Il mondo della musica ha perso una vera icona: Anita Lane, la musicista dei Bad Seeds che ha contribuito a ridefinire il concetto di male nel rock. «C’era una volta una tempesta a forma di donna», cantava Nick Cave, e per molti fan Anita Lane era proprio così, una tempesta. Era una collaboratrice chiave di Cave, ma anche un’artista con una sua identità, con gemme soliste come Dirty Pearl e Sex O’Clock. Ha contribuito a scrivere classici come From Her to Eternity e Stranger Than Kindness, il brano che dà titolo all’ultimo libro fotografico di Cave. «Il mondo è una donna / e la sto facendo a pezzi», cantava Lane nel 1993 in The World’s a Girl. È così che ha vissuto, con questo spirito.
Negli anni ’80, la figura di Anita Lane spiccava per la mistica sinistra. Il suo ruolo nei Bad Seeds era paragonabile a quello di Anita Pallenberg negli Stones. Era molto più di una musa – era la ragazza che ha spiegato a quei musicisti l’arte di essere malvagi, era la regina dell’underground. E come Pallenberg, aveva un’aura da star unica. Ha insegnato a Nick Cave i segreti di uno sguardo assente, come muovere le labbra, come trasformare il suo corpo in un ghigno rivolto al mondo. Sono queste le cose che l’hanno resa un’icona di culto: ha mostrato alle ragazze timide come diventare spaventose. In quel ghigno c’era tutto.
A maggio 2018, quando Cave ha fatto uno show solista al pianoforte al Murmrr Theater di Brooklyn, ha reso omaggio a Lane introducendo Stranger Than Kindness: «Il testo l’ha scritto Anita Lane, racconta un’esperienza sessuale che non va tanto bene. Temo che parli di me». Poi ha suonato una versione oscura e divertita di quella ballata da incubo, che fa parte delle scalette dei suoi concerti da quasi 40 anni. Il risultato era disturbante. Era questo la forza di Anita Lane: era l’unica collaboratrice in grado di far paura a Nick Cave.
Era cresciuta a Melbourne, dove Cave l’ha incontrata nel 1977 alla scuola d’arte. A presentarli fu l’amico Rowland S. Howard, che poi diventerà il chitarrista dei Birthday Party. Anita e Nick diventarono una coppia, spiriti creativi affini. Come ha spiegato lei nel 1988: «Abbiamo tutti preso vita grazie al punk-rock».
È lei che ha insegnato a Cave a pensare come un poeta. «Anita era responsabile di certe scelte creative di Nick», ha detto Howard in Bad Seed, la biografia scritta da Ian Johnston. «Quando l’ha incontrata pensava che i suoi testi fossero stupidi, ha iniziato a fare l’intellettuale solo per mostrarle che era in grado di farlo».
Quando Cave e Howard hanno fondato i Birthday Party, Lane ha scritto A Dead Song, un brano del debutto esplosivo Prayers on Fire. Le sue poesie sono finite in altre canzoni di Cave, come Dead Joe e Kiss Me Black, utilizzando il metodo del “cadavere squisito”, cioè scambiandosi il foglio di continuo aggiungendo a turno frammenti di testo.
Quando Cave ha lasciato la band per fondare i Bad Seeds, il ruolo creativo di Anita è diventato ancora più importante. Cantava di lei in Cabin Fever, la storia di un pirata con il nome “A-n-i-t-a” tatuato addosso. Era accreditata come membro della band e la sua foto era al centro del retro copertina, un tocco che Howard paragonava a quanto fatto da Leonard Cohen con Marianne in Songs from a Room. Per Anita Lane l’arte nasceva dal dolore. «Soffrivo sempre, mi struggevo per qualcosa», dice in Bad Seed. «Ero sempre triste, come se piovesse dirtto nel petto».
Era anche un’icona di stile, ha inventato un modo nuovo per far sì che le rocker sembrassero cattive ragazze. Incarnava un look pre-gotico: la ragazza imbronciata dei preraffaelliti, la bambina vittoriana marcia, viziata, ma dotata di uno sguardo che metteva paura. Era una novità in un’epoca in cui i fan del rock (di ogni genere) avevano disperato bisogno di modelli femminili. È così che è diventata un’influenza straordinaria sul mondo della moda, sugli sguardi dei ragazzi alienati delle scuole d’arte degli anni ’80.
La coppia si è divisa nel 1983, ma Cave e Lane sono rimasti presenze importanti nelle rispettive musiche. Lei ha pubblicato Dirty Sings, il debutto solista, nel 1988. Cave suonava il piano nella cover inquietante di un classico disco, Lost in Music delle Sister Sledge, trasformato in una ballata ossessiva che parla di disintegrazione emotiva. «Non volevo mettermi su un piedistallo», ha detto, «volevo parlare alle altre donne».
Il suo momento migliore, però, è arrivato nel 1993 con Dirty Pearl e in particolare con la canzone The World’s a Girl e il gospel violento di Jesus Almost Got Me e The Fullness of His Coming. Ecco un verso che vi sarà d’ispirazione: «Ho sollevato l’abito di Dio / L’ho preso a pugni e sono entrata». Non esiste una versione di Sexual Healing paragonabile alla sua, con i versi «sveglia, sveglia, sveglia» che suonano terrificanti.
Le performance vocali migliori arriveranno in Intoxicated Man e Pink Elephants, i tributi a Serge Gainsbourg di Mick Harvey, vecchio amico dei Bad Seeds. Lane interpretava il ruolo di Jane Birkin/Brigitte Bardot, cantava Bonnie and Clyde, Ford Mustang e 69 Erotic Year. Con gli Einstürzende Neubauten e i Die Haut, invece, era intensa e rock. Il suo singolo in vinile The World’s a Girl conteneva due grandi duetti con Cave sul lato B: Je t’aime… moi non plus di Serge e Jane, e la satira alla Peter Cook e Dudley Moore Bedazzled, dove canta: “Sono indipendente, sono volubile, sono fredda”.
Ha anche registrato un cameo memorabile nell’album di Nick Cave del 1996 Murder Ballads. Dopo una serie di racconti sanguinolenti, il disco si chiude con una versione allegra di Death Is Not the End, uno spiritual di Bob Dylan cantato da amici e collaboratori, tra cui PJ Harvey, Shane MacGowan e Kylie Minogue. Anita Lane ha un verso tutto suo: “Quando non c’è più nessuno a confortarti e porgerti la mano / Ricorda che la morte non è la fine”. La sua voce è la più spaventosa di tutte.
Ascoltarla è un bel modo per ricordare l’indimenticabile Anita Lane. Come diceva il titolo del primo disco di Cave con i Bad Seeds, From Her to Eternity, da lei all’eternità.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.