Ci libereremo mai degli anni ’80? Probabilmente no. Le mode dei ’90 come il grunge hanno teoricamente cancellato il loro ricordo e la trap li ha seppelliti in modo ipotetico, e invece ce li siamo ritrovati sempre in mezzo: con il Romo prima, con il nu metal che vi faceva riferimento, con il glo-fi poi e ora con le nuove derive HD che pescano dagli anni ’80 dei primi campionatori rasentando a volte il citazionismo puro. Ragion per cui il National Album Day UK ha recentemente comunicato che le ristampe del 10 ottobre saranno dedicate agli anni ’80. In particolare, sarà ristampato il primo album dei Duran Duran, l’omonimo esordio dell’81 di una band che è stata fieramente tanto sul podio quanto nella polvere. Non si sono comunque mai fermati e già per il 2021, nonostante il Covid, stanno per tornare sul palco. A proposito di Covid, il 6 aprile John Taylor, il loro bassista tutto eccessi e fascino maledetto, ha dichiarato di averlo contratto e di essere guarito: d’altronde i “nuovi romantici” di cui il quintetto è sempre stato paladino non si fermano davanti a nulla, e anche in quarantena il nostro ci deliziava suonando in streaming da casa sua col basso versioni dei grandi successi del quintetto.
Dei Duran Duran la maggior parte della gente si ricorda solo i grandi successi. I teenager degli ’80 (ma anche dei ’90, se pensiamo a Ordinary World, il loro ultimo grande tormentone generazionale) hanno ovviamente a cuore ognuno un album in particolare, ma esistono perle nascoste che avrebbero meritato maggiore visibilità e forse una ristampa vinilica a parte sarebbe, in un futuro, doverosa. Ci riferiamo alle B side dei singoli, che nel caso dei Duran Duran rappresentano un modo per liberarsi dalle ansie della sala d’incisione e dare carta bianca all’istinto. Abbiamo deciso di fare una veloce carrellata di alcuni di quei brani che avrebbero meritato di essere su un’uscita ufficiale e non relegati a fanalino di coda di un 45 giri.
“Late Bar” (da “Planet Earth”, febbraio 1981)
Lato B del singolo di debutto dei Duran Planet Earth, Late Bar è uno dei primi brani mai composti dal quintetto. All’inizio si chiamava Breaking Away, quando ancora al microfono c’era Stephen Duffy (poi nei Tin Tin), ma con l’entrata di Simon Le Bon venne riscritta totalmente diventando in un certo senso l’inno dell’edonismo duraniano. Si narra di party sfrenati ai limiti del poltergeist (braccia che attraversano le pareti e roba del genere) in una fantomatica stanza 7609 che per molto tempo tra gli hardcore fans è stato oggetto di studio pensando ci fossero dietro chissà quali storie esoteriche o kubrickiane. In realtà pare che la storia sia autobiografica e parli appunto di una semplice stanza in un gigantesco hotel in cui si davano a feste sfrenate durante la notte. Il brano viene registrato nelle stesse session del 1980 che produrranno il primo omonimo disco, con Colin Thurston alla produzione (uno dei creatori del suono di Lust for Life di Iggy Pop, per dirne una). Non entrerà nell’album, ma resterà uno dei brani favoriti della band che lo suonerà dal vivo spesso e volentieri (lo eseguiranno anche per il Songbook di Sky Arts nel 2009). Un tirato brano funk-disco infettato di new wave affogata in effetti chorus freddi e fantascientifici come da trademark dei primi lavori della band e con uno stacco spaziale tra synth basso che rotola e un Le Bon che improvvisa parole incomprensibili. A tutti gli effetti è una specie di antesignano di Hungy Like the Wolf che, nonostante il grande successo, a paragone sembra quasi una copia riveduta e corretta (e volendo anche sbiadita) di questo pezzo “minore”, prova che nella botte piccola c’è sempre il vino buono…
“Khanada” (da “Careless Memories”, aprile 1981)
Sempre nelle session di Duran Duran esce questo gioiellino di space pop, con una batteria ispirata a quelle degli Chic, un John Taylor che si presta a uno dei suoi migliori giri di basso, un Nick Rhodes alle tastiere che avvolge tutto in una nube meccanico-psichedelica con tanto di momenti atonali (e con l’ingresso inaspettato di un sitar) e un ritornello ipnotico a prova di bomba e di bamba. Il testo di Le Bon sembra riferirsi all’arrivismo anni ’80 nella figura di una donna che lo seduce per ottenere soldi e successo, ma lui tirerà dritto perché non ha niente da perdere (Le Bon stesso confesserà che il brano era ispirato a una designer di vestiti new romantic, Jane Khan, con la quale usciva all’epoca). Stranamente di questa canzone abbiamo poche esecuzioni dal vivo nonostante avesse le potenzialità di un earworm da classifica. Nel 2006 circa ispirerà la nascita del New Romantic Noise, che ebbe la breve durata di una compilation di culto e nulla più, nel quale riecheggiava il suono grasso e chorusato di questo brano, così come la sua ridondanza ipnotica.
“Faster Than Light” (da “Girls on Film”, luglio 1981)
Andy Taylor grattugia la chitarra cosparsa di brutale flanger incorniciando i pad rigorosi di Rhodes per un altro pezzone che esce dalle suddette session. Immaginate Adam Ant che prende una sbornia disco e decide di vendere l’anima a un algido computer che ha imparato a memoria la lezione dei Beatles pre Rubber Soul, con momenti strumentali e chitarre synth a mo’ di bignami della new wave uscita fino a quel momento. Ecco, questo è Faster Than Light, che sembra un inno al consumo di speed (nel testo le metafore sembrano sprecarsi, tra aerospazio e paura di volare). I Duran saranno affezionati a questo brano almeno per tutto l’81 tanto da imporre il suo titolo all’intero loro secondo tour inglese, ma non entrerà nella scaletta finale del primo disco, finendo poi come lato B dell’epocale Girls On Film: col senno di poi, sarebbe forse stato meglio un doppio lato A per la gioia di ogni dj che si rispetti.
“Faith in This Colour” (da “Is There Something I Should Know?”, marzo 1983)
Nel 1983 i Duran puntano tutto su un singolo stand-alone, prodotto dai pezzi da novanta Alex Sadkin e Ian Little e con il suono di Phil Thornalley, all’epoca bassista dei Cure e già produttore di Pornography. Non entrerà in nessun album ufficiale ad eccezione di una versione dal vivo in Arena. Is There Something I Should Know? non delude le aspettative e diventa il loro primo numero uno in Inghilterra, lanciando a tutti gli effetti la duranmania nel mondo. Sul lato B troviamo però un curioso strumentale che per arditezza probabilmente supera il lato A. Faith in This Colour (che dal titolo potremmo pensare come un inno a una tifoseria di calcio) è un brano synth pop che sfocia quasi nell’italo disco, con un riff di basso sintetizzato totalmente catchy e il classico “puntinismo” di accordi eseguiti da Nick Rhodes. La musica sembra quasi evocare linee vocali espresse e invece i Duran decidono di fare uno strumentale, immaginando un mix per il dancefloor che in un certo senso anticipa la vaporwave che verrà. Del brano esistono varie versioni: quella ufficiale è probabilmente contenuta nel 12″ del singolo, mentre nel 7” è in una versione più lenta. Esiste anche una terza versione con campionamenti da Star Wars che però venne tosto eliminata dal commercio a causa di controversie di copyright. Nel brano troviamo un inedito Simon Le Bon che suona una linea di sintetizzatore. La batteria sembra suonata, ma è in realtà una drum machine sapientemente programmata da Roger Taylor. Andy Taylor presta qualche pennellata di chitarra e John invece appare in maniera sporadica e misteriosa, tanto che i fan ancora cercano di indovinare dove si sia cacciato nel mix. Forse era al pub a bere.
“Secret Oktober” (da “Union of the Snake”, ottobre 1983)
Nel 1983 esce l’album della consacrazione dei Duran Duran, ovvero Seven and the Ragged Tiger, che contiene la hit The Reflex per intenderci. Un disco che, nonostante contenga dei brani ispirati come The Seventh Stranger e i singoli estratti, soffre della pressione relativa alle aspettative commerciali e dei troppi party “stuporosi” a scapito della musica, e contiene quindi anche episodi poco lucidi in cui il tentativo di comporre una canzone pop melodica è una tale forzatura da risultare quasi inascoltabile (vedi ad esempio Looking for Cracks in the Pavement). Anche Secret Oktober è frutto di una pressione, quella della EMI per avere il lato B di Union of the Snake. I Duran si rendono conto che non ne hanno uno e il singolo è da dare alle stampe il giorno dopo. Nick Rhodes e Simon Le Bon chiamano Sadkin e si chiudono in studio in assenza degli altri compagni di banda componendo e registrando in 24 ore questo brano, che a tutti gli effetti avrebbe meritato l’inclusione nell’album. Una atmosfera simile ai Japan, un ritornello a presa rapida, i testi che narrano del disagio della popolarità tanto da cercare di fuggire al proprio compleanno e quindi alla propria nascita (quello di Simon nello specifico), la totale automazione pop in azione. Il brano sarà eseguito dal vivo per la prima volta nel 1998, in una versione più dilatata. A tutti gli effetti il pezzo è un’anticamera del side project Arcadia, che vedrà infatti più tardi i soli Le Bon e Rhodes al comando, cosa che lo rende ancora più interessante se non profetico.
“We Need You” (da “Skin Trade”, gennaio 1987)
A proposito di progetti paralleli e scissioni, nel 1986 i Duran Duran pubblicano Notorious, che li vede per la prima volta in formazione a tre. Il successo della band ha provocato l’abbandono del batterista Roger Taylor perché esaurito dalla vita rock (tornerà in seno alla band solo dal 2004), mentre il chitarrista Andy Taylor nutre ambizioni soliste e soprattutto si sposta versi territori chitarristici più duri. La band però lo vuole dentro a tutti i costi: prima cerca di convincerlo con le buone, poi con le cattive (le vie legali). Effettivamente il nostro tornerà in studio, ma l’atmosfera è talmente tesa che la band cederà e lo lascerà andare. Nel disco alcuni brani vedranno comunque Andy alla chitarra. In questa che è l’unica B side originale del periodo è chitarristicamente assente ed è invece invocato in maniera quasi romantica. “Abbiamo bisogno di te”, scritta appunto dai tre mentre attendono, novelli Godot, il compagno che non tornerà più a suonare con loro. Il brano è un perfetto pezzo pop tra il fantasma di Elvis e dei Rolling Stones di We Love You, è forse già lanciato nei freddi anni Duemila, nato da una sincera ispirazione di cuore, un cuore spezzato. Anche in questo caso, meglio della gran parte dei brani presenti in Notorious, che nel 90% dei casi sembrano composti tirando per terra dei dadi.
“Decadance” (da “Burning the Ground”, dicembre 1989)
Avari di B side in tutto il lasso di tempo dell’album Big Thing uscito nel 1988, nel 1989 i Duran Duran pubblicano Burning the ground, un megamix che serve a promuovere il loro primo greatest hits, Decade. La cosa interessante del progetto è che il singolo è un cut and paste di una serie di singoli storici dei Duran, creando un brano inedito ad hoc che si inserisce nella grande attualità dei mix house del periodo. Il lato B, Decadance, si basa sullo stesso principio con la differenza che è più acido e più pesante, quindi più attuale. È perfetto per il dancefloo, ma anche per situazioni più sperimentali, tanto che non è difficile sentire odore di second summer of love nelle sue vibrazioni.
“Yo Bad Azizi” (da “Serious”, ottobre 1990)
Warren Cuccurullo, ex braccio destro di Zappa nonché chitarrista degli altri new romantics Missing Persons, dopo aver prestato le sue sei corde come session man è oramai fisso come chitarrista nei Duran. L’album del suo esordio ufficiale, ovvero Liberty, è un fiasco totale. Dei singoli pubblicati nessuno riesce ad andare forte, men che meno Serious che è l’ultimo della serie. Dal flop totale nasce però una B side che a tutti gli effetti è la prima vera traccia alternative rock dei Duran, un brano sperimentale che sfrutta campionamenti con piglio industrial (alla fine i Ministry erano new romantic all’inizio, no?) e sfiora anche il noise rock. Yo Bad Azizi nasce da un gioco di parole/auto presa per il culo del testo di Is There Something I Should Know e anticipa in qualche modo la voglia della band di staccarsi da determinati clichè, prendendosi meno sul serio e diventando più “indigesti”, trasformazione che arriverà solo più avanti con la combo Medazzaland/Pop Trash, quando John Taylor oramai non è più della partita preferendo dedicarsi all’attività solista (e ovviamente alle droghe).
“Know It All” (da “(Reach Up for the) Sunrise”, ottobre 2004)
Nel 2004, però, sorpresa! Taylor ritorna della partita e con lui tutti gli altri membri originali dei Duran. Con Cuccurullo messo alla porta, il sound dei Duran torna ad ammiccare a quello che ha reso famoso il gruppo in tutto il pianeta. Astronaut, il disco che documenta questo ritorno, avrà un grosso successo probabilmente in gran parte dovuto alla nostalgia dei fan e per altri versi grazie a una innegabile freschezza compositiva che a volte risulta imbarazzante per quanto è teenage oriented. In questo periodo non ci sono solo canzoni che vengono fuori dalle jam per il disco, ma anche cose bizzarre come questa B side di (Reach Up for the) Sunrise. È un brano con chitarre impastate di tremolo, bassi distorti e Le Bon che canta infilato in un AutoTune incorniciato da sintetizzatori squagliati e tendenti al mantrico, quello che potrebbero essere i Duran Duran se provassero a fare trap, in pratica. Non solo, l’allucinazione del pezzo si sdraia su lidi quasi lynchiani e non a caso David Lynch in persona nel 2014 ha diretto il film di un loro live, il delirante Unstaged.
Insomma, è chiaro che i Duran Duran in fondo sono sempre stati molto di più di un gruppo pop: sono stati l’anello mancante tra la sperimentazione, l’art rock, il punk, il funk e l’elettronica, a volte filtrando anche con l’hip hop (ricordiamo la loro cover di 911 Is a Joke dei Public Enemy), filtrando il tutto con un edonismo tale da rendere fruibile alle masse l’impensato. Per dire, in un paio di B side si cimentano con cover di Bowie e dei Cockney Rebel, approcciate con una leggerezza invidiabile che però dà smalto agli originali, prendendone idealmente il testimone. È ascoltando i lati B, quindi, che possiamo capire veramente lo spirito libero di questa band, che è stata la sintesi di un’era soprattutto – forse – quando cercava di staccarsene definitivamente. Loro forse sì, degli anni ’80 se ne sono egregiamente liberati.