L’impeto censorio è spesso paradossale e dibattuto, nel tentativo di razionalizzarlo. Giorgio Gaber diceva che era necessario censurare il cattivo gusto in tv, anche se giustificato in nome della libertà creativa, ipotizzando una censura “positiva” (argomento molto caro anche a Ian Svenonius che ne ha fatto un libro molto discusso, Censura subito). La storia della canzone italiana si è sempre distinta per censure, censurette, autocensure, controcensure, che si tratti di temi scomodi, religiosi, politici, sessuali. La lotta tra la censura (che sia esterna o introiettata) e gli artisti è un braccio di ferro perenne che a volte ha stimolato i secondi a dribblarla creativamente, fino a vincere al fotofinish. Ecco quindi 10 fra i casi più interessanti di “modifichette” alla canzone italiana, in ordine sparso.
1Decibel, “Paparock” (1978)
I Decibel del periodo “punk” sembravano non avere peli sulla lingua e se la prendevano un po’ con tutti, femministe incluse. Si ponevano come bersagli in un periodo in cui farsi ammazzare per un’opinione era abbastanza facile. Poi però arriva questo brano in cui la voce è pesantemente contraffatta e per capire le parole è necessario fare molta attenzione. Ebbene, Paparock contiene un testo contro la Chiesa esplicito e durissimo per l’epoca: “Benedici con la mano / Ma tu fai affari / È un’industria il Vaticano / Più bugiarda di così / Resta solo la DC”. Il motivo di questa clamorosa autocensura sta nel fatto che nella produzione del disco sono coinvolti i Dik Dik, che hanno ottenuto la prima audizione grazie a papa Paolo VI quando ancora era cardinal Montini. A quel punto i Decibel giocano la carta intelligente della censura esibita con fierezza, scatenando una curiosità che porta il brano allo status di leggenda. Tant’è che con l’avvento di internet è partita la ricerca al testo, oggi a portata di tutti. Ma trovare le versioni live d’epoca, senza bavaglio, è un’impresa: i Decibel ci hanno poi riprovato di recente con L’anticristo, ma la stoccata al papa è meno ficcante.
2Pooh, “Brennero ’66” (1966)
Dal ’78 facciamo un salto indietro di dieci anni e troviamo tra le vittime di censura una band quasi insospettabile: i Pooh. Nel ’66 scrissero questa canzone che parlava dei fatti di sangue ai danni dei soldati di confine italiani dopo un attacco del BAS, gruppo terroristico di stampo paranazista che voleva riportare l’Alto Adige sotto l’Austria. Ebbene alla canzone fu impedito di partecipare al Festival di Sanremo in quanto troppo violenta, in realtà perché dietro alla condanna del gesto (quindi apparentemente pro Italia) c’era un deciso antimilitarismo, soprattutto nella frase “ti hanno ammazzato quasi per gioco”. Con il titolo censurato in Le campane del silenzio, il brano sarà passato al Festival delle Rose, ovviamente trovando pochi riscontri. Dicevamo “band quasi insospettabile” perché i Pooh hanno in realtà sempre disseminato i testi di parole e temi forti passandola liscia grazie alle melodie che distraevano l’orecchio.
3Franco Battiato, “Up Patriots to Arms” (1980)
Il verso “alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena, potete stare a galla” sarebbe dovuto essere “alla riscossa stronzi che i fiumi sono in piena”. Concetto più volte ribadito da Franco nelle interviste (una su tutte quella al Fatto Quotidiano nel 2012). La canzone è un attacco a tutta una serie di comportamenti devianti della società, sicuramente una stoccata politica individualista, ma subirà un ulteriore cambiamento nella cover dei Disciplinatha del 1994. La frase “le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso” viene sostituita con “le barricate in piazza spazzate via dai critici dai miti della razza”, sostituendo Komehini con “il vento del nord” della Lega. La modifica viene approvata dallo stesso Battiato, ma si suppone che lui e la band avessero due concetti molto diversi riguardo le barricate. Vero è che Franco da questo punto di vista si autocensurerà nel pezzo Aria di rivoluzione, che originariamente recitava “ho già sentito gridare chi andrà alla fucilazione”. Nelle versioni live Franco taglia la parte della fucilazione.
4Edoardo Bennato, “Affacciati affacciati” (1975)
A proposito di papi, Edoardo Bennato nel 1975 se ne uscì con questo clamoroso brano contro il sommo pontefice, reo di parlare esclusivamente dal balcone: “tanto sono quasi duemila anni che stai a guardare”. La Rai si rifiutò di trasmetterlo (e il lato B dalla tematica simile Parli di preghiere fino al 1995 rimarrà inedito su album). Bennato aveva già assaporato il gusto amaro di essere messo in berlina con il suo primo LP Non farti cadere le braccia sabotato dalla stessa etichetta discografica. Gli dissero di tornare a studiare architettura, cosa che dapprincipio il nostro fece, salvo poi pensare che se doveva subire una cosa del genere tanto valeva estremizzare la faccenda. Ed ecco che nel successivo album I buoni e i cattivi c’è Uno buono, uno sfottò all’allora presidente della repubblica Giovanni Leone. Ma il carattere di Bennato e il suo essere costantemente in polemica col mondo lo porterà a essere inviso a critici, radio e non solo. Invitato al concertone del Primo Maggio nel 2017, prima di iniziare Meno male che adesso non c’è Nerone, un brano contro la megalomania del potere, attacca un breve monologo contro i partiti e la sua esibizione viene troncata dalla pubblicità. D’altronde da uno che cantava “Signor censore / che fai lezione di morale” solo questo potevamo aspettarci.
5Vasco Rossi, “Vado al massimo” (1982)
Vasco con la censura ha avuto sempre un rapporto strano: gliele hanno fatte passare quasi tutte. Presentata a Sanremo del 1982, Vado al massimo aveva un testo molto chiaro: “vado al Messico, voglio andare a vedere se come dice il droghiere, laggiù masticano tutti foglie intere”. Chiaramente invitato a più miti consigli, sarà sempre controllato a vista per le allusioni alla droga, soprattutto in Bollicine, quando l’esplicita “chi non vespa più e si fa le pere” muta in “mangia le pere”. Oppure in altri casi come l’estremissima Ieri ho sgozzato mio figlio il titolo viene censurato direttamente sui credits dell’album, oppure Colpa d’Alfredo che per gli epiteti “negro” e “troia” sparirà in fretta dalle programmazioni radio. Se il lupo perde il pelo ma non il vizio, nel 2015 Vasco sarà colpito dalla censura di Facebook per aver postato una foto di una ragazza che rimane in topless a un suo live, durante l’esecuzione di Rewind. Caso più unico che raro di brano non epurato che produce una censura inutile e “disperata” alle reazioni di entusiasmo per il brano stesso.
6Elio e le Storie Tese, “La visione” (1999)
Elio e le Storie Tese sono famosi per essersi prodotti nell’unica vera grande performance “contro” del concertone, quando con Sabbiature fecero nomi e cognomi dei corrotti del Paese senza avvertire nessun tipo di commissione, e quindi brutalmente oscurati. Ma per i loro testi diciamo “controversi” hanno avuto sempre filo da torcere. In esempio per tutti è La visione, brano nel quale viene pronunciata la parola “figa” uno svario di volte, nonché condito da parole come “coglione” o “affanculo”. L’unica radio che si degna di passare il pezzo è Radio Deejay, le altre decidono di bypassare completamente il singolo trovando motivazioni più o meno imbarazzanti, quasi da età della pietra. Gli Elii astutamente rispondono alla cosa dichiarando che in realtà il testo recita “la visione della fibra da vicino”, come da testo riportato nel booklet del CD, cantando in tv questa versione mentre nei live fanno ovviamente come gli pare. A proposito di live, famosissimo quello ripreso da Odeon TV durante il Kontrofestival di Mantova dove eseguono in diretta l’allucinante La ditta, brano in cui (tra le tante grandiose oscenità) s’invita a mangiare la merda di cane, probabilmente suonandolo all’insaputa di tutti.
7Lucio Battisti, “Il vento” (1968)
Se la censura per Elio è quasi data per scontata, c’è anche chi l’ha subita da insospettabile, in quanto beniamino delle masse: stiamo parlando di Lucio Battisti. Ma se è conosciuta la censura ai danni di Dio mio no (forse per aver dipinto il quadretto poco rassicurante di una donna emancipata), è meno nota quella a Il vento, canzone scritta per i Dik Dik e di cui esiste anche la versione di Lucio nel suo primo album che la Rai non volle trasmettere. L’argomento è un abbandono del tetto coniugale mentre la lei di turno sta dormendo: di lui rimane solo una lettera, e mentre il protagonista fugge spera addirittura nella morte della compagna nel sonno pur di non farla soffrire (“non ti svegliare mai”). Per l’Italietta degli anni ’60 era impossibile descrivere una relazione coniugale fallita in modo così brutale, ma pare che fosse indecente anche narrare la questione in maniera romantica. Battisti infatti subirà un’altra censura, sempre per una canzone scritta per i Dik Dik: in Guardo te e vedo mio figlio il protagonista vede l’oggetto del suo amore e immagina subito di mettere su famiglia, quindi – secondo i giudici della morale – di andarci a letto: altro che diatribe sulla consensualità.. Da questo punto di vista Battisti verrà punito anche nelle copertine: basti pensare che quella di Amore non amore sarà modificata più volte a causa della modella nuda del retro.
8Lucio Dalla, “Ho cambiato la faccia di un dio” (1976)
Di Dalla si ricordano molti brani censurati, da 4 marzo 1943 per le allusioni a Gesù Bambino, a Il colonnello, riferita al golpe nero fallito nel 1971, ma pochi si ricordano che l’accetta della censura cadde su uno dei suoi dischi più riusciti, ovvero il mitico Automobili, scritto a quattro mani con il grande poeta Roberto Roversi. La casa discografica non ha intenzione di pubblicare infatti un disco concept sulle auto che si pone nettamente contro Gianni Agnelli. E che soprattutto veicola discorsi a favore degli operai, in odore di comunismo: da una parte c’è Dalla a favore di un compromesso che permetta comunque il veicolare del concetto, dall’altra Roversi, duro e puro che non ne vuole sapere. Alla fine la spunterà Dalla, ma il rapporto tra i due s’incrinerà tanto che Roversi si firmerà Norisso, quasi a disconoscere la paternità dell’opera. Dal disco vengono escluse parecchie canzoni, tra le quali la title track e quella Ho cambiato la faccia di un Dio che poi verrà recuperata nel ‘90 da Dalla e inserita nel disco Cambio col nome esplicito di Comunista, come a farsi perdonare da Roversi. Che poi questa canzone sia nello stesso LP di Attenti al lupo, beh, i tempi erano già cambiati.
9La Banda dei Bucanieri, “Capitan Harlock” (1979)
Nel 2019 scrissi un libro pubblicato da Rizzoli Lizard chiamato Si trasforma in un razzo missile nel quale sottolineavo l’importanza delle sigle italiane dei cartoni giapponesi, sia musicalmente sia testualmente. In questo senso, probabilmente la sigla di Capitan Harlock – scritta da Albertelli e realizzata dallo stesso team di Goldrake che vedeva tra i membri i grandi Vince Tempera e Ares Tavolazzi degli Area – è la più importante. Il testo – ovviamente coerente con l’anime – era un vero e proprio inno all’anarchia, cosa che fece tremare la Rai e che immediatamente portò alla censura del verso “il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà / vola all’arrembaggio però un cuore grande ha”. Sentirla in quei pieni anni di piombo era come insegnare ai bambini a fabbricare le molotov: certo la censura non servirà a molto, perché la sigla ebbe un successo incredibile e se in TV passava con un testo differente, la versione su 45 giri non fu modificata. Anzi, a rincarare la dose c’era il lato B I corsari delle stelle , dove invece regna un’ode non tanto velata alla rapina, al pirataggio e all’esproprio proletario. Altro che semplici canzoni per ragazzi…
10Gianna Nannini, “Morta per autoprocurato aborto” (1976)
Molti dicono che la Nannini all’inizio, nel suo periodo puramente cantautoriale, fosse ascoltata solo da pochi eletti. Se non passava per radio era solo perché scriveva pezzi come questo, trovando quindi immediatamente le porte chiuse e la lunga mano della censura. Morta per autoprocurato aborto è la descrizione cruda di un aborto clandestino in un periodo in cui la legalizzazione del medesimo era ancora utopia. Fu una canzone osteggiatissima e ancora oggi misconosciuta ai più: ma è vero che poi Gianna nella sua svolta rock riuscirà non solo a non essere bruciata, ma a bruciare letteralmente il pubblico di riflesso. Sconfiggere la censura per lei è un gioco da ragazzi: ci basti ricordare la sua esibizione in diretta al Rock am Ring in Germania nel 1985, in cui mostra improvvisamente le tette alle telecamere eseguendo America inno metaforico alla masturbazione. Ad ogni modo, se addirittura durante il ventennio fascista una canzone come Addio canzoni americane di Rodolfo De Angelis riusciva a far passare nel malinconico arrangiamento jazz proprio quella musica americana che il Duce aveva deciso di abolire, fingendo compiacimento per la cosa, significa che è molto difficile che la censura l’abbia vinta nella musica pop: perché, citando Bennato, “chi non capisce, censura”.