“What’s a wave baby? This a tsunami”. Questo verso di Janelle Monáe in Django Jane è un’immagine piuttosto chiara e violenta di quanto sta succedendo, in particolare nella cultura occidentale, in tema di identità e sessualità. Questa ondata, o meglio, questo tsunami che proviene dalla comunità LGBTQIA+ e dal mondo femminista ha portato a riva una serie di tematiche e concetti che la nostra società eteronormativa e patriarcale ha da sempre provato a nascondere e censurare. Parole come queer, gender fluid, non-binary sono entrate con prepotenza nella conversazione sociale reclamando spazio nei nostri dizionari, mostrandoci come la dicotomia donna-uomo sia limitata rispetto allo spettro di identità possibili.
Un discorso che è arrivato con forza nella cultura pop. Pensiamo al lavoro svolto dalla serie Netflix Pose, che ha riportato i fari sulla comunità transgender e non-binary delle ball, o a Asia Kate Dillon, prima attrice genderqueer a interpretare un personaggio non binario in una serie tv americana, Billions. O la riscoperta di un libro come I Love Dick di Chris Kruas che, nonostante fosse uscito nel 1997, ha dovuto aspettare vent’anni prima di diventare un meritato caso letterario, quasi quanto il successo del romanzo Call Me by Your Name di André Aciman dopo la trasposizione cinematografica di Luca Guadagnino. È anche interessante notare come un brand come Victoria’s Secret abbia assunto la sua prima modella transgender, Valentina Sampaio.
Questi sono solo alcuni piccoli esempi di come questa wave sia entrata con vigore nella cultura mainstream, coinvolgendo anche il mondo musicale spingendone i classici canoni del pop verso nuovi spazi, orizzonti, possibilità, sia in termine testuale che in chiave sonora. Sperimentazione e sensibilità avant-garde ritornano nel pop (come in passato fu con David Bowie e Laurie Anderson), riportandolo in un futuro chiamato avant pop. E qui che ha terreno fertile lo tsunami della scena musicale gender fluid, trovando rispetto, visibilità e spazio per esprimersi.
Come introduzione a questo universo, abbiamo deciso di selezionare una discoteca (in ordine cronologico) di dieci album avant pop che hanno contribuito in questi ultimi anni a portare alla luce le varie sfumature del discorso queer.
“channel ORANGE” (2012) Frank Ocean
Frank Ocean è forse l’artista più importante di questo periodo storico. Cresciuto nella stravagante crew della Odd Future (con Tyler, The Creator e Earl Sweatshirt), nel 2016 ha pubblicato quello che sarà ricordato come miglior disco del decennio, Blonde. Ma il suo percorso inizia nel 2012 con lo splendido channel ORANGE dove Ocean spoglia l’R&B americano dalla misoginia e dalla toxic masculinity di cui era impregnato. Con il suo coming out di quello stesso anno ha segnato un nuovo inizio per la scena gay nell’hip hop americano.
“All Love’s Legal” (2013) Planningtorock
Planningtorock hanno sempre utilizzato la musica per stimolare la conversazione sullo spettro come dimostra il loro anthem più celebre, Let’s Talk About Gender Baby. In All Love’s Legal troviamo altri titoli espliciti come Misogyny Drop Dead, Beyond Binary Binds, Patriarchy Over & Out, per una comunicazione sempre più esplicita e diretta su questi argomenti. Anche il successivo Powerhouse è da segnarsi come uno dei titoli pop più politicizzati di questi anni.
“Spring/Summer 2014” (2014) Mykki Blanco
Spring/Summer 2014 è una raccolta di tre brani. Forse non è la migliore pubblicazione di Mykki Blanco (il suo Mykki è sicuramente più interessante), ma quello che conta di questo EP è la violenza con cui venne pubblicato su Soundcloud, con uno sfogo della stessa Mykki che vale più di molte canzoni: “L’hip hop mi accetterà mai? Chi se ne fotte. La comunità gay mi girerà le spalle se smetterò di essere drag? Chi se ne fotte. Avrò mai un contratto discografico? Chi se ne fotte”.
“Hopelessness” (2016) Anohni
Il pubblico italiano si ricorderà magari della collaborazione tra Franco Battiato e Antony per Del suo veloce volo. O i più attenti si ricorderanno dell’artista americana per lo splendido progetto Anthony and the Johnsons. Il tempo è passato fino a maturare nella cornice di Hopelessness (co-prodotto con due artisti pazzeschi come Hudson Mohawke e Oneohtrix Point Never) dove Anohni diventa più che mai politica, mostrandosi elegante e delicata in ogni tema cruciale in cui si immerge. Nel 2012 aveva dichiarato a Pitchfork: “la maggior parte della scena musicale è un club di soli uomini che si fanno le seghe a vicenda per complimentarsi. È tutto così noioso e inutile. È una totale perdita di tempo”.
“Freetown Sound” (2016) Blood Orange
Dev Hynes ha presentato questo lavoro come un disco per quelli “a cui è stato detto che non sono abbastanza neri o troppo neri, troppo queer o queer nel modo sbagliato, per quelli non apprezzati”. Proprio questo senso di inclusione è l’essenza di questa wave, in cui la musica diventa spazio sicuro per la propria identità. Freetown Sound, tra l’altro, è un disco suonato e interpretato magnificamente.
“Pop 2” (2017) Charli XCX
Nessuna come Charli XCX è riuscita a riunire attorno a sé la scena musicale LGBTQIA+. Una svolta nella carriera della popstar inglese che, dopo il successo di I Love It con le Icona Pop e Fancy con Iggy Azalea, ha cambiato completamente il suo approccio sposando una hyperfuturismo musicale, a partire dal Vroom Vroom EP del 2016 prodotto da SOPHIE. Da quel momento, i suoi dischi (No. 1 Angel, Pop 2, Charli) sono diventati dei bignami per scoprire il meglio della scena gender fluid mondiale: Mykki Blanco, Tove Lo, Troye Sivan, Christine and the Queens, Brooke Candy, Big Freedia, Pablo Vittar, ALMA, Dorian Electra, Kim Petras.
“Arca” (2017) Arca
Qualsiasi lavoro di Arca potrebbe entrare in questa discoteca. Xen, Mutant e Arca sono un trittico che ha cambiato il modo di produrre e pensare la musica elettronica, nonché la sua estetica. Le performance di Arca, la sua immagine, i suoi videoclip, sono così potenti da spostare i confini. Questo disco omonimo ha il vantaggio di aver al suo interno Desafío che è il brano che vale il decennio.
“Oil of Every Pearl’s Un-Insides” (2018) SOPHIE
SOPHIE è la producer che ha cambiato il suono dell’avant pop contaminandolo con voci pitchate, glitch futuristici, sintesi FM. Dopo aver prodotto Madonna, Vince Staples e Charli XCX, ha strappato un consenso unanime di critica con questo suo preziosissimo esordio. Dentro c’è tutto quello che possiamo pensare quando riflettiamo su un futuro inclusivo. Nonostante anni di carriera, è solamente nello struggente videoclip di It’s Ok to Cry che possiamo ammirarla per la prima volta, a dimostrazione di come i tempi sembrino maturi.
“Dirty Computer” (2018) Janelle Monáe
Dirty Computer ha lanciato Janelle Monáe nel gotha della musica mondiale. Ispirata come il miglior Prince, con un singolo sfrangi-classifiche come Make Me Feel, Janelle Monáe ha conquistato tutt*. “A queer black woman in America”, come si è autodefinita, con questo disco ci ha lasciato degli anthem come Pynk (con Grimes) e Django Jane, portando il discorso ai massimi livelli della cultura mainstream. Dirty Computer è un ariete orgoglioso con cui abbattere le porte della white supremacy. “N****, fai un passo indietro, siedi, tu non sei coinvolto, mettiti in pausa, lascia che la vagina faccia il suo monologo”.
“Flamboyant” (2019) Dorian Electra
“Non sono una donna che si veste da uomo, è molto più complesso”, hanno detto Dorian Electra al Guardian. Il loro contributo è stato anche quello di parlar apertamente del valore dell’uso dei pronomi. Come molte persone non binarie la scelta è caduta sul pronome inglese they/them. Flamboyant è un disco gioioso, queer as fuck, che scherza con i ruoli di genere e i canoni del pop mainstream.