Il pain au chocolat è morto, viva il pain suisse | Rolling Stone Italia
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Il pain au chocolat è morto, viva il pain suisse

La viennoiserie dei golosi per eccellenza sta cambiando: c'entrano i social, un certo Cédric Grolet, i trend, ma anche il recupero della tradizione pasticceria d'Oltralpe

pain suisse

Un pain suisse

Foto: @ninacoriton su Instagram

Che uno mica riesce a starci dietro a tutte ‘ste mode gastrofighette. Mentre ci stiamo riprendendo dalla crisi degli stellati a favore delle osterie contemporanee, e non abbiamo ancora deciso se preferiamo andar per cocktail bar o vinerie naturali, ecco che ci assale un nuovo dilemma: qual è il prodotto da colazione migliore che ci sia?

La sbornia della pasticceria nordica, con i suoi roll e i suoi bun, appare ridimensionata a favore della cara vecchia viennoiserie di stampo francese. Che oggi non punta più (o non solo) sui cro-cosi, croissant dalle forme e dai nomi più svariati, dallo spigoloso crube allo svettante cruffin, figli e figliastri del celebre cronut di Dominique Ansel, francese New York based. E neppure più – come sembra – sul pain au chocolat, icona della pasticceria d’Oltralpe forse avviato sul viale del tramonto.

A molti il nome del “pane al cioccolato” (o chocolatine, come viene chiamato in alcune parti della Francia) evoca ancora eleganti petit déjeuner parigini, la fragrante pasta ricolma di cioccolato fondente servita al tavolino da camerieri svolazzanti, con café au lait d’ordinanza. Ma la realtà sono (spesso) fagottini surgelati rigenerati al bar, infarciti (poco) di gocce al cioccolato dal sapore chimico, quando non asciutti saccottini da supermercato e prodotti di marca più o meno firmati da chef televisivi (Bruno Barbieri per Motta).

Il primato annacquato di miglior pasta francese è così insidiato da un parente prossimo meno inflazionato e, soprattutto, più instagrammabile, il pain suisse.

Sulla carta, i due “pain” sono molto simili, entrambi paste lievitate sfogliate con barre di cioccolato fondente. Ma lo “svizzero” (così chiamato in onore di un ipotetico pasticciere elvetico cui si attribuisce l’invenzione) aggiunge al ripieno un cuore di crema.

Al momento prodotto di nicchia di produzione artigianale, non ancora fagocitato dall’industria dolciaria, la versione basic è una sorta di sfilatino, una lunga striscia farcita e ripiegata (non arrotolata come nei classici fagottini). Si deve al pastry star francese Cedric Grolet la creazione della sfogliatura aggiuntiva in copertura, che rende il pain suisse così fotogenico, con la superficie rigata che impazza sui social.

La domanda nasce spontanea: siamo tutti così scemi da apprezzare un cibo solo perché viene bene in foto? Lascio in sospeso la risposta e mi faccio raccontare il successo del pain suisse da uno che la sa lunga, Fabrizio Barbato dell’Ile Douce di Milano: «Agli italiani piacciono le paste da colazione con la crema. Noi la mettevamo anche in molti croissant – oggi meno – cosa che in Francia sarebbe una bestemmia, perché il croissant nasce vuoto, non è un cornetto».

Sia il chocolatine che lo suisse condividono con il croissant l’impasto: niente uova e poco zucchero, a tutto vantaggio del sapore di burro. Come mi raccontava un amico romano appassionato del genere, «in tanti provano a fare pasticceria francese o alla francese. Il limite? La burrosità alleggerita secondo il gusto italiano. In Francia il burro c’è, tanto, e si sente, ma raramente stucca. Qui lo levano o ne usano di bassa qualità». Viceversa, come spiega Barbato, nella preparazione a regola d’arte devono essere bandite le cosiddette margarine mélange (un mix economico di margarina e burro) e i burri dozzinali a favore di grassi di primissima scelta: per l’Ile Douce, Echiré Charentes-Poitou Aop.

È dunque il burro il cuore (letteralmente) dell’impasto in cui Barbato non ricerca più un’alveolatura esagerata – scenografica ma «alla fine mangiavi l’aria», dice – e preferisce una lievitazione meno spinta che garantisce un morso scioglievole. Al lievito di birra aggiunge una quota di lievito naturale minima, così da non percepirne l’acidità ma migliorare la shelf life dei prodotti. Da questo impasto sforna entrambe le paste: pain au chocolat, farciti con 4 barrette di cioccolato belga da cottura 60%, e pain suisse che, su 65-70 grammi di impasto, ne hanno 15 del medesimo cioccolato e 20 di crema.

Insomma, se i prodotti sono ben fatti (e sottolineo se), l’unica differenza sta nella crema, nell’aspetto estetico più accattivate dello suisse versione Grolet (quello che va per la maggiore) e nel fattore-novità. «Per anni abbiamo mangiato pain au chocolat scadenti» osserva Barbato. «Ora scopriamo pain suisse di qualità. Finché non arriveranno pain suisse scadenti…».

In attesa del nuovo hype, godiamoci i “pani svizzeri” sfornati in pasticceria, ma anche nelle bakery e boulangerie nostrane, che affiancano alla viennoiserie la produzione di pane e affini. Restiamo a Milano per ripassare alcuni noti indirizzi: Egalité, che con i suoi lievitati salati e dolci è arrivato alla terza apertura cittadina; Marlà, gettonatissima pasticceria con laboratorio a vista e gente in fila; Pan, eclettico locale nippo-internazionale salito agli onori delle cronache per il suo shokupan (pane al latte giapponese) ma piazzatissimo anche sulla pasticceria francese e nordeuropea. I pain suisse fanno bella mostra di sé su tanti altri banconi, da quello di Loste cafè a quello di Pavè di cui ricordiamo la mugnaga, edizione speciale con stessa tecnica e stessa forma, ma farcia all’albicocca e pasta di mandorle.

Barbato ci tiene a segnalare i pastry chef d’hotel Cesare Murzilli e Marco Pinna, rispettivamente Portrait e Mandarin Oriental (sempre a Milano), e un nome da tenere d’occhio: Joele Masi del Luminist di Giuseppe Iannotti alle Gallerie d’Italia a Napoli. Apprezzamenti anche per i romani Casa Manfredi (esagerati: hanno appena creato un doppio pain suisse con crema alla fava tonka e albicocca pellecchiella) e Love Specialty Croissants – and coffe aggiungo: che chissà perché la pasticceria più modaiola ormai si deve sposare per forza con le miscele di caffè più ricercate. Così come con le code. E persino con il numero chiuso: da Grani, farine e caffè l’asporto dei croissant è possibile fino a 5 pezzi (!): non è dato sapere il limite per i pain suisse e le loro declinazioni più originali, come la recente con pralinato di mandorle salato, crema al latte e vaniglia.

Sfornano pain suisse i locali polifunzionali come Cresci, bistrot aperto da colazione a cena dietro le mura vaticane, mentre Luca Pezzetta del MicroForno di Fiumicino lo fa anche salato, farcito con vitello tonnato e servito nella sua pizzeria Clementina.

Viene da chiedersi se tutta questa creatività non sia il primo passo per snaturare un prodotto che nasce semplice, solo poco più elaborato del pain au chocolat da cui siamo partiti. E che, a sua volta, è probabilmente stato l’evoluzione della merenda buona e genuina di tutti noi bambini: pane e cioccolato, appunto.