Una mattina di novembre un pischello attraversa Ponte Milvio, in direzione del piazzale, contemplando malinconicamente, al di là della torretta del Valadier, il campo di tante battaglie. Sebbene queste avessero come oggetto la conquista di una pischella, e non di un impero, per lui — soprattutto lontano dai pasti — la cosa non fa alcuna differenza. Ai suoi occhi, quegli scontri non sono stati meno eroici della guerra, combattuta proprio qui diciassette secoli fa, tra gli eserciti di Costantino e Massenzio, e conclusa con la battaglia che porta il nome del ponte. Quella prima della quale a Costantino apparve una croce, accompagnata dalla profezia: In hoc signo vinces (“Sotto questo segno vincerai”). Solo che, nel caso del pischello, il simbolo dei sogni non ha assunto forma di croce, ma un’altra.
Il dramma del nostro è che, pur avendo egli vinto molte di quelle battaglie, gli è bastato rimettere piede in piazza, perché gli sembrassero comunque tutte perdute. Non avrebbe mai immaginato che, tornando nei luoghi della sua gloria, avrebbe visto tanta rovina e distruzione. Il cambiamento in atto nel quartiere che conobbe il suo trionfo lo sgomenta, un po’ come se un ragazzo di vita pasoliniano si imbattesse, oggi, nello Scarpe&Scarpe che un tempo era la campagna romana che percorreva a piedi scalzi.
Dove c’erano distese di motorini e macchinette 50 a perdita d’occhio — così ignorantemente parcheggiati che, da un lato all’altro delle vie, le doppie, triple, quadruple file arrivavano quasi a toccarsi — ora campeggiano Nissan Micra e passeggini Inglesina. Dove c’erano shottinerie oggi ci sono champagnerie e gintonerie. E dove ancora resiste eroicamente un manipolo di 100 Montaditos, domani ci saranno solo tisane. La profumerie artigianali, come Fragranze, fanno a gara con Profumo, il cocktail e tapas bar sensoriale, per il primato di offesa più grave alla memoria del pischello. Al posto di muri da imbrattare in libertà, ecco che locali come Mac3llo si sono dotati di enormi pareti di ardesia, su cui gli avventori sono invitati a lasciare l’orrore di un proprio pensiero scritto. In sintesi: non c’è una persona a piedi senza almeno un cane e non c’è un cane senza almeno una tessera punti al negozio di articoli per cani. Di questo passo, pensa il pischello, cominciando ad agitarsi, si rischia di vedere riaprire una vera libreria.
Un intero filone di involuzione della specie, faticosamente ottenuta, improvvisamente pare inservibile. La capacità polmonare necessaria per respirare e combattere nello smog; il coordinamento psico-motorio per provarci con le ragazze in motorino e in corsa, come in una giostra medievale; la capacità di riconoscere le principali eau de toilette a distanza di decine di metri, perché nel buio della notte, al Nice, era di vitale importante poter distinguere tra la tua pischella e quella del tuo arcinemico, il corpulento Manfredi, nella primavera della Lazio Rugby. Tutto inutile.
Un disvalore che non mancava mai di impressionare le pischelle era il disprezzo epico-cavalleresco dei valori termometrici. Anche in pieno inverno, il pischello amava deambulare tra un motorino e l’altro protetto da una sola Fred Perry a maniche corte. A distanza di così pochi anni, forse giusto il tempo di un paio di esami, oggi l’obiettivo delle serate a Ponte Milvio sembra essere diventato quello di addormentarsi sotto una stufa a fungo, contandosi i fili del maglione di cashmere.
Come tanti altri commilitoni, con meno coraggio, ma anche meno raffreddori, il nostro aveva creduto di essere invincibile. Sarebbe stato salvo dal futuro almeno finché, sulla piazza, fossero rimasti in piedi i suoi due punti di riferimento spirituali: la chiesa della Gran Madre di Dio e la pompa di benzina Totalerg, con la dedica in latino a Maria e il prezzo del diesel egualmente in risalto sugli stessi centimetri quadrati di cielo blu: la Madonna delle Accise. Quanto si sbagliava.
I primi a sentire il pericolo, come gli animali domestici prima di una calamità naturale, sono stati i locali ibridi, come i bar-tabacchi. L’asso nella manica di Pallotta, ad esempio, è stato potenziare la libreria annessa. Per capire che sarebbe stata la mossa giusta, gli è bastato fare attenzione al calo del desiderio delle sigarette tradizionali e all’avvento degli spazi ricarica per le iQos, nei ristoranti.
Il panificio (forno, bar, pizzeria) Nazzareno, nel frattempo, è diventato il luogo cruciale per il nuovo Ponte Milvio, come l’asse tra il McDonald’s e la buonanima dello zozzone di Corso Francia era per quello del passato. Il Nazzareno, che il pischello — per capirci — teme più del catechismo, è il crocevia ideale tra passato edonistico e scriteriato e le novità mature e raziocinanti del quartiere. Soddisfa tutti: dal fabbisogno, sempre crescente, di brioche vegane alle 8 di mattina, agli ultimi residui di fame chimica, alle 4 di notte.
Per il nostro, che fino a ieri svettava a cavalcioni del suo Scarabeo, fieramente posteggiato su un’aiuola, con la stessa strafottenza del Kim di Kipling sul cannone Zam Zammah, ormai i timori sono diventati certezze: per lui Ponte Milvio, che era stato la sua via Pál, è diventato il piazzale del tramonto. Sulla lacrima che avrebbe tanto voluto tatuarsi sotto l’occhio comincia a scenderne una vera.
Al cospetto del cambiamento, il pischello non è meno abbattuto di quanto non lo siano stati i suoi nonni quando hanno appreso, in un brutto giorno del 1982, che il mercato del piazzale si sarebbe spostato sul marciapiede che divide a metà viale Tor di Quinto. Il suo è un nostalgismo perfettamente uguale e contrario a quello degli avi: non della tranquillità e della famigliarità di un quartiere riunito intorno al fiume, solidale nei pranzi della domenica come nelle esondazioni nel Tevere; ma della caciara e delle ribalderie, della privazione del sonno tattica e del sistema valoriale truccato come un motorino.
“Dove sei, Manfro, ora che una tua mazzata in capo, anche senza casco, sarebbe più dolce di una carezza? E dove sei finito, Lodo, fido scudiero, amico di penna a tutto gas in sella all’SH, in mezzo a questo ritrovo per gente che sembra venuta qui tutta in bicicletta assistita e, finita l’autonomia delle batterie, abbia deciso di restare e mettere su famiglia, in questa strana variazione sul tema della gentrificazione che mi viene da chiamare, reprimendo un conato di vomito, piacevolezza o normalità?”
Mentre al pischello gira la testa, non smettono di avanzare i confini del famigerato Pigneto di Ponte Milvio — un tempo limitato a via degli Orti della Farnesina — dove tutti si salutano, dove nessuno è indifferente agli altri: prova di quanto possa essere crudele un assedio non violento.
Nella disperazione, in mezzo ai fumi dell’alcol, l’unica gioia residuale è il nuovo mercato di via Riano. Lì, almeno, sembra che un mercato rionale abbia generato un centro commerciale, con il mercato che continua a vivere al suo interno, come se dei banchi, unendosi alla Voltron, si fossero messi d’accordo per trasformarsi in un robot più grande.
Ma ormai è arrivata la sera, e sta per accadere quello che non dovrebbe. Sul riflesso della vetrina del concept store Niki Nika il pischello si guarda e non si riconosce. Quella che sembrava la polo di sempre, sdrucita nei punti giusti, a guardare meglio sembra essersi scolorita e tramutata in una maglietta della salute. All’opposto di quello che avviene quando torniamo, da adulti, in una casa della nostra infanzia, e tutto ci sembra più piccolo; qui, con il traffico non violento che avanza, al pischello comincia a sembrare tutto più grande, compreso lui e l’angoscia di dover riempire quei vuoti tra le lamiere e le speranze smarrite. In ciascuno di noi si imparanoia un ragazzo come come lui, quando cresciamo o smettiamo di sfasciare gli specchietti dei nostri rivali in amore.
Ma restiamo calmi. Il suo olfatto da caccia alla volpe ha colto, tra le polveri sottili e l’odore di baguette al kamut, una nota di Coco Mademoiselle. Inalarla a pieni polmoni è quasi come mandare giù un aperitivo di gloria anticipata. Il suo corpo già chiama a raccolta le forze, per un ultimo attacco. Da qualche parte, c’è ancora una pischella che lo aspetta e, con lei, la battaglia finale. All’apice della motivazione gli sembra di sentire, trasportata dal vento, tenue come l’eau de toilette, ma comunque discretamente mixata, Love generation di Bob Sinclair. La intona come un canto di guerra.
Invece è la moglie. Forse, uscita da Cipria 2, aveva voluto giocargli un brutto tiro con un campioncino di passato. La situazione precipita. Un passeggino biposto (per gemelli o fratellini vicini di età) lo attende col fermo tirato, sul marciapiede, fatto che però non solo non sembra in violazione di alcun articolo del Codice della strada, ma la cui presenza sembra invece sancita o addirittura favorita dalla società che gli si trasferisce e gli cresce intorno. Sembra essere sul punto di gridare tutto il suo dolore alla Adriano Celentano che avesse perso in un sol colpo la via Gluck, l’erba, i capelli e la promiscuità sessuale dei primi film, ma resta muto. Accanto al passeggino, un Labrador chocolate gli scodinzola con un guinzaglio in bocca. Il cane è così ben addestrato che non ne ha bisogno. Infatti quel guinzaglio è per lui.