L’estate scorsa questa canzone è stata una hit. Mia figlia l’ha ascoltata e cantata a ripetizione, era la sua preferita fra i tanti tormentoni che passavano in radio. Devo confessare che ha rapito anche me: mi piaceva la melodia, e il fatto che in pratica è un pezzo fatto solo di ritornelli killer che si alternano e si ripetono sopra gli stessi tre accordi maggiori in croce. Sotto la chincaglieria dell’arrangiamento sentivo che c’era una verità, un qualcosa, una bellezza che mi faceva commuovere. Perciò da subito Playa io me la sono immaginata lentissima, ballad, e spogliata di tutto il suo armamentario dance sudamericano. La visione era per me struggente, e non vedevo l’ora di cantare queste parole così cariche di vita dentro un mondo sonoro che per me doveva per forza essere riportato a uno stadio primitivo. Baby K e gli autori mi perdoneranno se ho fatto qualche sostituzione armonica, e cercato di cantarla in una maniera che sta fra il distacco e una specie di gioia disperata, come fosse l’ultimo giorno del mondo.
Con Sofia Viscardi non ci eravamo mai incontrati, anche se abbiamo delle amicizie comuni. Il primo contatto con lei è stato telefonico, il giorno in cui l’ho chiamata per spiegarle il format. È fighissima, intelligente, determinata, e mi è piaciuto molto il suo approccio così professionale alla missione folle in cui l’ho coinvolta. Credo che in fondo gli youtuber facciano lo stesso nostro mestiere (che poi è sempre la solita faccenda di comunicazione e sintesi), anzi, ultimamente lo fanno pure meglio di noi. «Mi piacerebbe che tu parlassi dell’estate», le ho detto. Lei ha risposto: «Non ci crederai, ma per me l’estate è ancora un concetto legato alla fine della scuola. Se ti va posso parlare di quello, e leggere una poesia di Giorgio Caproni che mi piace molto». Brava Sofia, touché.
Guarda il primo e il secondo episodio di Storie inventate