Flea ha avuto una vita decisamente avventurosa e fuori dal comune. E proprio per questo non ha potuto esimersi dal raccontarcela in un volume autobiografico – uscito da poco anche in italiano per HarperCollins – dal titolo Acid for the Children (leggi qui un estratto).
Il volume non copre tutta l’esistenza di Flea e arriva a lambire il periodo di nascita dei Red Hot Chili Peppers, per cui è più che legittimo attendersi un secondo capitolo (ipotesi che l’autore ventila sul finale), ma è innegabile il fatto che anche prima della fama mondiale col gruppo Flea ne ha viste e combinate di tutti i colori, come lui stesso scrive con abbondanza di particolari.
1La benedizione di Dizzy Gillespie
Flea ha avuto la possibilità di conoscere di persona il grande jazzista Dizzy Gillespie per puro caso. La mamma lo portò a un suo concerto, quando lui era bambino, e ad agevolare l’incontro fu l’improvviso stimolo ad andare in bagno. Flea doveva fare la pipì e chiese il permesso di allontanarsi dal suo posto: «Mia madre mi disse che dovevo sbrigarmi, così saltai giù dalla poltroncina e iniziai a correre come una lepre. Nella fretta mi diressi dalla parte sbagliata […] e in qualche modo finii nel backstage pieno di gente. Fu allora che me lo trovai davanti, con la sua magica tromba in mano. […] Senza pensarci, mi fiondai nella sua direzione e rimasi immobile a fissarlo, imbarazzato. […] Dizzy mi abbracciò forte, la mia testa infilata sotto l’ascella del suo elegante doppiopetto, e mi tenne lì mentre continuava la sua conversazione. […] Una volta finito di parlare, mi lasciò andare, mi rivolse un altro sorriso incredibile, mi diede un buffetto in testa con la sua mano magica, entrò in scena e iniziò a suonare».
2Uova, trip e nudità
Come suggerisce il titolo del libro, l’acido era una sostanza che la cerchia di Flea, fin da giovanissimo, faceva girare con una certa disinvoltura. Solitamente si trattava di esperienze legate all’ascolto di musica e a viaggi mentali solitari, ma a volte le cose sfuggivano di mano. «Una sera i miei genitori erano fuori città e ci facemmo di acido a casa mia, poi decidemmo di andare a tirare le uova a un compagno di scuola antipatico […]. Viveva a cinque isolati da casa mia. Ci spogliammo e disegnammo il corpo con il rossetto di mia madre, poi uscimmo nella notte di Hollywood coperti solo di quel rossetto rosso brillante, con le uova in mano. Iniziammo a correre per gli isolati ridendo come pazzi, fino alla casa della nostra vittima. Suonammo alla porta e restammo lì nudi in attesa […]. Non rispose nessuno, perciò ritornammo di corsa a casa mia. La gente per strada ci urlava contro e forse tirammo le uova a passanti a caso, non ricordo bene. […] Ce ne fottevamo di tutto».
3Meglio la messa di un concerto punk
La formazione musicale di Flea è, come noto, di natura jazz (iniziò a studiare come trombettista e il compagno della madre era un jazzista). Ha poi scoperto il rock e il punk, ma ha sempre ascoltato musica varia, compreso il gospel cantato nelle chiese. «Ai tempi dell’hardcore punk di inizio anni ’80, una mia amica mi portava in chiesa nella zona sud di Los Angeles. Sapeva quando i migliori gruppi gospel in tour avrebbero fatto tappa lì, e anche se il concetto di Dio non mi interessava per niente e disprezzavo apertamente la religione, andavo per la musica. I gruppi erano fichissimi, le canzoni mi facevano venire i brividi e la gente impazziva. Era molto più intenso di un concerto punk rock: donne anziane che si scatenavano, fedeli che gridavano, i musicisti che picchiavano come pazzi». Quelle occasioni lo fecero anche ricredere nei confronti della Chiesa: «Una domenica ebbi occasione di parlare con uno dei parrocchiani, e quando gli dissi che non credevo nella Bibbia e che ero lì solo per la musica lui lo accettò senza problemi, e mi salutò anche la settimana successiva, nonostante fossi sciatto e anche l’unico bianco. Quella fu la prima volta che vidi la chiesa come qualcosa di positivo».
4Spiato da Slash
Quando – prima dei Red Hot Chili Peppers – Flea faceva parte degli Anthym, ebbe modo di fare un po’ di gavetta e di incontri speciali. Ad esempio nel suo quartiere bazzicavano un paio di futuri Guns N’ Roses: «Un giorno stavamo provando con il gruppo in camera di mia sorella e da dietro la finestra spuntò una testa, un tipo strano che ci guardava suonare. Era un ragazzo che abitava nell’isolato e avevo visto vagabondare per il quartiere, un capellone con l’aria da duro. […] Disse di chiamarsi Saul, di essere un chitarrista e di suonare in una band chiamata L.A. Rocks, o qualcosa del genere. Chiacchierammo per un po’ […]. Anni dopo divenne l’iconico personaggio con il cappello a cilindro della più grande rock band del pianeta». Anche il futuro batterista dei Guns, Steven Adler, viveva nell’isolato: «Quando avevo quattordici anni giravamo spesso insieme, giocavamo a football in strada e fumavamo erba. Steven era un ragazzo gentile ed entusiasta, più piccolo di me di circa un anno. Una volta avevo suonato la tromba per sua nonna e lei era stata molto gentile».
5Un inquilino di nome Freddie Redd
Grazie al patrigno jazzista (per quanto instabile e schiavo dell’alcolismo) il giovanissimo Flea era sempre a contatto con la musica e con personaggi di un certo spessore. A un certo punto la sua famiglia ebbe ospite a casa per alcune settimane nientemeno che Freddie Redd, grande pianista jazz e pioniere dell’hard bop che aveva suonato Charles Mingus, Jackie McLean e Oscar Pettiford, oltre ad aver composto la colonna sonora di The Connection. «Il povero Freddie era in crisi con la fidanzata, una giapponese proprietaria di un jazz club, che lo aveva cacciato di casa prima di prendere delle forbici, tagliargli a pezzettini tutti i vestiti e buttarli in strada. Volevo bene a Freddie. Quando mi alzavo al mattino per andare a scuola lo trovavo ancora sveglio, seduto al pianoforte con una canna in bocca a suonare accordi splendidi e misteriosi».
6Fregato da una prostituta
Il giorno del diploma, Flea ricevette una banconota da 100 dollari dalla madre. Dopo una serata di baldoria, decise di investirla – in parte – nella sua prima avventura con una professionista del sesso. Ne trovò una a bordo strada e si fermò, la caricò e lei gli disse di guidare fino a un punto che gli avrebbe indicato. Ma le cose presero una piega imprevista: «La prostituta mi disse: “Dammi i 20 dollari e facciamolo”. Ero terrorizzato e misi una mano tremante in tasca per prendere i 100 dollari […]. Tastai il punto in cui avevo messo i soldi ma non c’era nulla, erano spariti. Mi resi conto che me li aveva rubati lei dalla tasca mentre mi massaggiava l’arnese. Ero troppo nervoso e distratto per accorgermene. Andai in confusione e feci appello al suo buon cuore: “Mi hai rubato il biglietto da 100 dollari! Per te è soltanto una banconota come le altre, ma per me è speciale. Me l’ha data mia madre per il diploma […]” la pregai. In un attimo tirò fuori un coltellino a serramanico e fece scattare la lama, e altrettanto velocemente io schizzai fuori dalla macchina con le chiavi in mano, allontanandomi di qualche metro. […] Rimasi lì, poco distante da lei, e ci fissammo. Ci fu un momento di silenzio, in cui entrammo in una sorta di connessione, poi lei mormorò alcuni insulti, si voltò e se ne andò verso Beverly Boulevard, con il sole che sorgeva alle sue spalle».
7Strafatti di medicinali veterinari
Fra i vari lavori che Flea ottenne, ce ne fu uno presso la clinica veterinaria del dottor Miller. In quel periodo lui e Anthony decisero che avrebbero organizzato il party più sfrenato della storia di Hollywood. «Io presi un sacco di pillole dai colori vivaci nella clinica veterinaria dove lavoravo. Lungo le pareti del salotto e della sala da pranzo, più o meno all’altezza del petto, correva una modanatura, una sorta di mensolina continua larga dieci centimetri; vi posai centinaia di pillole […] creando un motivo colorato, una splendida installazione artistica. Erano medicine per curare la diarrea o lesioni da prurito eccessivo, antibiotici e tranquillanti. La variegata folla hollywoodiana le ingoiò tutte, per poi cagare e vomitare per diversi giorni».
8Chiuso dal padre di Gene Vincent in una cella frigorifera
Fra i colleghi alla clinica veterinaria, Flea ne aveva uno particolare. «Nel retro lavorava anche Kai, un signore anziano e gran bevitore. Era burbero ma divertente, e non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Mi mise in riga fin dal primo giorno, quando mi chiuse nella cella frigorifera con gli animali morti; era uno scherzo, ovviamente, ma intendeva farmi capire chi comandava. Scoprii che Kai era il padre della grande star rockabilly Gene Vincent, morto a poco più di trent’anni proprio durante una visita a Kai, in California. Ma Gene vive per sempre. Amo Gene Vincent! Be Bop A Lula, stronzi!!!».