessibile nella gestione dell’alcol per i non musulmani. Tuttavia, chi lo consuma è tenuto a farlo con moderazione e rispetto per le sensibilità locali, evitando comportamenti che possano essere considerati offensivi».

Oman

Foto: Mike Tamasco

Emirati Arabi Uniti
Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono una federazione di sette emirati, di cui Dubai e Abu Dhabi sono i più noti a livello internazionale. Abu Dhabi è la capitale e possiede la maggior parte delle riserve petrolifere del Paese, mentre Dubai si è affermata come uno dei centri finanziari e turistici più dinamici del mondo. Negli ultimi decenni, gli Emirati hanno trasformato il loro paesaggio da un’area desertica a un hub globale dell’innovazione, con grattacieli futuristici, progetti infrastrutturali ambiziosi e un’economia sempre più orientata al lusso e ai servizi.

A livello politico, il Paese è una federazione con un sistema di governo più centralizzato rispetto ad altre monarchie del Golfo. Qui ovviamente il consumo di alcolici è molto più tollerato che altrove come ci racconta Giacomo Vezzo, Assistant Director di Grosvenor House Dubai.

Dubai

Dubai. Foto: Mike Tamasco

«A Dubai e negli Emirati Arabi Uniti (escluso Sharjah), il consumo di alcol è consentito solo in aree designate. Le licenze per la vendita vengono concesse principalmente agli hotel con almeno tre stelle, nei quali il turismo gioca un ruolo centrale». Continua: «Oltre agli hotel esistono aree specifiche, come le Free Zone, dove le normative sono meno restrittive, a condizione che venga ottenuta una licenza governativa. Un requisito fondamentale per queste licenze è che l’alcol non sia visibile dall’esterno. Nonostante il contesto culturale, il consumo di alcol è significativo. Per esempio, nel nostro hotel serviamo oltre 4.000 Negroni e stappiamo almeno 20.000 bottiglie di birra all’anno. Tuttavia bere in pubblico non è consentito, e l’acquisto per consumo personale richiede una licenza ottenibile tramite un’app dedicata, non disponibile per i cittadini musulmani».

Ma non solo, negli emirati si è addirittura andati oltre, con l’apertura del primo impianto dedicato alla produzione di bevande alcoliche del Golfo. «Fino al 2024, la produzione di alcolici era vietata nel Paese, ma l’apertura della prima birreria artigianale ad Abu Dhabi segna un nuovo capitolo per lo sviluppo della produzione locale». Dice Vezzo, che poi conclude «La percezione dell’alcol tra le persone di fede musulmana varia: alcuni lo evitano completamente, mentre altri frequentano volentieri ambienti dove viene servito, pur senza consumarlo. Dubai si distingue per la sua capacità di garantire una convivenza armoniosa tra chi sceglie di bere e chi preferisce evitarlo».

Dubai

Dubai. Foto: Mike Tamasco

Qatar
Il Qatar, pur essendo geograficamente uno dei Paesi più piccoli della Penisola Arabica, ha acquisito un’enorme influenza politica ed economica grazie alle sue ricchezze energetiche. Con alcune delle più grandi riserve mondiali di gas naturale liquefatto (GNL), il Qatar è uno dei principali esportatori di energia e ha utilizzato le proprie risorse per guadagnarsi un ruolo di rilievo nella politica internazionale.

La capitale Doha è un centro in espansione per eventi culturali, sportivi e diplomatici. Il Paese ha ospitato i Mondiali di Calcio del 2022, attirando l’attenzione globale e investendo miliardi di dollari in infrastrutture. Politicamente, il Qatar è una monarchia governata dalla famiglia Al Thani, con un sistema relativamente più aperto rispetto ai suoi vicini, anche se il potere resta fortemente centralizzato. Per quanto riguarda le regole sul consumo in Qatar ci siamo rivolti a Francesco Galdi, che in quanto Corporate Beverage Manager del gruppo Buddha Bar segue qui il B Lounge di Doha, ma a cui sarebbe stato possibile chiedere informazioni su quasi qualsiasi paese dell’area MENA, perché come lo definiva un articolo di qualche anno fa Francesco è “l’uomo che apriva bar nel deserto”.

«In Qatar, il consumo e la vendita di alcolici sono strettamente regolamentati. L’unico distributore autorizzato è il Qatar Distribution Company, e solo i residenti espatriati con un permesso speciale possono acquistare alcolici per uso personale. Nei locali pubblici, l’alcol è servito esclusivamente in ristoranti e hotel con licenza, ma durante le festività religiose – come il Ramadan – la vendita e il consumo vengono completamente sospesi. Gli espatriati possono acquistare alcolici con un permesso speciale, che permette di spendere fino al 20% del proprio stipendio mensile in bevande alcoliche».

«Le norme sono particolarmente rigide anche per quanto riguarda il consumo: il drink and drive è severamente punito e, durante eventi internazionali come i Mondiali di Calcio 2022, le restrizioni sono state ulteriormente inasprite, limitando la vendita negli stadi e nelle aree circostanti».  Ma visto che Doha non nasconde le proprie ambizioni turistiche, negli ultimi anni lo scenario sta cambiando.

«Nonostante le restrizioni, la nightlife in Qatar è in crescita, con locali che offrono una selezione di cocktail analcolici e alternative raffinate per chi cerca un’esperienza simile ai lounge bar occidentali, ma senza alcol. Negli ultimi anni, il paese ha mostrato una maggiore apertura verso un modello più internazionale, pur mantenendo una visione conservatrice rispetto ad altri stati della regione, come gli Emirati Arabi Uniti».

Arabia Saudita
Chiudiamo il nostro tour con l’Arabia Saudita, lo Stato più grande della Penisola Arabica, di cui copre circa l’80% della sua superficie. È la patria delle città sante dell’Islam, La Mecca e Medina, e ospita la famiglia reale saudita, una delle più influenti del mondo arabo. L’economia del Paese è fortemente dipendente dall’industria petrolifera, con le riserve tra le più vaste del pianeta.

Negli ultimi anni, tuttavia, il governo ha avviato un’ambiziosa strategia di diversificazione economica, il piano Vision 2030, che punta a ridurre la dipendenza dal petrolio e a sviluppare settori come il turismo, la tecnologia e l’intrattenimento. Politicamente, l’Arabia Saudita è una monarchia assoluta, con un sistema legale basato sulla sharia.

Nonostante le riforme recenti, il Paese mantiene rigide restrizioni sui diritti individuali e sulla libertà di espressione. Curiosamente però negli ultimi anni, dopo la salita al potere di Mohammed bin Salman, il paese è in rapidissimo cambiamento, e a raccontarcelo è Alice Bindini, proprio una donna che oggi ricopre il ruolo di Bar Manager al Four Seasons Riyad, in un paese in cui fino a qualche anno fa alle donne non era possibile guidare:

«L’Arabia Saudita è una dry country, ovvero un Paese in cui l’alcol è completamente vietato per motivi religiosi. Non esistono licenze speciali per la vendita, nemmeno negli hotel di lusso, e il consumo è illegale. Tuttavia il settore dell’hospitality sta evolvendo rapidamente. L’assenza di alcolici ha spinto i professionisti del settore a reinventare il concetto di cocktail, concentrandosi su ingredienti alternativi e tecniche innovative. Questo ha portato a una maggiore attenzione alla qualità e alla sperimentazione, con la creazione di drink analcolici bilanciati e strutturati».

E se fino ad adesso abbiamo parlato di come i paesi islamici abbiano “copiato” l’Occidente, secondo Alice in questo caso potremmo assistere al fenomeno contrario. «Fino a pochi anni fa, in Occidente i cocktail analcolici erano considerati un’opzione di serie B, riservata a minorenni, guidatori o donne incinta. Oggi, invece, stanno emergendo come un nuovo modo di pensare la mixology. In Arabia Saudita, dove il mercato è già orientato in questa direzione, i bartender devono sviluppare un approccio completamente diverso, lavorando sulle texture e sugli equilibri degli ingredienti».

Infine, per quanto riguarda il parere dei Sauditi sulle bevande alcoliche, la sua risposta è quella che ci si può attendere per un Paese che vive un rapporto simbiotico con la religione e solo ora si sta affacciando al mondo. «Nel Paese, la percezione dell’alcol varia molto in base all’esperienza personale. Alcuni cittadini sauditi, viaggiando all’estero, hanno avuto contatti con culture in cui l’alcol è più diffuso, ma rimane comunque un forte stigma sociale».

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