Povero Lolli, lui e tutte le anime sensibili che lasciano qualcosa di bello a questo mondo e che se ne vanno via sole, in sordina, senza strombazzamenti. Del resto, a sentire le sue canzoni, sempre malinconiche anche quando son rabbiose, incazzate, io Lolli me lo sono sempre immaginato così: un professore col cappotto scucito, eppure elegante, di scapigliata tristezza. Ha scritto con e per Guccini due pezzi meravigliosi (Keaton e Ballando con una sconosciuta), e a suo nome tanti album diventati come si suol dire di culto. Nel primo di questi, Aspettando Godot, c’è la canzone che ho scelto di interpretare. Mi è sempre parsa delicata e profonda come una di quelle di Nick Drake, o come una sceneggiatura di Truffaut (penso sempre a un ragazzino che corre, quando Lolli canta “ti ricordi, Michel?”, chissà perché). Sentita da adolescente non ricordo dove, amata al primo ascolto e mai dimenticata, forse perché è in fondo prova schiacciante a favore dell’assunto infame che la vita può far male.
Dopo anni di esperienza in giro in cucine importanti di ristoranti altrui, Diego Rossi ha fondato – insieme a Pietro Caroli – Trippa, per il sottoscritto posto fiabesco a Porta Romana. Il ragazzo ha ripreso, in anticipo su tutti a Milano, la tradizione del puntare su ingredienti poveri o dimenticati, di terra ma anche di mare, e di servirli in un ambiente popolare e non impostato. Negli anni ’50 e ’60, prima che ci si cominciasse a spendere poco e mangiar male, le trattorie erano posti in cui la cucina era semplice, casalinga e vera, fatta con gli ingredienti del luogo, e in cui era importante che ci si sentisse, se non proprio come a casa, almeno come fra amici.
Da Trippa, oltre a mangiare divinamente il quinto quarto di ogni specie vivente, è stato ripreso questo concetto, quello della comunione fra persone che amano mangiare e bere, ascoltare storie, fare esperienze, gastronomiche e non. Nelle trattorie nascono dischi, romanzi, band, cantautori; ci si innamora e ci si lascia, ci si può ubriacare, far la rivoluzione, o far semplicemente niente, e dunque si vive, nel bene e nel male. Trippa è un posto che secondo me ha fatto bene a Milano, alla sua rinascita culturale post Expo, e che ha aperto la strada a una forma nuova, più agile e meno impomatata di ristorazione. Grazie al cielo. Quando è venuto a casa mia a registrare la puntata, Diego, che è molto più famoso e rockstar di me, si è portato dietro un coltello, una soppressa e una bottiglia. «Il pane ce l’hai?», mi ha chiesto tutto eccitato. Quando si dice la sostanza…
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