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10 album perfetti per superare l’ansia da quarantena

Dai paesaggi minimalisti di Brian Eno ai suoni onirici dei Boards of Canada, i dischi da ascoltare per ritrovare serenità in questo eterno presente in isolamento forzato

Foto: Tonje Thilesen

Si tenta di nasconderlo per non aggiungere dramma al dramma, ma la quarantena forzata di questi giorni e le incertezze rispetto al futuro stanno mettendo a dura prova la serenità di molti di noi. La musica non è certo una soluzione, ma ci sono dischi che possono favorire una sensazione di quiete e aiutarci a mettere da parte le preoccupazioni almeno momentaneamente. Costituiti da tracce quasi esclusivamente strumentali, gli album di questa lista possono sortire questo effetto: indurre calma, distendere, rilassare. Sono come bolle dove rintanarsi nei momenti in cui ci sentiamo sopraffatti dall’angoscia.

“The Lost” Otto A. Totland (2015)

È consolatorio e dolce farsi cullare dalle note al pianoforte di Otto Andreas Totland, sembrano quasi suggerirti di accantonare tensioni e ansia per lasciare spazio alla quiete. Per la cronaca, Totland è norvegese, è la metà del duo Deaf Center e ha registrato le 15 tracce di questo album nello studio berlinese di Nils Frahm. Sono brevi composizioni pianistiche prive di manipolazioni elettroniche, che attribuiscono uguale rilievo al suono come al silenzio proiettandoci in un mondo ovattato e poetico. Il 39enne le ha scritte in una piccola città costiera del suo Paese, dove ha trascorso un periodo distante dalla frenesia di una vita moderna dai ritmi troppo rapidi. L’impressione è di fluttuare nel tempo.

“re:member” Ólafur Arnalds (2018)

Classe 1986, l’islandese Ólafur Arnalds ha composto re:member con Stratus, software da lui sviluppato con l’amico ed esperto di arte interattiva Halldór Eldjárn: un programma che permette, ogni volta che si tocca un tasto di un pianoforte, di generare due note diverse su altri due pianoforti, secondo un meccanismo che dà vita ad armonie e sequenze melodiche inaspettate. Anche autore di colonne sonore e dj/producer con il progetto Kiasmos, Arnalds ha, dunque, creato un dialogo tra uomo e tecnologia per confezionare una commistione di strumenti classici – pianoforte e archi in primis –, elettronica e sintetizzatori. La traccia unfold è arricchita dalla voce di Sohn, saman è puro intimismo, partial un abbraccio nostalgico, undir un’esperienza immersiva multicolore. E se ekki hugsa dà l’idea di un risveglio dopo il letargo, con l’ultimo brano nyepi tutto si acquieta di nuovo per sfumare, dopo un’evocativa apertura sonora, nel silenzio.

“Dive” Tycho (2011)

Questo gioiellino di Tycho, alias l’artista elettronico di San Francisco Scott Hansen, solleva lo spirito sin dalla prima traccia. L’evocativa immagine di copertina, un tramonto sul mare rielaborato, è sua: Tycho è anche un graphic designer. Assieme alle dieci tracce del disco – costruite a partire da un lavoro con synth di varia specie e in cui non mancano elementi acustici – può essere una buona fonte d’ispirazione per dimenticarci per un’oretta della desolazione là fuori, staccare la spina e lasciarci accompagnare verso orizzonti dai toni pastello. Si parte lenti, poi il beat si fa più veloce e dona sprazzi luminosi. Il sole è là che ci aspetta, la serenità pure.

“Piano Solos” Dustin O’Halloran (2004)

Negli ultimi anni il pianista e compositore americano Dustin O’Halloran ha dedicato gran parte del suo tempo alla scrittura per il cinema, arrivando a conquistare un Emmy per la sigla della serie tv Transparent e una candidatura agli Oscar per le musiche del film Lion, scritte con Hauschka. Prima di questo e dell’impegno con A Winged Victory For The Sullen accanto ad Adam Wiltzie (Stars of The Lid), ha militato nei Devics, duo dream pop formato con Sara Lov, e dato alle stampe dischi solisti. Questo Piano Solos è il suo primo, registrato nella casa a Lugo di Romagna dove ha vissuto per un lungo periodo. Suonato con un Sabel svizzero degli anni Trenta, comprende dodici tracce dalle melodie minimaliste, raffinate, ispirate a grandi compositori quali Satie e Debussy. Con i loro suoni gentili concedono una calma ristoratrice. Opus 17 è finito tra le musiche di Marie Antoinette di Sophia Coppola.

“Mirages” JB Dunckel & Jonathan Fitoussi (2019)

A vent’anni dalla pubblicazione di quel capolavoro ancora godibilissimo che è Moon Safari degli Air, Jean-Benoît Dunckel – metà del duo francese – e il musicista elettronico Jonathan Fitoussi ci hanno regalato questo viaggio sonoro composto con diversi tipi di sintetizzatori vintage (si va dall’Arp 2600 al Korg MS20). È pop strumentale dall’afflato quasi mistico. Ascoltando Source è facile immaginarsi come stelle, lassù nello spazio, tra le galassie.

“Ambient 1: Music for Airports” Brian Eno (1978)

Nel booklet di Ambient 1: Music For Airports del pioniere dell’ambient Brian Eno si legge che il disco «intende indurre calma e spazio per pensare». Niente di più vero. È musica giocata sulla reiterazione, ma sempre diversa. È musica che amplifica le emozioni. È musica concepita per rilassare i passeggeri negli aeroporti prima del volo, nata dalla convinzione che creare il giusto paesaggio sonoro in quel tipo di luoghi pubblici sia fondamentale, ma diventata un appuntamento fisso per tutti coloro che nei dischi cercano momenti di pace con se stessi. E funziona, c’è chi la usa contro l’insonnia, per addormentarsi.

“Rivers and Streams” Lubomyr Melnyk (2015)

Con la sua “continuous music” – come si chiama lo stile pianistico di cui si definisce l’inventore e l’unico depositario al mondo – l’ucraino Lubomyr Melnyk ci invita a immergerci in composizioni che sono flussi di note e arpeggi complessi, stratificati, impreziositi da riverberi che amplificano il suono, paragonabili allo scorrere inarrestabile dell’acqua di un fiume o di un ruscello. Di qui il titolo di questo suo disco, Rivers and Streams. Ascoltarle è un’esperienza che può portare alla vertigine. «Si può raggiungere uno stato di estasi permanente», ha dichiarato lo stesso Melnyk, classe 1948, l’aspetto di un vecchio sciamano. Non sarà un traguardo semplice né immediato, ma la sua musica spinge a volgere lo sguardo in quella direzione.

“Oceanic” Niklas Paschburg (2018)

Suoni ipnotici, crescendo carichi d’intensità e un sapore pop che smuove e affascina. Niklas Paschburg è un giovane pianista e compositore di Amburgo, classe 1994, che ha da poco pubblicato il secondo disco Svalbard, prodotto da Andy Barlow dei Lamb. Ma se quest’ultimo, pur bellissimo e più maturo, accoglie in sé anche frammenti di oscurità, il suo debutto Oceanic è ottimo per offrire sollievo in questo periodo d’incertezze. È una raccolta di dodici canzoni strumentali tra neoclassica, ambient ed elettronica, realizzate con pianoforte, fisarmonica, percussioni e synth, tra cui un vecchio Korg MS2000. Sono ispirate alla natura e nella fattispecie al Mar Baltico, non a caso già nell’intro si ode il rumore delle onde. Alternando momenti morbidi e delicati a progressioni dinamiche e ariose favoriscono una sensazione di pace, ma anche un’energia ritemprante.

“The Campfire Headphase” Boards of Canada (2005)

Con una miscela di loop di chitarra, tappeti di synth, ritmiche seducenti e suoni ambientali The Campfire Headphase degli scozzesi Boards of Canada conduce lontano dal qui e ora, proiettandoci in una dimensione onirica. Falò, torrenti, natura incontaminata sono suggestioni che ci affiancano nell’ascolto, in Satellite Anthem Icarus si sentono persino gli uccellini. Detta così fa un po’ new age, ma siamo in tutt’altro campionato, di fronte a un’opera meditativa, dalle atmosfere rarefatte e in alcuni passaggi psichedelica. Un bel trip.

“Felt” Nils Frahm (2011)

S’intitola Felt anche perché per realizzare questo disco nato in notturna nel suo studio berlinese Nils Frahm ha smorzato il suono del pianoforte, inserendo strati di feltro tra le corde e microfoni all’interno dello strumento. «Inizialmente volevo fare un favore ai vicini», ha spiegato il pianista tedesco, figura di spicco della scena modern classic. Il risultato è un album elegantemente delicato, in cui fruscii, tintinnii, respiri e rumori d’ambiente contribuiscono a generare una sensazione di intimità tale che pare di stare accanto al musicista che muove le dita sui tasti con tocchi leggeri, spesso lasciando spazi tra le note, quasi a stimolare il viaggio della mente. Un rifugio.

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