Se l’esperienza di Colapesce e Dimartino sul palco dell’Ariston non fosse stata la vera rivelazione di Sanremo 2021 probabilmente Big! sarebbe passato in sordina e pochi – a occhio chi già seguiva i due cantautori siciliani – se ne sarebbero accorti. Ma dopo i meme, i balletti, le certificazioni, i passaggi in radio, le accuse di plagio, dopo la ristampa de I mortali, il Premio Lucio Dalla, dopo aver conquistato tanto i social, TikTok incluso, quanto le case delle più diverse generazioni di ascoltatori il podcast che racconta il passaggio di Lorenzo Urciullo e Antonio Di Martino al Festival ha finito per trovarsi davanti una potenziale platea fino a qualche mese fa inimmaginabile. Che poi questa platea abbia voglia non solo di giocare, tra un passo di danza e una parodia, con Musica leggerissima ma anche di approfondire la storia di una delle hit più fraintese della musica italiana e dei suoi autori, usciti a testa alta dal girone infernale di un Festival che la pandemia ha reso ancora più nevrotico, è tutto da vedere.
Prodotto da LifeGate Radio e disponibile su Spotify, Apple Podcasts e Spreaker, realizzato da Giacomo De Poli e Marco “Rip” Turconi pedinando a distanza i due cantautori, il primo podcast di Colapesce e Dimartino racconta l’insonnia, i gamberi flambé, i tamponi, le claustrofobiche camere d’albergo, gli autosabotaggi che rendono l’essere umano colui che ha «più possibilità di ammalarsi per via dei propri pensieri», il mare di Sanremo impassibile al carnevale che ogni anno scuote l’Ariston e i suoi dintorni, l’estenuante frullatore che è il Festival, con le sue gioie e i suoi dolori. Sarebbe poca cosa, però, se a impostare il carattere della narrazione, arricchita da note vocali e frammenti sonori, non fosse l’ironia di Lorenzo e Antonio: nel podcast i due amici e colleghi sfoggiano una comicità di una naturalezza che profuma di bar di paese, della spontaneità di una battuta servita durante una mano a carte tra un caffè e un amaro. Lo sguardo, in un continuo botta e risposta che ironizza su qualsiasi aspetto del loro percorso e dell’esperienza sanremese, è lo stesso che sta dietro alla poetica dei due artisti e ricorda i dialoghi presenti ne I mortali, l’album congiunto che ha lanciato il sodalizio Colapesce-Dimartino. Lo stesso, insomma, dolceamaro, di Musica leggerissima, dove tra i palazzi distrutti e le cose lasciate indietro si cerca di scansare, con parole allegre ma non troppo, il buco nero che sta a un passo da noi.
Che Colapesce e Dimartino fossero un po’ due alieni alla kermesse si sapeva già dal giorno dell’annuncio dei cantanti in gara. «Rispondiamo di continuo a domande come “è arancino o arancina?” come fosse di interesse nazionale. Nessuno fa domande sui nostri dischi, su come abbiamo scritto quel pezzo», raccontano ad esempio in Big! commentando esausti il surreale circo mediatico sanremese. Ma forse l’immagine più efficace nel rappresentare il sentimento della coppia all’Ariston è quella dipinta dai due quando spiegano quanto strano sia stato per loro esibirsi senza il loro strumento, semplicemente cantando, lasciando che della musica si occupasse la sola orchestra. «Non ho mai fatto concerti senza lo strumento in mano, Sanremo è la prima esperienza», spiega Colapesce, proseguendo: «Anche a livello di postura, quando abbiamo iniziato a fare le prove con Eleonora (la vocal coach di Colapesce e Dimartino, ndr) io ero storto, e mi sentivo a disagio ed era il fatto che avevo proprio la postura tarata» sulla chitarra. Concludono i due con la consueta ironia: «Credo che ci sia bastata un’esperienza, ora possiamo tornare a suonare». Per chi al nazionalpopolare non ha puntato per una vita intera il successo a Sanremo è insomma un capitolo da celebrare ma anche da archiviare il più in fretta possibile, come la «storia leggerissima di qualcosa che non rifaremo».
Tra le battute sull’albergo e sul menù («Ciao Lorenzo, mi hanno portato il tè senza il tè, cioè solo acqua calda»), quelle sui loro primi incontri («Antonio mi stava anche un po’ sul cazzo, devo essere sincero»), gli esercizi di riscaldamento vocale e le riflessioni su Musica leggerissima e sulla sua ricezione la speranza, per due che dopo anni di militanza nel circuito indie a quasi 40 anni iniziano a sentire increduli la loro musica uscire dagli stereo delle automobili, è che il successo del brano sia un cono di luce capace di illuminare qualcosa di più dei completi colorati indossati dal duo. Sono forti e fragili Lorenzo e Antonio, forti della loro storia che li ha visti sudarsi ogni traguardo e fragili perché risucchiati da un contesto mille miglia lontano da loro ad alto rischio di equivoci, ma anche perché per quanto Colapesce e Dimartino non siano esattamente due pivellini il palco dell’Ariston porta sempre con sé un’inevitabile dose di ansia assassina che fa vacillare anche i meno sprovveduti e che non permette di godersi nemmeno il profumo del mare poco distante. «Stanotte non ho dormito», racconta alla stampa Dimartino, nel podcast, in vista del debutto al Festival, e prontamente aggiunge: «Non dormo da una settimana». E ancora, forti della loro profondità – quella delle loro anime belle, dei loro dischi, del brano portato a Sanremo – e fragili perché esposti più che mai.
Chi a Lorenzo e Antonio vuole bene un po’ di paura, in attesa di Sanremo 2021, l’ha avuta, la paura che si ha quando si offre alla massa – grande, variegata, famelica, spietata – qualcosa di bello e prezioso, che sarà inevitabilmente masticato e digerito, alterato nella sua sostanza senza chiedere il permesso. Colapesce e Dimartino sono però due che ai loro album hanno dato titoli come Cara maestra abbiamo perso, Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile, Un meraviglioso declino, Un paese ci vuole, Egomostro. Sono due che hanno cantato del male di vivere e delle guerre quotidiane, dello spaesamento di chi si è perso e dell’emozione calda di chi si è ritrovato. Due che Sanremo non poteva intimorire troppo. Precisa Dimartino: «C’è la gente che non si ferma al primo messaggio che arriva, che scava e secondo me noi dobbiamo lavorare con quella gente, dobbiamo lavorare su questa cosa qua, che è una cosa che facciamo da sempre». In altre parole, parole sante: «Scrivere solo quando abbiamo delle cose da dire».