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Cercavamo Tom Waits, l’abbiamo trovato in un quadro di Kandinskij

È un pezzo che l’artista non dà notizie di sé. E allora lo immaginiamo che cavalca in un prato, come 'Il cavaliere azzurro' del pittore russo. Del resto, anche la sua musica è diventata via via più strana, quasi astratta

Foto: Anti

C’era Bob Dylan durante la pandemia e c’erano dopo di lui più o meno tutti. C’erano immagini di tragedie, un senso di soffocamento e poi l’unica libertà che ci veniva data dalla musica.  Il Papa e la camminata verso il vuoto e il sacro, e l’indescrivibile cielo sopra San Pietro. A un certo punto però, una domanda fissa, costante, a cui si lascia occupare la testa per passare il tempo: che fine ha fatto Tom Waits? Per dare una risposta chiara dobbiamo addirittura avvalerci della consulenza del miglior investigatore della storia, la cui risposta è degna del personaggio di cui abbiamo perso le tracce: «Sappiamo che costui non è passato né per la porta né per la finestra, né per la cappa del camino. Sappiamo pure che non poteva essere nascosto nella stanza, dove non vi era possibilità di nascondersi» (Sherlock Holmes).

C’era una volta e una volta non c’era, così inizia una delle fiabe russe più famose, Vasilisa la Bella. C’era una volta e una volta non c’era quello che si può definire il quadro capovolto che Kandinskij non riusciva a decifrare, benché fosse opera sua quel quadro capovolto che diede inizio all’astrattismo: «Il sole tramontava; tornavo dopo aver disegnato ed ero ancora tutto immerso nel mio lavoro, quando aprendo la porta dello studio, vidi davanti a me un quadro indescrivibilmente bello. All’inizio rimasi sbalordito, ma poi mi avvicinai a quel quadro enigmatico, assolutamente incomprensibile nel suo contenuto, e fatto esclusivamente di macchie di colore. Finalmente capii: era un quadro che avevo dipinto io e che era stato appoggiato al cavalletto capovolto. Quel giorno, però, mi fu chiaro che l’oggetto non aveva posto, anzi era dannoso nei miei quadri».

Già, un quadro capovolto, pieno di macchie colorate. Non c’è nessuno capovolto come Tom Waits, un artista strano, grottesco, pittoresco, balordo e chimerico, sbronzo al punto giusto, lunare e lunatico, appunto un artista capovolto, come il quadro, un uomo “astratto”, ma talmente timido da rivolgere la parola dopo 20 giorni a Benigni, suo compagno sul set di Daunbailò. In questi tempi, un silenzio visivo accompagna le sue pagine ufficiali sui social. Non sappiamo dove si è rifugiato, dove pensa, dove coltiva, dove sbatte i piatti, e noi lo immaginiamo dal mattino alla sera in un campo come nella copertina di Mule Variations o appoggiato al suo pianoforte, mentre beve bourbon, sostituito col tempo dal tè. Non sappiamo quale pentola sta suonando mentre sua moglie Kathleen Brennan, eterna, eterea e musa compagna di pozioni, fa risuonare galli e galline. 

Tom Waits sembra uscire da un quadro di Kandinskij, Il cavaliere azzurro, la sua opera più importante. Der Blue Reiter è la rappresentazione di un cavaliere con indosso un mantello blu (che nella visione di Kandinskij rappresenta la calma e la serenità, ma che ad uno stato più profondo è l’unico colore che ci permettere di arrivare al metafisico). È lanciato in una folle corsa, con un prato verde a fare da sfondo. Non è un un’opera astrattista perché le figure ancora paiono riconoscibili, ma guardando bene si nota che le pennellate tendono a sfumare, a non essere precise, tutto inizia a confondersi. Questo senso di incompiutezza spinge a immaginare dove sia diretto il cavaliere e il perché di quella corsa, invita quasi inventare la storia, entrare dentro la storia. Così è il percorso musicale di Tom Waits la cui figura, al galoppo del suo pianoforte degli inizi, ha iniziato a sfumare, a diventare altro, fino a confondersi con le sue storie, fino a confonderci tutti e a creare qualcosa che non può essere definito.

“Der Blaue Reiter” di Kandinskji, 1903, olio su tela, collezione privata, Zurigo

Perché accostare Kandinskij a Tom Waits per sapere dove si trova ora? Kandinskij amava abbinare i colori agli strumenti: il giallo la tromba, l’azzurro il flauto, il verde il violino, il violetto il fagotto, l’arancio le campane tubolari, il blu il contrabbasso. E per ogni colore e suono, un significato: chiaro e aggressivo il giallo; agile, pastoso ma brillante l’azzurro; ritmico, struggente e penetrante il violetto; solenne l’arancione, e poi il blu basso, un colore che sprofonda senza fine. Tom Waits rappresenta tutti i colori di Kandinskij. È dal primo album datato 1978, Closing Time, che riproduce colori. Il blu con tutte le sue sfumature che arriva fino a Blue Valentine, 1978, dalla quiete al nero, struggente. Poi mescola e mescola arrivando fino al giallo intenso di Rain Dogs (1985) e il chiassoso e solenne arancione di The Black Rider (1993). È violetto e blu invece Mule Variations (1999), un capolavoro di colori. Fino ad arrivare a Bad As Me (2011), album capovolto, di macchie e colori e figure di cavalieri già lontani.

Tom Waits non è come Leonard Cohen, non è come Dylan, non è stato mai qualcosa che si può catturare in qualche modo. Non è prigioniero del suo mito, perché non c’è un mito. I colori dicevamo, quelle macchie capovolte, l’idea di avere un altro mondo a portata di mano e di viverlo in parallelo. Come se nella testa di Waits ci fosse un’altra realtà. L’idea che possa vivere in un campo, in una grande prateria, in una casa dove la luce inizia e finisce. Immaginare che non abbia a che fare con il tempo. Ecco, forse a questa soluzione non era arrivato nemmeno Sherlock Holmes. Non possiamo trovare Tom Waits a meno che non ci venga in mente di trovarlo in un dipinto del 1903 di Kandinskij.

«Il blu da cui partiamo è il colore cielo. Se è molto scuro da un’idea di quiete. Se precipita nel nero acquista una nota di tristezza struggente, affonda in una drammaticità che non ha e non avrà mai fine. Se tende ai toni più chiari, a cui è meno adatto, diventa invece indifferente e distante, come un cielo altissimo. Più è chiaro, meno è eloquente. Dall’unione del blu e del giallo questi due colori colori opposti si forma il verde e nasce la quiete. Il verde assoluto è il colore più calmo che ci sia: non si muove, non esprime gioia, tristezza, passione, non desidera nulla, non chiede nulla. Questa assoluta assenza di movimento è una proprietà benefica per le persone e le anime stanche» (Kandinskij da Lo spirituale nell’arte).

All the World Is Green è una canzone di Tom Waits, usata anche come sottofondo nel film di Julian Schnabel, Lo scafandro e la farfalla dove il protagonista sulla sedia a rotelle su una spiaggia guarda i figli e l’ex moglie. In pace, nonostante la malattia, non si muove nulla, non si desidera più nulla, il protagonista è un’anima stanca, ma c’è la pace. La stessa pace e il desiderio del nulla è nelle note di Tom Waits, che è rappresentazione del colore che solo attraverso l’astrattismo riesce a dargli un senso. «Sono caduto nell’oceano e sei diventata mia moglie. Ho rischiato tutto contro il mare per avere una vita migliore. Marie, sei il selvaggio cielo blu. E tutto il mondo è verde. Possiamo riportare indietro i vecchi tempi, quando tutto il mondo è verde. La faccia perdona lo specchio. Il verme perdona l’aratro. Le domande chiedono la risposta, quando tutto il mondo è verde».

Così tutte le volte che ci chiediamo dove sia finito Tom Waits, possiamo vederlo in un quadro, possiamo sentirlo nei colori. E ci avvaliamo ancora di Sherlock Holmes: «Ciò che un uomo può inventare, un altro può scoprire». Kandinskij ha inventato l’astrattismo, Tom Waits lo ha riscoperto con la sua musica… e tutto il mondo è verde. La musica, come diceva Schopenhauer, ha una funzione catartica, «ci passa davanti come un paradiso a noi ben familiare eppure eternamente lontano».

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