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Basta paura: i concerti nei live club si possono fare col pubblico in piedi

La vedete questa foto? Da lunedì scorso lo si può fare anche in Italia, ma non nei palasport. Cosa dice, davvero, il Decreto capienze. Il Ministero della Cultura chiarisce un punto cruciale sui posti a sedere nei live club

Foto: Kevin Mazur/Getty Images for NARAS

Ieri sera i Coldplay hanno presentato il nuovo album Music of the Spheres allo Shepherd’s Bush di Londra, una sala da 2000 spettatori. I video delle persone assembrate in piedi sotto il palco che cantano e saltano sembrano venire da un altro mondo. È un’esperienza a cui siamo disabituati dopo un anno e mezzo di pandemia e distanziamento emotivo dagli altri e un po’ anche dalla musica live. Eppure da lunedì 11 ottobre una cosa del genere la si può fare legalmente anche in Italia, col green pass. Se ancora non la si fa è perché la legge è recente e ci vuole del tempo per organizzare i concerti e mettere in vendita i biglietti, ma anche per l’aria di sfiducia che tira e soprattutto per la paura di avere male interpretato la legge, che non risponde in modo esplicito ad alcune domande cruciali.

La legge è il decreto 139 emanato alla fine della scorsa settimana. Contiene le disposizioni urgenti per l’accesso alle attività culturali, sportive e ricreative. È per intenderci il decreto che amplia le capienze. Detto in breve: considerando solo le zone bianche (attualmente tutta l’Italia lo è), grazie alla certificazione verde la capienza consentita in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo è pari alla massima consentita, ovvero il 100%. Per discoteche e locali assimilati la capienza massima scende al 75% all’aperto e al 50% al chiuso, per i concerti che si tengono negli stadi e nei palazzetti dello sport al 75% all’aperto e al 60% al chiuso.

Solo che in breve non lo si può dire, perché ci sono punti da chiarire. Uno su tutti: i locali di musica dal vivo devono predisporre posti a sedere? Non è un dettaglio, per molti è il discrimine fra riaprire davvero oppure no. Il decreto legge non lo dice esplicitamente. Diversamente dalla zona gialla, dove i concerti anche all’aperto devono essere «svolti esclusivamente con posti a sedere preassegnati e a condizione che sia assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro», nella zona bianca non viene richiesto nulla del genere. Lì l’accesso agli spettacoli «è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi Covid-19 (…) e la capienza consentita è pari a quella massima autorizzata». Niente sedie, né distanziamento quindi.

Un comunicato emanato il 9 ottobre dal Ministero della Cultura ha messo in discussione questa lettura. Veniva specificato che le capienze in cinema, teatri e sale da concerto erano da considerarsi «con posti seduti e preassegnati». Alcuni addetti ai lavori che abbiamo sentito stimano che approntare posti a sedere in un club che solitamente ne è sprovvisto significa rinunciare a quasi il 70% della capienza, essendo questa condizionata dal numero di sedie che è possibile allestire in sala.

Ieri il Ministero della Cultura ha corretto il comunicato eliminando la frase «con posti seduti e preassegnati». Il capo ufficio stampa del Ministero ha spiegato a Rolling Stone che la prima versione del comunicato era relativa a un vecchio testo che non teneva conto dei live club, e ha chiarito che laddove i concerti siano in zona bianca in locali che non siano discoteche, la capienza è da intendersi sia seduti, sia in piedi al 100%. Resta incerta la posizione delle sale che ospitano sia concerti che serate da discoteca o delle discoteche che ospitano concerti.

Fatte salve altre misure di sicurezza e dato naturalmente l’uso del green pass, per i locali che ospitano concerti di piccole-medie dimensioni è un liberi tutti. Per qualcuno, però, è troppo bello per essere vero. Il fatto che nel decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale non si scriva in modo esplicito che i locali potranno ospitare concerti col 100% pubblico in piedi è per alcuni una ragione sufficiente per non ripartire. «Lo capisco», dice Gianluca Gozzi del Circolo della musica di Rivoli, ideatore del TOdays Festival e già co-fondatore di locali torinesi come lo Spazio211 e il Blah Blah. «Sai quanti eventi ho visto interrotti dall’amministrativa per norme non specificate chiaramente? La delega dell’interpretazione causa anarchia e le multe sono salate».

C’è anche dell’incredulità: dopo due stagioni di concerti seduti e distanziati, è possibile che ora ci dicano che possiamo stare assembrati in un locale, tutto d’un colpo? E poi il fatto che si possa vedere un concerto in piedi, come nell’era pre Covid, e che invece per le discoteche ci siano regole diverse è un paradosso che mette in allerta. Lo spiega Gozzi: «Apparat potrà fare un concerto in un club di fronte al 100% del pubblico, ma il suo dj set in discoteca avrà solo il 50% delle persone».

Se per i concerti nei teatri si può tornare a una forma di normalità, almeno per il numero di biglietti che si possono staccare, nei palasport sarà pressoché impossibile organizzare concerti al 60% della capienza. «È il paradosso che nessuno ammette in questo mondo di sold out annunciati come simbolo di cazzodurismo», dice Gozzi. «Eccola la verità: per i concerti nei palasport il sold out è la condizione minima necessaria per andare a pari». Non ci sono grandi margini e a meno che tutte le parti non rinuncino a qualcosa, il 40% in meno di biglietti significa l’impossibilità o comunque l’estrema difficoltà di organizzare un tour nei palazzetti. «I concerti nei palasport richiedono il massimo sforzo per il minimo risultato».

Ecco perché i Måneskin hanno rimandato a marzo e aprile i quattro concerti previsti nei palazzetti di Roma e Milano a dicembre. Essendo sold out, anche volendo non sarebbe stato possibile farli con la capienza al 60%, dando il benservito al 40% di chi ha acquistato il biglietto. Se organizzarne di nuovi in queste condizioni è anti-economico per le ragioni esposte, spostare certi artisti dai palasport a grandi teatri con una certa capienza non è sempre fattibile. «Ci sono concerti che non puoi vedere in piedi» è il refrain di tanti organizzatori. Non è un capriccio: la natura di certe musiche esige che vengano fruite in un certo modo. «Ci sono artisti che non sono venuti a suonare in Italia sapendo che il pubblico sarebbe stato seduto», spiega Gozzi.

Vi sono poi altre criticità. Nel decreto si fa riferimento agli eventi all’aperto in cui la decisione sulle capienze spetta, di volta in volta, all’autorità di pubblica sicurezza. «E ti assicuro che far autorizzare un evento è un casino fra commissione di vigilanza, documentazione infinita, sopralluoghi, Asl, costi vari», dice Gozzi. «Inoltre non è stato eliminato l’articolo che vieta la somministrazione di cibo e bevande mentre si guarda il concerto. È previsto che i bar siano in un’area separata, che nei teatri effettivamente c’è, ma non nei club», dove i bar sono tutt’uno con la platea. «La verità è che non si vive di soli biglietti, ma anche di parcheggi, di sponsorizzazioni, di contributi dell’amministrazione pubblica e sì, anche di bar. Il pericolo è che vada avanti a lavorare chi già prima poteva permettersi di non vivere di biglietteria. Non si poteva fare impresa culturale e ancora non si può. Le cose le si fa perché si è artigiani mossi da passione o ostinazione».

Che cosa succederà domani? E se le regole venissero di nuovo cambiate? È improbabile che nel 2021 si vedano concerti nei palasport giacché necessitano di una programmazione fatta in largo anticipo. L’iniziativa di San Siro, dove una quindicina di promoter italiani si è data appuntamento il 24 settembre per avanzare richieste ragionevoli all’esecutivo, non ha sortito l’effetto desiderato. Si voleva una data precisa per la ripartenza di tutto il settore e la data non c’è. Col risultato che i grossi concerti che non si tengono a teatro sono ancora fermi e gli artisti internazionali che vengono in Italia sono pochi.

A Pietro Fuccio di Dna Concerti la situazione d’incertezza ricorda quella dell’estate del 2020, quando solo alcuni organizzatori, i piccoli, fecero pressioni per fare concerti nonostante le limitazioni. «All’epoca si sono persi due mesi per mancanza d’iniziativa del settore. Col risultato che c’è stata una stagione concertistica meno ricca e una minore dialogo con la politica. Non rifacciamo lo stesso errore. A volte i problemi nascono anche per gli errori del settore».

Per il futuro, una strategia di annunci graduale potrebbe rassicurare il pubblico disorientato. È quella usata da Dna per i Kings of Convenience: «Li abbiamo annunciati quando i teatri erano al 50% e abbiamo chiesto a tutti di dimezzarsi le entrate. Ora che i teatri sono al 100% possiamo mettere in vendita altri biglietti. La vera minaccia è che il pubblico non si fidi e non compri i biglietti perché non sa se i concerti ci saranno davvero e che cosa sarà dei propri soldi. Dobbiamo dare messaggi molto chiari, ecco perché quando abbiamo organizzato gli show di Cosmo, poi saltati, abbiamo detto subito che in caso di cancellazione avremmo rimborsato i biglietti e non ci saremmo tenuti i soldi per comprare all’asta i tour del 2022».

Una delle ipotesi peggiori, dice Gozzi, è che in mancanza di ulteriori chiarimenti da parte delle istituzioni ognuno interpreti il decreto a modo suo: qualcuno aprirà, qualcuno avrà paura e aspetterà il giorno in cui ci sarà il via libera generale in tutti i luoghi al 100% senza distanziamento. «La mancanza di chiarezza incentiva l’improvvisazione. Che poi è il motivo per il quale l’Italia non ha grande potere contrattuale quando si tratta di accaparrarsi concerti che vogliono anche altri Paesi. Siamo considerati approssimativi. Siamo il Paese dove s’improvvisa».

Resta il fatto che, stando a quanto ha detto il Ministero della Cultura a Rolling Stone, oggi un concerto in un club come quello dei Coldplay lo si può organizzare anche in Italia, magari di un artista noto, magari uno showcase legato ai tanti dischi che sono usciti e stanno uscendo in autunno. È una cosa che vorremmo vedere. Per superare una soglia, per cominciare a uscire dallo stato di depressione del sistema della musica live, per riaccendere l’entusiasmo sopito in due estati in cui abbiamo visto i concerti da seduti, distanziati e sanificati. Per dimostrare che si può fare.

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