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I Hate My Village, in anteprima il video di ‘Gibbone’

Un brano nato da una jam registrata su cassetta, immagini girate a Panama cercando «la connessione tra uomo e natura». Dopo i gessetti di ‘Yellowback’, il supergruppo torna con un video visionario

«In Gibbone esploriamo territori diversi, quasi ambient, etno lo-fi», ci hanno detto gli I Hate My Village del loro nuovo EP, un viaggio analogico – è stato inciso in presa diretta, su un registratore a quattro tracce – che porta la band di Adriano Viterbini, Fabio Rondanini, Marco Fasolo e Alberto Ferrari verso suoni nuovi, sperimentali.

L’esempio perfetto di questa nuova fase è proprio la title track, una mini suite di 11 minuti atmosferici e delicati, di chitarre accennate e percussioni ipnotiche, con una coda sintetica, che dopo i gessetti e il cartoncino nero di Yellowback, è diventata un videoclip.

«Gibbone è nato per caso grazie a una jam registrata su cassetta», racconta la band del pezzo, «utilizzando il primo guitar synth della storia, sample percussivi, basso saturo, mbira riverse e improvvisazione, senza sapere dove arrivare, prendendoci i nostri tempi. Poi abbiamo abbandonato ogni tentativo di imprigionare la performance, e con un ascolto attivo abbiamo creato i presupposti per far accadere qualcosa di notevole, svincolandoci da modalità di scrittura limitanti».

Girato da Emanuele Quartarone, il video è stato realizzate a Panama, durante un viaggio di venti giorni. «Zaino in spalla, tra hiking nella foresta pluviale selvaggia, tuffi in caldi fiumi e tratte in kayak per raggiungere isole disabitate, abbiamo attraversato la lingua di terra che divide l’Atlantico da Pacifico quasi la totalità del tempo totalmente bagnati tra pioggia, sudore e acqua di mare», racconta il regista. «Viaggiando le immagini venivano impresse su SD card e rullini, mentre i pensieri fluivano su un taccuino. Cercavamo la connessione tra uomo e natura circostante, che ha preso forma ballando con gli I Hate My Village».

Quando hanno visto le immagini del viaggio di Quartarone, i musicisti della band hanno pensato che fossero perfette. «Nonostante il brano duri più di dieci minuti, non stancano mai. Anzi, si rimane rapiti dal viaggio nella natura, paradossale e visionario. In modo genuino e puntuale, il regista ha colpito nel segno».

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