In attesa del nuovo album Forever che uscirà il 16 ottobre – è prodotto da Amedeo Pace dei Blonde Redhead, è suonato fra gli altri dal Balanescu Quartet, ospita Rufus Wainwright, Eleanor Friedberger, Kazu Makino e Hindi Zahra – Francesco Bianconi lancia una «radiolibera dello spirito». Sono otto racconti per musica e immagini, otto video, otto puntate che potrete vedere in anteprima su Rolling Stone, otto cover interpretate dal cantante dei Baustelle per voce e pianoforte a cui è legato un tema raccontato da un ospite. Si parlerà di sogni, di addio, di estate, di ricordi, di maschilismo e femminicidio. Si inizia con Una storia inventata di Milva, scritta da Franco Battiato e Giusto Pio, e dal racconto di Valerio Millefoglie. Qui sotto, Bianconi ci spiega com’è nata l’idea.
“Give him a mask, and he will tell you the truth”
(Oscar Wilde)
Sognavo da tempo di sfruttare il mio studio di registrazione casalingo per produrre quelli che gli operatori dell’industria culturale chiamano “contenuti”: bisogna pur inventarsi qualcosa, soprattutto adesso che le forme tradizionali di promozione sono morte (grazie al cielo!).
Per questo e forse per altri più oscuri motivi mi è venuta l’idea di un format: una specie di trasmissione di tv privata (molto privata, oserei dire intima), una forma di “radiolibera dello spirito” per immagini e suono che mandasse in onda performance di canzoni e “interferenze parlate” di esseri umani diversi fra loro per sesso, estrazione culturale, professione. Nella mia idea ogni puntata doveva avere un tema; ok, ma come sceglierlo? Come scongiurare il rischio della retorica?
È stato più semplice del previsto: mi sono fatto aiutare dalla musica; ho scelto prima di tutto le canzoni da suonare, e son stati poi i testi di quelle a suggerire l’argomento della puntata. Così è stato, ed è stato assai divertente. Una delle canzoni, Una storia inventata di Milva, scritta da Battiato e Giusto Pio negli anni ’80, ha persino dato il titolo al programma. Con Angelo Trabace, amico nonché eclettico pianista, ci siamo divertiti ad arrangiare e suonare in libertà queste otto canzoni che ci son sempre piaciute – e che ci hanno dato la possibilità di parlare di sogni, di addio, di estate, ricordi, maschilismo e femminicidio – spogliandole delle loro vesti originarie per piegarle a una nudità molto esposta (la stessa che ho cercato nel mio disco in uscita in autunno, ma vabbè, questa è ancora un’altra storia). In ogni caso, nel rigore e nella fragilità di queste esecuzioni dal vivo, abbiamo – spero – donato una luce diversa ai manufatti originari, e gioia e commozione a noi stessi.
Che sono un grande ammiratore di Franco Battiato, e che lo considero una delle figure più importanti della musica italiana (leggera e non) è risaputo. Questa canzone, tratta da un disco che scrisse e produsse per Milva nel 1989, Svegliando l’amante che dorme, è per me un piccolo gioiello. Ha quello che le grandi canzoni popolari dovrebbero sempre avere: l’essere in bilico fra il noto, ovvero la grande cantabilità (accade qui, ad esempio, nella melodia larga dell’inciso) e l’ignoto (qui sotto forma di frammenti inaspettati di testo, come “c’è sempre una signora che mi fa la spesa”, “la borsa d’acqua calda per scaldare il letto”).
Anche se non mi ricordo come e quando ci siamo incontrati la prima volta, sono sicuro di conoscere Valerio Millefoglie da un bel po’. Ho letto i suoi libri e sono stato più di una volta a vedere sue performance milanesi; è acuto, ironico, poliedrico; ammiro molto la sua capacità di essere un ultrascrittore. Quando mi ha proposto che gli sarebbe piaciuto scrivere per Storie inventate un pezzo su un’immaginaria agenzia immobiliare che oltre agli immobili vende anche i ricordi allegati mi sono subito entusiasmato.
Sono particolarmente contento di come abbiamo trattato queste “storie inventate” da altri, di come ci hanno fatto sentire vivi, oltre che estremamente orgoglioso di essere riuscito a radunare ospiti che hanno aggiunto le loro storie inventate a quelle musicali che ho abbinato a loro. Invenzioni altrui per invenzioni altrui, sì: eppure in fondo, inesorabilmente noi.