«È con enorme tristezza che annunciamo che Mark Linkous si è tolto la vita oggi. Siamo grati per il tempo che abbiamo trascorso con lui. Sarà per sempre nei nostri cuori. Che il suo viaggio sia lieve, felice e libero». Dieci anni non sono niente per internet, dove si trova ancora facilmente l’articolo contenente il triste messaggio dei famigliari con il quale appresi della morte di Mark Linkous, suicidatosi il 6 marzo 2010 all’età di 47 anni. La ricordo come una delle prime morti ai tempi dei social – preceduta di poche settimane da quella di un altro grande songwriter americano come Vic Chesnutt – che erano piattaforme totalmente diverse da quelle che conosciamo oggi. Ci fu una certa compostezza, molti link YouTube condivisi, poca ironia e pochi commenti inutili.
Per i social dieci anni sono tanti. Sono tanti anche per la memoria di Mark Linkous, che non ha giovato di nessuna particolare gloria postuma e nel frattempo è un po’ sbiadita o comunque è rimasta intatta solo per una comunità molto intima e ristretta, come del resto può essere considerata quella dei fan degli Sparklehorse, il principale progetto con cui Mark Linkous ha fatto musica tra gli anni ’90 e gli anni ’00. Musica nella quale si celano tantissime sfumature che riconducono al carattere fragile di Linkous, schizofrenico, spesso alticcio e squinternato, passivo-aggressivo, ossessionato dall’emicrania che lo perseguitava e cercava di alleviare invano con l’eroina. C’erano interi mondi magici nei piccoli cedimenti della voce, personaggi fantastici abitavano gli arpeggi acustici semplici e struggenti, incubi, fantasmi e apocalissi nei pezzi più caotici.
Mark Linkous è stato un musicista davvero peculiare, ripensarlo oggi ci mette di fronte alla stessa domanda: è stato ed è ancora indecifrabile o è l’esponente più emblematico dell’indie folk e del lo-fi dell’epoca? Lo ricordiamo con alcune canzoni.
“Saturday” da “Vivadixiesubmarinetransmissionplot” (1995)
Vivadixiesubmarinetransmissionplot è il disco d’esordio degli Sparklehorse ed è un capolavoro con il quale Linkous fa conoscere al pubblico della musica alternativa la sua prosa delicata. Saturday è uno dei tanti pezzi che raccontano piccole scene di vita quotidiana, un tema ricorrente. In questo caso una domenica come tante, fatta di paure e piccole ossessioni.
“Rainmaker” da “Vivadixiesubmarinetransmissionplot” (1995)
Un altro estratto dal primo disco, per mostrare l’altra faccia della medaglia: la chitarra elettrica, un immaginario un po’ più pop e un brano diciamo allegro, se con allegro si intende “una signora anziana con sette dita”.
“Spirit Ditch” da “Vivadixiesubmarinetransmissionplot” (1995)
Ok, mi rendo conto che non si può andare avanti così, giuro ultimo estratto da Vivadixiesubmarinetransmissionplot (se non fosse chiaro, l’ascolto è consigliatissimo). Qui secondo me c’è tutto Linkous, un arpeggio con leggerissimo tremolo, un tamburello, poi l’apertura verso una valle di armonie. C’è anche un messaggio vocale originale della mamma, a dire il vero. Fa piangere.
“Saint Mary” da “Good Morning Spider” (1998)
Il successo dell’esordio è stato tale da portare Linkous ad aprire i concerti dei Radiohead durante il tour di The Bends del 1996. Questa canzone neo folk gotica che fa pensare ai Current 93 di David Tibet racconta della permanenza al St. Mary’s Hospital di Londra, dove Linkous è stato ricoverato d’urgenza e salvato per un pelo dalla morte e dalla paralisi, a seguito di un’overdose causata da un cocktail di farmaci, eroina e alcol mentre si trovava in un hotel.
“Eyepennies” da “It’s a Wonderful Life” (2001)
Il terzo album a nome Sparklehorse è forse quello più atteso, anche a causa del clamore che fece sui magazine l’overdose di Londra. Si tratta del primo disco prodotto in un vero studio – i precedenti furono sostanzialmente autoprodotti e registrati in una camera – nei quali compaiono anche featuring importanti, come questo di PJ Harvey.
“Little Fat Baby” da “It’s a Wonderful Life” (2001)
Abbiamo menzionato Vic Chesnutt, non abbiamo detto che i due erano molto amici e che la morte di Chesnutt a Natale del 2009 ebbe gravi ripercussioni sulla depressione di Linkous. In questo brano cantano assieme.
“Dog Door” da “It’s a Wonderful Life” (2001)
L’altra collaborazione di spicco nell’album It’s a Wonderful Life è con Tom Waits. In un’intervista Linkous raccontò il loro incontro per il quale era molto in ansia e dovette ubriacarsi anche solo per riuscire a combinarlo. Avvenne in una monovolume e parlarono dei loro animali preferiti. Il pezzo è molto diverso dal sound classico degli Sparklehorse.
“Go” da “The Late Great Daniel Johnston: Discovered Covered” (2004)
Nel 2004 esce un disco tributo a Daniel Johnston, un doppio CD con 19 brani del cantautore e 18 cover tra cui quella di Go degli Sparklehorse con i Flaming Lips, in una veste totalmente nuova e ripulita della versione strimpellata e lo-fi originale. «Go, go, go you restless soul».
“Goodnight Sweetheart” da “In the Fishtank 15” (2009)
Nel 2009 Mark Linkous pubblica un album semi-strumentale e sperimentale insieme al musicista austriaco Fennesz, pioniere dell’elettronica glitch. Un incontro perfetto, il risultato è bellissimo.
“Everytime I’m with You” da “Dark Night of the Soul” (2010)
Questo disco collettivo scritto insieme a Danger Mouse ebbe una gestazione controversa e fu accompagnato da una vicenda legale un po’ stramba che era ancora in corso quando Linkous si tolse la vita. Per questo è uscito postumo nella versione fisica ed è dedicato alla memoria di Linkous e di Chesnutt, anch’egli presente con il pezzo devastante Grim Augury.