Quale migliore momento dell’anno se non Halloween per godere del fascino morboso della paura? Ma attenzione, c’è paura e paura. Specie in musica sono molteplici le evocazioni di questo stato emotivo che alla fine dei conti si rivelano grossi bluff. Sono da sempre convinto infatti che molto del materiale spacciato come cupo a livello musicale sia nient’altro che una rappresentazione cheap del vero orrore. Artisti provenienti specialmente dall’area hard/metal (non quello più estremo, lì le cose si fanno più serie, ma è un mondo a parte) hanno abusato di zombie/fantasmi/streghe e di tutto il variegato immaginario in un modo che poco ha a che fare con le narrazioni dei grandi maestri. L’horror di certi dischi è spesso fumettistico, vuole spaventare, ma in fondo fa ridere.
Per fortuna non è l’unico modo di traslare in note il terrore. Anche in musica esistono dei Lovecraft, quelli che realizzano opere che fanno veramente paura. A volte si fa fatica ad ascoltarle perché scavano in maniera così profonda negli abissi del terrore da risultare insostenibili. Ne ho scelte dieci e ve le propongo in ordine cronologico, ma attenzione: andateci cauti.
“Atem” Tangerine Dream (1973)
Di questo disco godetevi le atmosfere cosmico-funeree della title track e affondate nei buchi neri di Fauni-Gena e Circulation of Events. Se però volete provare sensazioni veramente forti è sulla traccia finale che dovete fiondarvi. Wahn è un coacervo di voci e sussurri dall’aldilà, tra porte che sbattono, folate spettrali, percussioni maligne e un mellotron incancrenito a tenere insieme un collage di delirio.
“Hérésie” Univers Zéro (1979)
I belgi Univers Zéro uniscono rock e musica contemporanea, con un secondo album, Hérésie, che mette in scena una tensione sonora che cresce fino al parossismo. La Faulx, che occupa l’intera prima facciata, è il caos strisciante, Jack the Ripper (emblematica fin dal titolo) è la città buia e deserta con finestre che sono occhi privi di orbite, senza via d’uscita.
“The Litanies of Satan” Diamanda Galás (1982)
Nel disco d’esordio la cantante e performer prosegue in qualche modo gli studi di Demetrio Stratos sulla vocalità conducendoli a punti estremi di sabba e devastazione. Due suite, di cui una basata su stralci de I fiori del male di Charles Baudelaire, a base di urla, risate, gemiti, conati e invocazioni al maligno al fine di esorcizzare tutti i drammi del pianeta.
“Homotopy to Marie” Nurse with Wound (1982)
Un’esperienza sconcertante: Steven Stapleton offre un vero cabaret mefistofelico con tutto quello che vi aspettereste di sentire se foste imprigionati in un antico manicomio abbandonato, nel mezzo del nulla, tra la nebbia, scoprendo che le mura ospitano ancora esseri che non conservano più nulla di umano.
“Nature Unveiled” Current 93 (1984)
Quest’album mette l’ascoltatore innanzi a un senso di angoscia così profondo che sembra quasi di non poterne più uscire. A volte si fa fatica a non fermare la musica, tanto è il malessere che comunica, con litanie e urla nella notte che sono come ratti che rosicchiano le viscere. Un panico tanto intenso da spingere a cercare la via d’uscita del silenzio.
“Heresy” Lustmord (1990)
L’ambient nerissima di Brian “Lustmord” Williams spalanca un antro di terrore senza ritorno. Pensate alle catacombe sottomarine istoriate di geroglifici maledetti che non appartengono a questo universo, alle antiche costruzioni dalle geometrie impossibili presso le quali il grande Cthulhu dorme il suo sonno millenario in attesa del risveglio. Ecco Heresy.
“Sacrilegium” Devil Doll (1992)
Capitanati dal misterioso Mr. Doctor, gli italo-sloveni Devil Doll hanno creato un culto con quattro opere che fanno scendere in cripte sconsacrate alternate a visioni di buie ville ottocentesche, con teste di antiche bambole a fare capolino tra i mobili tarlati e le ragnatele. Sacrilegium è l’apice, un unico brano di 45 minuti tra squarci prog, teatro dell’assurdo e nenie lugubri.
“Absinthe” Naked City (1993)
Absinthe è l’atto finale dei Naked City di John Zorn, e per l’occasione si prefigura come una sorta di rito funebre disturbante ed enigmatico. Paesaggi sospesi e rumorismi assortiti evocano scenari apocalittici, tra campane a morto, cancelli arrugginiti di tombe malefiche e rosari sgranati da scheletri.
“The Drift” Scott Walker (2006)
Una lunga allucinazione a base di crepitii e masse di suoni elettronici in movimento come magma ribollente. Una mefitica atmosfera da rituale voodoo con percussioni fatte di ossa, violini dissonanti e le visioni di profondità abissali entro le quali risuona la voce da crooner dell’oltretomba del compianto Scott Walker.
“Caligula” Lingua Ignota (2019)
Lingua Ignota (l’americana Kristin Hayter) si incammina sulla strada tracciata da Diamanda Galás con ancora più fervore. Con un po’ di fantasia si potrebbe pensare che Caligula può spingere verso la pazzia, tanto sono strazianti e senza speranza le grida di angoscia e dolore delle quali è capace Hayter. Più che un disco una carneficina.