Sfogliando un vecchio numero di Musica e Dischi, agosto 1968, mi imbatto in un paginone che titola: “Esiste la canzone italiana? Perché si copia tanto dall’estero?”. Domande che la rivista pone ai direttori artistici delle maggiori case discografiche nazionali. “Ci rivolgiamo alla produzione estera” ammette Antonio Ansoldi della Ri-Fi “in quanto, proporzionalmente più numerosa, offre maggiore possibilità di selezione”.
In effetti, negli anni del boom, alla straordinaria crescita della domanda non sembra corrispondere un’offerta interna altrettanto consistente. E quindi ben venga qualche trucchetto editoriale “molto italiano”, tipo prendere canzoni straniere e tradurle per il mercato nazionale. Una pratica che rivela le molte tare culturali di un’epoca ancora segnata dalla xenofobia musicale e dalla sua goffa vocazione traduttrice. Le radio libere sono di là da venire e il mercato è sotto l’occhio e l’orecchio della commissione di controllo RAI. Dulcis in fundo, immaginiamoci quale possa essere la comprensione media della lingua inglese nell’Italia dell’epoca: non sorprende che persino i Beatles, fino al 1965, fatichino a sfondare.
C’è quindi chi approfitta della scarsa diffusione dei pezzi stranieri per tradurli in italiano (spesso senza dichiarare la fonte). Ma come succede ai nostri giorni per alcuni titoli cinematografici, le versioni italiane finiscono sovente per stravolgere il senso originale. Anche in questo caso, si possono addurre varie ragioni. Innanzitutto, tra i monopoli duri a morire c’è quello delle canzoni d’amore, o comunque infarcite di buoni sentimenti: religione, famiglia, l’amata terra natìa e via dicendo. I testi “impegnati” che se ne discostano hanno molta più probabilità di incappare nella censura della suddetta commissione. Ci sono poi le difficoltà metriche — nell’adattare testi fondati sulle musicalissime sillabe tronche — e quelle retoriche: come rendere in italiano metafore e sfumature di senso idiomatiche?
Altre volte l’escamotage ha il semplice scopo di aggirare il copyright, presentando il brano come originale o ancor più spesso di sfruttare le ampie maglie del diritto d’autore, assicurandosi anche una piccola quota sulle vendite degli originali. Più semplicemente, il produttore di turno può essere alla ricerca di una musica già pronta per un successo cotto e mangiato. E se il testo non ha nulla a che vedere con l’originale, pazienza: in pochi protesteranno.
Poi finalmente anche l’Italia inizia ad aprirsi alle correnti internazionali, in buona parte grazie alle nuove radio che diffondono le versioni degli artisti internazionali, abituando il pubblico a riconoscere, e prediligere, gli originali. E così, questo vizio “molto italiano” scompare quasi del tutto — o quasi, come dimostra la Creep di Vasco Rossi — diventando uno dei marchi di una stagione ben precisa, che qui ripercorriamo con dieci eloquenti e spudorati esempi.
Pregherò
Adriano Celentano
1962La storia di questa canzone è stata raccontata dallo stesso traduttore, Don Backy. Che nel 1962 rileva l’incarico precedentemente affidato a un altro membro del Clan Celentano, Miki Del Prete. Nottetempo, all’Hotel des Etrangers — quale luogo più adatto? — il giovane cantautore toscano scrive un testo che nulla ha a che vedere con l’originale Stand by Me (come riporta il sito Musica & Memoria, egli stesso confessa di non conoscere l’inglese). Protagonisti della versione italica, una giovane non vedente — che forse per questo “la fede non ha” — e un ragazzo impegnato a convincerla che il suo amore per lei è una prova dell’esistenza di Dio. Anche meno, magari. Tanto per completare il cortocircuito sarà questo testo, e non l’originale, a essere tradotto per la versione francese di Dalida.
Se mi fai pedinare / Misery
Danny Lorin
1964Sulle cover beatlesiane ci siamo già pronunciati un po’ di tempo fa, ma era rimasta fuori questa straordinaria doppietta di Danny Lorin su testo di Daniele Panzuti. Il quale, sentendo sul collo il fiato della commissione RAI, decide che è più saggio convertire l’emancipata diciassettenne che aveva sedotto McCartney in I Saw Her Standing There in una psicotica possessiva (“impazzita sei, così non può durar”). Non va molto meglio per Misery — che da sostantivo diventa nome proprio — introdotta da un organo singhiozzante quanto il protagonista: “Non ho pianto mai, ma piangere vorrei / Tu sei cattiva con me, Misery”.
La fine del libro
Equipe 84
1965È Armando Sciascia in persona — aka Pantros, fondatore dell’etichetta Vedette — a occuparsi di tradurre la rollingstoniana Time Is on My Side per il complesso modenese appena ingaggiato dalla sua scuderia. Ne esce fuori un testo a dir poco lugubre: “Ora non puoi più soffrir / per sempre ormai puoi dormir / è la fine del libro / che parlava di te”. Non c’è spazio per il sereno ottimismo di Jagger, sicuro che la protagonista del testo di Norman Maede sarebbe tornata da lui, non prima di aver fatto “tutto ciò che il suo cuore desideri”: un po’ troppo, per la mascolinità italiana del 1965.
Bandiera Gialla
Gianni Pettenati e le Pecore Nere
1966Il Pied Piper dei Changin’ Times è uno dei tanti remake della vecchia fiaba già “coverizzata” dai fratelli Grimm, storia di un pifferaio magico chiamato dal borgomastro di Hamelin per far scacciare i topi al suono del suo strumento; come spesso succede ai musicisti, il comune si rifiuta di pagarlo, cosicché per ripicca il pifferaio incanta i bambini del borgo e li rapisce (nel brano inglese a essere adescata, ovviamente, è una graziosa fanciulla). Tutto ciò, tradotto da Alberto Testa e Nicola Salerno, si trasforma nel motto di una rivoluzione light: “Finché vedrai sventolar bandiera gialla / tu saprai che qui si balla”. Il Sessantotto e le sue bandiere rosse sembrano ancora lontani anni luce.
Solo più che mai
Johnny Dorelli
1966I traduttori italiani non si rassegnano neppure quando l’amore è già oggetto del testo originale. No, deve essere il più triste possibile, non sia mai che venga corrisposto. E allora, se il Frank Sinatra di Strangers in the Night passeggiava sotto i lampioni in dolce compagnia, il nostro Johnny nazionale è condannato alla solitudine antelucana dal paroliere Ermanno Parazzini. Ma neanche Dorelli si rassegna, e un anno dopo, nell’album L’immensità, alla versione italiana sul lato A fa da contraltare l’originale sul B.
La tua immagine
Dino
1967La tua immagine, dal film Il laureato. Così recita, impunemente, la copertina del 45 giri che traduce in italiano The Sound of Silence, alludendo che non siano Simon & Garfunkel, ma Zambelli Eugenio detto Dino a interpretare la soundtrack del film appena uscito. Quasi una sinestesia, quella prodotta dalla traduzione di Carlo Rossi, che trasforma il silenzio in immagine. E manco a dirlo, l’immagine non può che essere quella dell’amata. Per la gioia della RCA, che monetizza su un successo della Columbia.
Ho difeso il mio amore
I Nomadi
1968Nella versione tradotta per Augusto Daolio e compagni (e interpretata anche dai Profeti), le seducenti Nights in White Satin dei Moody Blues si trasformano in uno scenario da femminicidio (o da omicidio di un rivale). Non senza una certa clemenza nei confronti del protagonista assassino, il quale racconta la sua versione dei fatti dall’oltretomba. Un dramma della gelosia il cui movente, espresso dal titolo, è letteralmente inciso su pietra nel testo di Daniele Pace.
Ragazzo solo, ragazza sola
David Bowie
1970Ed ecco il Sacro Graal dell’adulterio discografico. Dopo il successo di Space Oddity la Philips decide di spedire David Bowie in un’altra odissea senza ritorno, verso il pianeta Italia. A differenza degli esempi precedenti, è lo stesso autore a interpretare la versione tradotta, dopo aver affidato il suo testo al principe dei parolieri, Mogol. Che però fa un disastro, altro che oddity. Del racconto spaziale non c’è più traccia, al suo posto l’ennesima storia d’amore tormentata: “Un angelo, un angelo / Che ormai non vola più / Che ormai non vola più”. Proprio come il povero Major Tom.
Superstar
Flora, Fauna e Cemento
1970Il gruppo fondato da Mario Lavezzi e Damiano Dattoli debutta nel 1970 con un 45 giri che è una doppia traduzione. Sul lato A Il ponte, versione italiana di Bridge Over Troubled Water a cura di Alessandro Colombini. Sul lato B il brano di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice tratto da Jesus Christ Superstar, tradotto da Herbert Pagani, diventa la cronaca di un tradimento adolescenziale (nonché un antecedente di Servi della gleba). Dalla fede all’infedeltà, soprattutto verso il testo. Il refrain, destinato all’immortalità dopo il film del 1973, diventa: “Lei non c’è, lei non c’è / esce con tutti ma non con te / vieni al bar, vieni al bar e lascia perdere Superstar”. Lord, have mercy…
Immagina che…
Ornella Vanoni
1972“Immagina che per caso / domani qui / arrivi un uomo / non ti so dire chi”. Un anno dopo la sua uscita, il capolavoro di John Lennon Imagine è ben più che un inno generazionale, e non serve avere una certificazione linguistica Cambridge per comprendere il senso di quei versi così radicati nella storia contemporanea. Ma ancora nel 1972 questa traduzione di Paolo Limiti riesce a farla franca, trasformando il pacifismo nella più classica cronaca rosa in stile “lui, lei, l’altro”. Per fortuna, la stagione dei tradimenti impuniti è agli sgoccioli.