Non proprio un bambino allegro
Era solo da bambino: passava il tempo a collezionare le fotografie dei grandi divi di Hollywood che trovava sui giornali, come Humphrey Bogart, Cary Grant, Clark Gable… Sono questi i soli compagni di gioco di Andy, che a causa di una malattia della pelle viene preso di mira dai compagni. Anziché giocare a baseball come ogni bambino dell’epoca, ascoltava la radio.
Terzo di tre fratelli
Nel 1942 il padre muore di tubercolosi, lasciando la moglie e i tre figli. Paul e John hanno 20 e 18 anni, mentre Andy appena 14. Essere il più giovane dei tre gli consente di poter andare al liceo e persino di frequentare un corso d’arte al Carnegie Institute di Pittsburgh, dove si iscriverà nel 1945, una volta diplomato.
Non aveva un centesimo
Nell’estate del 1949, terminati gli studi, lascia la casa dell’adorata mamma per trasferirsi a New York. Condivide una stanza con Philip Pearlstein, pittore che sarebbe divenuto molto noto negli Stati Uniti per i suoi ritratti di nudo. Non ha un soldo in tasca e racimola qualche spicciolo facendo occasionalmente il grafico.
Galeotto fu lo scarafaggio
È legato a uno scarafaggio l’aneddoto che porta Andy Warhol al suo primo ingaggio di prestigio, esattamente 70 anni fa: Warhol nel 1949 vive in un seminterrato infestato dagli scarafaggi. In quel periodo si presenta dalla potentissima fashion editor di “Harper’s Bazaar”, Carmel Snow. Quando tira fuori il suo book dalla cartella sbuca uno scarafaggio che sparisce sotto la scrivania della Snow. Lei, così impietosita da quel ragazzo, gli permette di collaborare al giornale. È così che Andy Warhol ha raccontato la storia qualche anno più tardi, ma c’è da stare certi che la Snow non assunse Warhol solo perché colpita da uno scarafaggio.
Da Capote a core de mamma
La sua prima mostra personale la realizza nel 1952 alla Hugo Gallery con quindici disegni ispirati agli scritti di Truman Capote. In quegli anni si afferma professionalmente e diventa un punto di riferimento per il mondo della creatività newyorchese. Fonda la Andy Warhol Enterprises e finalmente può permettersi una casa tutta per sé… O quasi: la mamma lo raggiunge da Pittsburgh e tornano a vivere insieme.
“Quello” non è un buon segno
Gli anni degli esordi di Warhol erano quelli in cui a dominare il sistema dell’arte era l’espressionismo astratto. Nel 1961 il MOMA dedica una retrospettiva Mark Rothko, grande pittore che non vede di buon occhio l’ascesa della pop art. Quando Andy Warhol si presentò all’inaugurazione della sua mostra Rothko si infuriò e chiese stizzito: «chi diavolo ha invitato “quello”?», riferendosi proprio a Warhol.
Nessun caso…
All’inizio degli anni ’60 un altro grande esponente della Pop Art, Roy Lichtenstein, usa il fumetto come forma d’arte. Un giorno un giornalista chiese a Warhol: «è per caso invidioso di questa intuizione di Lichtenstein?» e si sentì rispondere «No, non sono “per caso” invidioso. Lo sono a ragion veduta! Perché non ci ho pensato prima io?».
Non si butta via niente
Nel 1963 fonda la “Silver Factory”, chiamata così per l’aspetto che Billy Name, fotografo e grande amico di Warhol, riuscì a darle riempiendo i muri di carta stagnola. Fu lo stesso Name a portare alla Factory quel divano rosso, trovato abbandonato sul ciglio di una strada, che sarebbe diventato l’oggetto più famoso dello studio di Warhol, usato per decine e decine di servizi fotografici.
Guardone e felice
Forse a un certo punto la situazione alla factory gli scappò di mano e non tutti erano lì per entrare nel magico mondo di Andy: un giorno Warhol di aggirava per le stanze e sorprese un gruppo nel bel mezzo di un’orgia. Uno di questi, senza avere la più pallida idea di chi fosse Warhol, gli urlò: «o partecipi o te ne vai, guardone». Scelse di andarsene, nonostante fosse il padrone dii casa. D’altronde diceva di essere convinto che il sesso fosse più eccitante su uno schermo o tra le pagine che sotto le lenzuola.
Oltre alla celebrità c’è di più
Nel 1983 ha realizzato una serie che sembra discostarsi dal mondo provocatoriamente amorale che aveva abbracciato fino a quel momento: dieci serigrafie che rappresentano altrettanti animali in via di estinzione. Disse che non ci poteva essere opera d’arte più grande che l’azione di preservare la Terra.