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10 insospettabili canzoni che vengono da Broadway

Campionamenti, ritornelli rubati o cover fedelissime che spopolano più dello spettacolo teatrale da cui provengono. Dai Beatles a Whitney Houston, da Gwen Stefani a Jay-Z, ci sono cascati (quasi) tutti

Foto: Interscope

Il 16 aprile, dopo quasi 14mila repliche, calerà il sipario a Broadway sul Fantasma dell’Opera, il musical-dei-record di Andrew Lloyd Webber che lo scorso 26 gennaio ha festeggiato il suo 35esimo anniversario (e si intende: otto spettacoli a settimana, tutte le settimane, per 35 anni; un po’ come se noi tenessimo La Traviata alla Scala tutte le sere). Pare che la produzione non riesca più a sostenere le spese: eppure Il fantasma è stato visto da quasi 150 milioni di spettatori in 41 Paesi, ha incassato circa 6 miliardi di dollari e solo a New York ha dato lavoro a 6.500 persone, fra cui 450 interpreti avvicendatisi in tre decenni.

Cosa resterà del Fantasma, dopo la piccola e inedita parentesi italiana? L’elenco (fortunatamente) è lungo e conta un film del 2004, uno show a Las Vegas nel 2006 e infiniti rifacimenti dei brani del musical attraverso tutti i generi: il più celebre resta forse quello eponimo dei Nightwish, band symphonic-metal finlandese che nel 2002 ha pensato bene di rifare un duetto del teatro inglese.

L’accostamento pare azzardato – eppure c’è stato un tempo in cui quasi tutte le canzoni che passavano dalla radio, soprattutto statunitense, provenivano da Broadway. Nel 1981 per esempio, sempre per restare in casa Webber, mentre Cats si apprestava a diventare il musical-per-eccellenza lo stesso Andrew produceva la cover del suo brano più celebre, Memory, per Sua Maestà Barbra Streisand.

Quella che segue è una lista di campionamenti, ri-arrangiamenti e incisioni alternative al palcoscenico, spesso lontanissime dai teatri. Una lista in cui non figurerà I Get a Kick Out of You di Lady Gaga e Tony Bennett né altri brani estratti da album-tributo a chi Broadway l’ha fondata; non figurerà nemmeno Alabama Song (Whisky Bar) dei Doors, interpretata poi da David Bowie nel 1980, scritta da Bertolt Brecht e Kurt Weill per il loro Mahagonny, che non arrivò a New York fino al 1970, e quando ci è arrivato non era a Broadway.

Una menzione speciale: Aquarius/Let the Sunshine In dei 5th Dimension, medley dall’indimenticabile musical Hair del ’69 che ha vinto due Grammy, ha passato sei settimane al primo posto della Billboard chart ed è considerata una delle migliori canzoni di sempre e fra le più popolari di quell’anno: e che, quindi, non ha bisogno di stare anche qui.

Till There Was You

The Beatles

1963

È stata una delle canzoni con cui i Beatles si presentarono all’audizione per la Decca Records, e uno dei cinque brani che eseguirono durante la loro prima apparizione all’Ed Sullivan Show: eppure nessuno dei Fab Four sapeva che il pezzo veniva da Broadway, precisamente dallo spettacolo The Music Man. Paul McCartney l’aveva sentito per la prima volta nella versione di Peggy Lee del ’61, grazie a sua cugina Bett Robins che occasionalmente gli faceva da baby-sitter. La vedova dello scrittore del brano, Meredith Wilson, ha dichiarato che i diritti d’autore di questa versione hanno fruttato più di quanto avesse fatto originariamente l’intero musical (tornato a teatro lo scorso anno con Hugh Jackman).

Big Spender

Shirley Bassey

1967

In origine è il secondo brano di Sweet Charity, musical del 1966 ispirato a Le notti di Cabiria di Federico Fellini che Bob Fosse diresse e coreografò sia a Broadway che nella (sfortunata) trasposizione cinematografica con Shirley MacLaine. Nonostante il tempismo con cui Peggy Lee ne incise una cover (che diede il titolo al suo quartultimo album), la canzone è diventata il cavallo di battaglia di Shirley Bassey, che alla fine del ’67 sfiorò la Top 20 inglese e che nel 2001 la cantò per l’ottantesimo compleanno del Principe Filippo. Quasi vent’anni dopo, fu inserita in una compilation che prende il nome dal successivo brano di questa lista: I Am What I Am.

Morning Glow

Michael Jackson

1973

Nel 1972 – l’anno di Cabaret – il 45enne Bob Fosse e il 24enne Stephen Schwartz lavorarono insieme al musical Pippin, storia di un giovane principe che cercava il significato della vita. L’etichetta Motown Records quello stesso anno ne pubblicò la colonna sonora, e si trattava della prima volta che lavorava a un LP teatrale. Chiese allora ai suoi artisti di incidere alcune cover dello show, e così nacquero I’ll Guess I’ll Miss the Man delle Supremes, Corner of the Sky dei Jackson 5 e questa Morning Glow di Michael Jackson. Cinque anni dopo, Jackson si scontrerà con un altro musical di Broadway, interpretando lo Spaventapasseri nel film tratto da The Wiz.

I Am What I Am

Gloria Gaynor

1983

Con questa canzone si chiude il primo atto de La Cage aux Folles. E durante l’intervallo, nel 1983, il produttore Joel Diamond deve aver pensato al potenziale disco che si nascondeva dietro alla voce del protagonista George Hearn che la cantava. Arrangiò così una versione da proporre a Gloria Gaynor – di cui aveva prodotto il disco Park Avenue Sound – e lei ne fece un inno gay internazionalmente riconosciuto. Non a caso: La Cage fu il primo grande musical di Broadway con una storia imperniata attorno a protagonisti omosessuali, basata su uno spettacolo francese degli anni Settanta che ci aveva già regalato, nel 1978, Il vizietto.

I Know Him So Well

Whitney Houston & Cissy Houston

1988

Il medley che Whitney Houston eseguì live agli American Music Awards del ’94, oltre a essere diventato leggenda come la sua voce (semi-cit.) includeva due brani che giungevano da Broadway: il primo dall’opera Porgy & Bess (che ha “regalato” anche la celeberrima Summertime a moltissimi artisti, da Ella & Louis in giù), il secondo da Dreamgirls. Ma già sei anni prima The Voice aveva attinto al teatro, e per chiudere l’album-dei-record Whitney si era fatta accompagnare da sua madre Cissy. Il brano – scritto dal premio Oscar Tim Rice con i due maschi degli ABBA, Benny Andersson e Björn Ulvaeus – era parte del musical Chess, che fra il 1984 e l’88 usava un fittizio torneo di scacchi come metafora della Guerra Fredda.

Losing My Mind

Liza Minnelli & Pet Shop Boys

1989

Alla fine degli anni Ottanta, forse per scrollarsi di dosso la polvere di Cabaret, Liza Minnelli firmò con la Epic dicendosi interessata a registrare un album pop. Il manager dei Pet Shop Boys passava di lì e così nacque (molto velocemente) Results, che contiene un paio di cover degli stessi Boys e poi questa Losing My Mind, singolo di lancio del disco che subito entrò nella Top 10 inglese. Il brano – lamento notturno di un amore idealizzato – era il quintultimo brano del musical Follies del 1971 del compianto Stephen Sondheim, che fra le sue interpreti ha visto anche Imelda Staunton. Lo scorso anno i PSB hanno riesumato il pezzo con il tour Dreamworld.

Hard Knock Life (Getto Anthem)

Jay-Z

1998

Il primo grande successo commerciale di Jay-Z contiene il campionamento del brano It’s the Hard Knock Life dal musical Annie, messo in scena per la prima volta nel 1976 e poi rivisitato costantemente per 45 anni: non è un caso che Mister Carter, nel 2014, abbia deciso di produrne una terza trasposizione su schermo (quella, superflop, che ha segnato il ritiro dalle scene di Cameron Diaz). Billboard all’epoca scrisse: “Questa è nuova: invece di campionare un classico pop degli anni Ottanta alla Puff Daddy, il rapper Jay-Z cerca la melodia in uno spettacolo di Broadway degli anni Settanta. Queste trovate originali hanno il potenziale per espandere gli orizzonti del genere”.

Feeling Good

Muse

2001

Non, come molti pensano, una cover del brano di Nina Simone (registrato nel 1965 per l’album I Put a Spell on You e diventato singolo solo nel ’94 grazie a uno spot pubblicitario), bensì il rifacimento di una delle canzoni del secondo atto di The Roar of the Greasepaint – The Smell of the Crowd, musical degli anni Sessanta passato alla storia più per le singole canzoni che non per l’intera messa in scena: conteneva, fra le altre, anche Who Can I Turn To? e The Joker, ricantate rispettivamente da Dusty Springfield e Shirley Bassey (aridaje). Negli anni, Feeling Good è stata interpretata in tutte le salse: da George Michael, da Michael Bublé, dalle Pussycat Dolls.

Rich Girl

Gwen Stefani

2004

Inserita per ultima nella tracklist di Love. Angel. Music. Baby., la canzone fu poi scelta come secondo singolo dell’album: è il “remake” del brano omonimo del ’93 del duo ragga Louchie Lou & Michie One, che a sua volta conteneva il ritornello di If I Were a Rich Man dal musical Il violinista sul tetto del ’64. Gwen Stefani, però, è qui anche con un altro pezzo: Wind It Up del 2006, che si trova nell’album successivo e si apre con lo yodel di The Lonely Goatherd da Tutti insieme appassionatamente, musical che certo non ha bisogno di presentazioni; anche il video diretto da Sophie Muller ne richiama spesso la versione cinematografica.

You’ll Never Walk Alone

Marcus Mumford

2020

Se è facile intuire come questa canzone, nel 2020, sia diventata l’inno del personale sanitario e di chi era in quarantena, resta un mistero perché venga cantata allo stadio di Liverpool prima di ogni partita: sarà per il successo della versione dei locali Gerry & the Pacemakers, che però risale al ’63. La cover del leader dei Mumford & Sons, registrata durante il lockdown con un video diretto dalla moglie Carey Mulligan, mette insieme le due cose: da una parte Ted Lasso (si sente nel finale della prima stagione), dall’altra la beneficenza. Nel 1945, però, era un brano del secondo atto di Carousel, secondo grande successo di Rodgers & Hammerstein dopo Oklahoma! del 1943.

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