Gli amanti della musica elettronica sanno che nei loro ascolti è possibile, in un certo senso, prevedere un certo futuro prossimo della musica pop. È da qui infatti che, molto spesso, il mainstream recupera la linfa per rigenerarsi e riprodursi, prendendo in prestito idee che nell’underground germogliano senza l’oppressione di conti economici e pressioni numeriche. Certo, quello che poi arriva in superficie è spesso una versione sintetizzata di quanto accaduto nel sottosuolo, ma è pur sempre dall’elettronica (nelle sue infinite declinazioni) che si prova a captare il futuro del suono.
Ma che anno è stato il 2022 per l’elettronica? Sicuramente un anno transitorio, senza grandi picchi, ma con tantissime idee e parecchi scenari liquidi che stanno pian piano svelandosi in particolare grazie all’arrivo e all’affermazione di una nuova schiera di compositrici – L’elettronica è donna, come scrivono nel loro saggio Claudia Attimonelli e Caterina Tomei – che stanno cercando di sintetizzare un nuovo pop che riesca a contenere ambient, sperimentazione e ritmi dancefloor destrutturati.
È quindi tempo di consultare l’oracolo attraverso dieci dischi (più uno bonus) che, per differenti ragioni, hanno portato qualcosa di nuovo all’interno del contemporaneo.
A prodigare l’incontro tra Charlotte Adigéry, artista francese cresciuta in Belgio, e Bolis Pupul, belga d’origine cinese, sono stati i Soulwax, i primi a notare la perfetta alchimia del duo e pubblicare il disco d’esordio nella loro etichetta, la Deewee. In Topical Dancer i due mettono al centro del discorso temi caldissimi – appropriazione culturale, razzismo, parità di genere e attivismo (“Tornate da dove vieni! / ‘Siri, puoi dirmi da dove arrivo’”, intona la Adigéry in Blenda) – bilanciandoli sapientemente con un’elettronica che rimane comunque catchy. Il risultato è un racconto controverso sulla società contemporanea e su una Bruxelles che ha perso di memoria storica, in cui le produzioni leggere e spensierate mitigano alla perfezione alcune crude verità. (GC)
L’elettronica leggerissima (e politica) di Charlotte Adigéry e Bolis Pupul
Nessuno riesce a mescolare hip hop e elettronica come Hudson Mohawke. Ma che altro aspettarsi da uno che a inizio carriera, nel 2013, è stato scelto da Kanye West per produrre Yeezus (il disco più sperimentale della carriera di Ye) al fianco di gente come Daft Punk, Arca, Gesaffelstein, Mike Dean e Noah Goldstein? Cry Sugar è un disco più che mai utile al panorama odierno perché spalanca strade ad un nuovo possibile modo di produrre beat, in cui elettronica sperimentale (dalla trance all’hardcore) e campionamento old school (qui si sente parecchio la scuola Kanye West) giocano a ribaltare schemi e codici. (MB)
Ci sono voluti sei anni a Huerco S. per superare una serie di ansie generate dal successo di For Those of You Who Have Never (And Also Those Who Have) che avevano messo l’artista americano sotto i riflettori della scena alternative. Abbandonato l’ambient in senso stretto, Plonk sembra quasi ripescare dalla feconda linfa proto-ambient dei KLF di Chill Out, dai due volumi di Selected Ambient di Aphex Twin e dal catalogo della Em:t Records, influente etichetta di Nottingham degli anni ’90. Il risultato è una musica strumentale che unisce arpeggi, noise, loop e sussurate batterie isteriche, da utilizzare in un’installazione museale o in un pazzo after futuristico. Intrigante inoltre il post rap di Plonk IX con Sir E.U. Soft ambient-dance music per cyborg. (MB)
Pop che sperimenta e club music che si spoglia da strati di euforia da pista: questo è I Love You Jennifer B, album del duo londinese Jockstrap che estremizza un dialogo tra concettualità sonora e art pop. Georgia Ellery e Taylor Skye, del resto, si sono conosciuti qualche anno fa alla Guildhall School of Music & Drama di Londra. Il loro primo album li vede mescolare elementi orchestrali e beat sporcati di grime, con influenze che ricordano il funambolismo hyperpop, da una parte, e sperimentali sentieri alternativi calcati in passato da band di culto come Stereolab e Broadcast, dall’altra. (GC)
Il revival ambient degli ultimi due-tre anni è stata forse la wave più importante per la musica elettronica. Finita la sbornia pandemica, però, in molti all’interno del genere hanno ritrovato il piacere di uscire dall’intimismo etereo alla ricerca di nuovi orizzonti. Uno degli episodi più riusciti ci arriva da Kaitlyn Aurelia Smith capace di unire il suo background colto (dalle teorizzazioni dell’ascolto somatico alla passione per i modulari Buchla) a momenti smaccatamente pop nel nuovo Let’s Turn It Into Sound. L’ambient qui si muove in territori di frontiera, flirtando con elettronica da ballo e pop music, formando canzoni puzzle in cui l’ascoltatore è libero di muoversi nella direzione che preferisce. (MB)
Dopo gli esordi tra techno fisica e tracce vigorose da dancefloor, la gallese Kelly Lee Owens – tra i nomi più interessanti che agiscono tra sperimentazione e pop – si è messa in gioco in una terra di confine, come dimostrano la collaborazione con John Cale dei Velvet Underground nel suo precedente Inner Song (del 2020) e la traiettoria seguita quest’anno per disegnare tessuti noise tra ambient e cantato nel nuovo lavoro, LP.8. Si tratta di una prova di maturità verso territori ancora poco esplorati che raccontano di una maestria rara nel far sembrare semplici cose difficili: c’è vita oltre al beat UK che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni. Non ci stupirebbe che nel breve futuro un certo mainstream suonasse molto simile alla Lee Owens di oggi. (GC)
Con Building Something Beautiful for Me, e il disco omonimo uscito a nome Whatever the Weather, Loraine James, ragazza prodigio di Londra nord, è una delle sorprese più inaspettate del 2022. I suoi lavori hanno il pregio di cullare e, allo stesso tempo, intimorire, trasportando l’ascoltatore in cieli blu acre e melodie eteree, in un luogo immaginario di cui non resta memoria al risveglio. Alla base della musica di James c’è una scrittura pop su cui si viene edificata una certa sperimentazione club che fa a meno di dinamiche e sovrastrutture troppo ingombranti, raffinandosi su due lavori che potrebbero presto incontrare un pubblico più ampio. (GC)
Tra le artiste più sorprendenti di questo periodo c’è sicuramente la colombiana Lucrecia Dalt che nel suo ¡Ay! concentra un folk sudamericano decostruito e proiettato nel futuro, intellettuale ma concreto al punto giusto. Melodie calde e soffici tappeti arpeggiati si muovono tra linee che ricordano Nicolas Jaar e un’eleganza che ci porta a immaginare una Björk che canta della diaspora latinoamericana. In ¡Ay! l’artista recupera le radici sonore della propria infanzia in un concept album su di un’entità aliena (Preta) che scopre sé stessa su di un’isola. Il risultato porta così a nuove forme futuristiche di bolero, salsa in tinte sci-fi e mambo elettronico con reminiscenze dub e jazz. (GC)
Da ora in avanti quando si parlerà delle possibilità della musica pop in rapporto all’elettronica bisognerà citare Pripyat, il terzo disco in studio di Marina Herlop. L’artista catalana infatti è riuscita a catalizzare nelle sue composizioni una serie di sonorità in uno spettro abbastanza ampio di manipolazione (non solo vocale, ma anche strumentale) che va da Imogen Heap a Arca, da Lyra Pramuk a Björk, arrivando a costruire sei brani che si manifestano come pop senza frontiere geografie, linguistiche e soniche. Nonostante l’imprevedibile libertà d’azione che potrebbe disorientare, Pripyat è facilmente fruibile grazie alla voce di Herlop che funge da corrimano sonoro a cui aggrapparsi durante l’ascolto. (MB)
L’elettronica cerca di tradurre e intercettare visioni da un certo futuro tecnologico. In Yeule – artista singaporiana genderless – questa visione è un avant pop cyborg in cui l’umano e il robotico si rapportano come nelle teorie di Donna Haraway. Siamo di fronte ad una popstar o un’intelligenza artificiale? Il dubbio si insinua come una leggera angoscia sin dall’intro, My Name Is Nat Cmiel, serpeggiando però in tutto Glitch Princess in brani come Electric, Eyes, Fragments, Too Inside, Friendly Machine. Il futuro del pop è cyborg. Il nuovo pop è la macchina? I glitch di Yeule potrebbero essere profetici. (MB)
In un mare di bellissima musica elettronica straniera, uno spazio – quello bonus – se lo merita Nziria, producer che ha debuttato quest’anno con Xxybrid, nel quale si infiamma il racconto di una Napoli tra passato e futuro. Il neomelodico da cartolina rivisto e immerso nella cultura queer. Musicalmente il ribaltamento avviene attraverso lo scontro tra musica gabber (Hard Tarantella) e capacità autoriali che portano nel club sentimenti popolari, ma spesso assenti, come l’amore (Amam ancora). Canzone popolare del secolo scorso con synth e pattern elettronici, senza paura di strafare, in due parole, hard neomelodic. La musica popolare può far parte del futuro della musica elettronica? Questo disco può essere una prima risposta alla domanda. (GC)