Common People è il primo singolo in assoluto di Edo Ferragamo, cantante e chitarrista che nonostante il cognome importante rappresenta davvero ciò che canta. È una persona comune, con delle ambizioni (nel suo caso, farsi un nome nel pop) ma anche tante frecce all’arco: dal songwriting tagliente a una tecnica con la chitarra più che eccellente.
Il canto poi è l’ultima di queste frecce, che Edoardo ha scoperto di avere nella faretra solo di recente, manco due anni fa. Da allora la sua visione del progetto Edo Ferragamo è cambiata totalmente, estendendo l’iniezione di fiducia non solo alle sue doti da chitarrista ma anche da frontman.
Il video che abbiamo oggi in anteprima però è una variante un po’ particolare di Common People, una via di mezzo fra una versione acustica e una orchestrale. Ce lo ha raccontato lo stesso Edo al telefono, dall’altra parte del mondo.
Studi ancora?
No, ho completato gli studi quattro anni fa. Ho studiato a Boston, al Berklee College Of Music, ma da quattro anni sto a New York per concentrarmi sul mio progetto musicale, che comprende scrittura, produzione, concerti e via dicendo.
Il video di Common People però non sembra girato a New York.
No, infatti. L’ho girato a Firenze, in una sala da ballo del Cinquecento. Il video l’ho fatto in collaborazione con la OGI, ovvero l’Orchestra Giovanile Italiana. Sono riuscito a coinvolgerli in questo progetto studiandomi un arrangiamento acustico di Common People che però si sposasse bene con l’orchestra. Nel video poi c’è anche il coro e Cayenne Noluck. E poi ci sono anch’io.
Hai arrangiato tu le parti orchestrali?
Sì, le ho arrangiate insieme a Roberto Baldi, un produttore con cui collaboro spesso qui a New York. Lui ha già lavorato con artisti del calibro di Jovanotti, tant’è che me l’ha presentato. Roberto mi ha dato una mano con le canzoni del nuovo album. Anche Common People, che ho iniziato con lui ma che poi ho finalizzato con un altro produttore di Los Angeles, uno della Dim Mak di Steve Aoki.
Quando uscirà l’album?
Contavo di farlo uscire prima dell’estate, per poi avere la possibilità di passare l’estate a fare concerti. Ne ho già fissati alcuni fra L.A. e New York, poi un piccolo tour europeo in qualche festival, qualche apertura. Comunque lo chiamo album ma alla fine sono 4, 5 brani: è praticamente un EP.
Il tuo cognome è molto importante, come mai non hai optato per un moniker?
Preferisco usare il mio cognome perché si porta dietro dei valori essenziali, come la dedizione al lavoro, l’attenzione per i dettagli e il non lasciare mai nulla al caso.
Hai studiato molto per quanto riguarda la chitarra, ma hai lavorato anche sulla voce, giusto?
Assolutamente. Ho iniziato a cantare un anno e mezzo/due anni fa. Questo perché, per finalizzare le mie canzoni, ero sempre costretto a chiamare dei cantanti per delle session, cosa che rallentava di molto il processo. Allora per curiosità un giorno ho provato a registrare la mia voce. Sono rimasto piuttosto sorpreso dal tono, mi piaceva! Allora mi si è come accesa una lampadina. Ho iniziato a prendere lezioni di canto a raffica. Quasi tutti i giorni. Così in questo disco canto su tutte le canzoni, in collaborazione con un paio di artisti tra cui Cayenne. È un rapper e cantante molto bravo.
Come l’hai conosciuto?
Pensa tu il caso: era il nipote del mio vocal coach. Una delle prime volte che sono andato a lezione, mi sono portato dietro la chitarra e ho cominciato a suonare dei riff improvvisando. Lui si è messo a fare freestyle rappando. Ho pensato “Wow! Figata!” Allora il giorno dopo siam0o subito andati in studio da me per registrare. Da allora ci siamo visti quasi tutti i giorni per registrare, per sei mesi. Avremo scritto una cinquantina di canzoni insieme. Siamo diventati grandi amici.
Comunque è stata una mossa saggia studiare anche canto. In questo secolo il chitarrista solista tipo Santana ahimè non avrebbe grande seguito. Bisogna metterci il viso.
Assolutamente, ma senza fare il DJ. Perché se uno fa il DJ ha più senso chiamare un cantante, un volto diverso che giustifica il non cantare dal vivo. Ma se sono un musicista e performer, qualcuno dovrà pur metterci la faccia, anche se sono in una band. È riduttivo dire che suono solo la chitarra, con il canto ho trovato un ulteriore modo per esprimermi.
Sei mai stato tentato di mandare in vacca gli studi da musicista per fare il DJ?
Non ho mai pensato di mandare proprio in vacca gli studi. Ma all’inizio, quando stavo capendo che faccia dare alle mie canzoni, una delle opzioni era di fare il DJ. In tutta onestà ho provato anche a farlo, ma non mi è piaciuto. Non mi dava le stesse emozioni che mi dà il suonare dal vivo, con altri musicisti. Quindi poi ho accantonato l’idea.
Come gestisci il palcoscenico?
Sono sicuramente molto più a mio agio di qualche anno fa. In generale, penso che uno non smetta mai di migliorarsi e imparare. C’è ancora molto da lavorare, ma ora mi sento molto più sicuro di me stesso. Posso iniziare ad affrontare palchi più grandi e situazioni più importanti. Sicuramente la cosa interessante di questo progetto è che è versatile: posso suonare in trio come in quintetto. Se la situazione lo permette, chiamo un tastierista, un bassista e via così. Altrimenti, la formazione di base prevede un batterista un po’ ibrido, con batteria acustica e anche elettronica, poi Cayenne e io che suono la chitarra.
In questo disco ci saranno anche pezzi in italiano?
In questo disco ci sarà solo lingua inglese. Scrivo anche delle canzoni in italiano, ma essendo all’inizio di questo progetto devo dargli subito un respiro internazionale. L’italiano me lo tengo per il futuro, come un valore aggiunto.