Quella di Chris Cornell era una delle voci simbolo del rock anni ’90, insieme a quelle di Kurt Cobain, Eddie Vedder e Layne Staley. E fra tutte, quella del cantante di Soundgarden e Audioslave era la più fiera e virtuosa. Morto il 18 maggio 2017 all’età di 52 anni, verrà ricordato per sempre per i suoi urli ferali, la cosa più simile all’epoca al canto dei giganti del rock anni ’70 come Robert Plant dei Led Zeppelin.
Era anche un autore versatile, capace di passare con agilità dal metal minaccioso al folk più riflessivo, con deviazioni persino nell’electro pop e nella musica per colonne sonore. Qui sotto ci sono 15 canzoni che testimoniano la sua grandezza.
“Flower” dei Soundgarden (1989)
La prima traccia del primo album dei Soundgarden, Ultramega OK del 1990, mostra il talento vocale diabolico di Cornell. E non è che un complemento del testo feroce, che racconta la storia di una ragazza che sta morendo per via di una vita frenetica e sregolata. Il brano è l’apertura perfetta per Ultramega OK, un album in cui la band esplora gli angoli più oscuri del mondo con humour tagliente e un incredibile hard rock.
“Hunger Strike” dei Temple of the Dog (1991)
Hunger Strike e Wooden Jesus dei Temple of the Dog furono scritti da Cornell per i Soundgarden molto prima che Andrew Wood morisse ma, secondo il cantante, non avevano il suono giusto per il gruppo. «Hunger Strike deriva da una crisi esistenziale che i Soundgarden stavano vivendo in quel momento», ha raccontato Cornell a Rolling Stone l’anno prima della reunion e del tour col gruppo. «È un modo per dire che sono coerente con quel che faccio, qualsiasi cosa succeda. Ma non cambierò mai la mia arte per motivi di soldi o successo». La canzone è un duetto fra Cornell e Eddie Vedder, all’epoca una nuova voce nella scena che aveva viaggiato verso Seattle per fare un’audizione coi Mookie Blaylock, ovvero la band che da lì a poco avrebbe preso il nome di Pearl Jam. Dopo aver raggiunto anche questi ultimi il successo internazionale, la canzone fu ri-promossa fino a diventare una hit mostruosa nel 1992.
“Say Hello 2 Heaven” dei Temple of the Dog (1991)
Andrew Wood dei Mother Love Bone era molto amico di Cornell. I due furono coinquilini per un anno e un brano del primo gruppo di Wood, i Malkfunkshun, era con i Soundgarden e altre band in Deep Six, una delle prime compilation della scena di Seattle. Dopo la morte di Wood per un’overdose di eroina nel 1990, Cornell convogliò la sua afflizione in due canzoni, l’inno stridente Reach Down e l’elegiaca Say Hello 2 Heaven. Per scriverla, come ha detto il cantante nel 2016, «ci è voluto pochissimo. È arrivata così in fretta che ricordo a malapena come l’ho scritta. I due brani non hanno molto senso per i Soundgarden». Cornell diede allora le demo a Jeff Ament, bassista dei Mother Love Bone, che s’innamorò delle canzoni immediatamente e che, insieme al chitarrista Stone Gossard, lavorò con Cornell per modellarle meglio. La canzone apre Temple of the Dog del 1991, il documento di un supergruppo che contribuì a trasformare Seattle nell’epicentro del rock moderno. «Non sembrava un progetto tetro, semmai una celebrazione», ha detto Cornell a Reflex nel ’91.
“Outshined” dei Soundgarden (1991)
Dopo che i Soundgarden entrarono per la prima volta in classifica con Louder Than Love nel 1989, Chris Cornell iniziò a diventare più introspettivo. Quale direzione stava prendendo? E quale la band? Questa autoanalisi lo portò a iniziare a scrivere canzoni in modo diverso per il terzo disco. «Non sono mai stato veramente biografico nei miei testi», disse durante le prove per l’apertura di uno show dei Guns N’ Roses al Madison Square Garden nel 1992, «così quando ho scritto il verso “I’m looking California and feeling Minnesota”, in Outshined, l’ho fatto semplicemente perché mi sembrava bello». Il secondo singolo estratto da Badmotorfinger non solo sarebbe diventato uno dei preferiti dei fan, ma avrebbe ispirato il titolo di Feeling Minnesota (Due mariti per un matrimonio in italiano, ndt), il film drammatico con Keanu Reeves del 1996.
“Rusty Cage” dei Soundgarden (1992)
«Ho un ricordo molto vivido: guardare fuori dalla finestra, guardare la campagna e sentirmi in qualche modo represso», ha detto Chris Cornell a Spin, raccontando quando guidava attraverso l’Europa per trovare ispirazione per il testo della canzone che avrebbe aperto Badmotorfinger. Quando la band tornò a Seattle, Cornell, che all’epoca sosteneva di ascoltare parecchio Tom Waits, voleva «creare un crossover hillbilly dei Black Sabbath che nessuno aveva mai sentito prima». La canzone, di cui Johnny Cash avrebbe poi inciso una cover su Unchained del 1996, è stata registrata usando «un wah-wah come semplice filtro», ha detto Kim Thayil nel 1994. «È stata un’idea di Chris, voleva ottenere quel suono strano che non si riesce ad avere solo con un amplificatore».
“Seasons” di Chris Cornell (1992)
Il commovente e discreto contributo solista di Cornell alla colonna sonora di Singles è nato direttamente dalla sceneggiatura: un’audiocassetta incisa da Cliff Poncier (il personaggio interpretato da Matt Dillon) dopo la separazione dalla sua band, i Citizen Dick. Cornell si è preso la responsabilità di scrivere le canzoni dell’audiocassetta, una delle quali era questa ballata folk intima. «Porca puttana, questo è Chris Cornell nei panni di Cliff Poncier, che ha registrato tutte queste canzoni, complete di testi e di una visione creativa totale… Ha registrato da solo l’intera cassetta solista!», disse il regista Cameron Crowe del suo primo ascolto dell’EP che poi sarebbe diventato famoso semplicemente come Poncier. «Ed è fantastico. Poi inizia Seasons… E non puoi fare a meno di emozionarti. Questo è un ragazzo che abbiamo conosciuto solo con i Soundgarden. Ma è incredibilmente creativo… Chi l’aveva mai ascoltato in questa versione?».
“Spoonman” dei Soundgarden (1994)
Il primo singolo dei Soundgarden ad arrivare nella classifica Billboard fu una scelta piuttosto insolita per conquistare il mainstream: con un complesso ritmo in 7/4, un’orchestra di percussioni accompagna il testo oscuro e solitario di Cornell ispirato a Artis the Spoonman, un personaggio eccentrico di Seattle. «Il brano racconta la differenza paradossale tra chi è davvero Artis e come la gente lo vede», ha detto Cornell nel 1994. «È un artista di strada e la gente l’ha sempre giudicato male. Credono sia un barbone o che faccia quello che fa solo perché non riesce a trovarsi un lavoro normale. Il testo parla dei miei sentimenti, di come mi venga più facile identificarmi con lui piuttosto che con chi lo guarda suonare».
“The Day I Tried to Live” dei Soundgarden (1994)
Per una band che si è impegnata così tanto a negare l’influenza dei Led Zeppelin, ecco la performance più esagerata e stracciapolmoni mai registrata da Cornell per un singolo dei Soundgarden. «Parla di come si faccia a smettere di isolarsi, di essere reclusi, tutte cose con cui ho sempre avuto un problema», ha detto nel 1994. «Parla di chi cerca di essere normale, stare in mezzo alla gente e divertirsi. Io ho la tendenza a chiudermi dentro me stesso, non vedo persone per lunghi periodi di tempo e non telefono a nessuno. In un certo senso è una canzone di speranza… In molti hanno frainteso il significato, pensano che parli di suicidio. The Day I Tried to Live simboleggia il giorno in cui ho provato ad aprirmi agli altri e a quello che avevo intorno, invece di mandare tutto per aria e nascondermi in una grotta».
“Black Hole Sun” dei Soundgarden (1994)
«Ho scritto il pezzo pensando che alla band non sarebbe piaciuto», disse Cornell della canzone più iconica dei Soundgarden, «poi è diventata la hit dell’estate». La scrisse in meno di 15 minuti, e il testo alla Magical Mystery Tour descrive «una sorta di surreale mondo dei sogni. Avevo frainteso le parole di un giornalista della tv, ero convinto avesse detto “black hole sun”. Non era così, ma ormai si era creata un’immagine nella mia testa, ed ero convinto che sarebbe stato un titolo splendido per una canzone». «Black Hole Sun non era un brano scritto a colpo sicuro, ma nemmeno il tentativo di suonare come qualcun altro. Era il cucchiaino di zucchero che ti fa mandare giù la medicina», ha detto il chitarrista Kim Thayil nel 1996. «Adesso è la nostra Dream On».
“Fell On Black Days” dei Soundgarden (1994)
Anche se non era così immediato come gli altri singoli di Superunknown, Fell on Black Days aveva le stesse atmosfere moody del resto dell’album. Su un lento rock-blues, Cornell si confrontava con la sua storia personale e la depressione. «È una sensazione che tutti provano», ha detto a Melody Maker nel 1994. «Ti senti felice con la tua vita, tutto sta andando per il verso giusto, quando all’improvviso ti rendi conto di essere infelice, sul punto da spaventarti. Non c’è nessun evento particolare cui collegare quel sentimento, all’improvviso ti rendi conto che sei fottuto».
“Pretty Noose” dei Soundgarden (1996)
Pretty Noose, il singolo che lanciò l’album del 1996 dei Soundgarden Down on the Upside, sembrava uscire da una foschia minacciosa, psichedelica e stonata. I riff wah-wah dal tono vagamente esotico del chitarrista Kim Thayil preparavano la scena per i testi impressionistici e malinconici di Cornell. Le parole, infatti, descrivevano una situazione totalmente opposta alle proprie necessità: “Pretty noose is pretty hate”. In un’intervista rilasciata a MTV nel 1996, Cornell raccontò di aver scritto la canzone parlando di «una brutta idea impacchettata in maniera attraente… qualcosa che all’inizio sembra grandioso ma che poi torna per morderti».
“Cochise” degli Audioslave (2002)
La superband Audioslave si presentò con questo brano furioso, il matrimonio perfetto tra l’alt metal dei Rage Against the Machine e il lamento penetrante di Cornell. Il titolo fu ideato da Tom Morello, che all’epoca stava leggendo la storia di un capo nativo americano «senza paura e determinato». Parlando del ritornello rabbioso della canzone – “Go on and save yourself, and take it out on me” – Cornell lo paragonò a quei momenti in cui «mi guardo allo specchio e urlo contro me stesso».
“Like a Stone” degli Audioslave (2003)
Like a Stone, il secondo singolo degli Audioslave, diventò il brano di maggior successo di tutta la carriera di Cornell. Qui il cantante fa sfoggio della sua incredibile estensione vocale, con una performance piena di grinta e passione.
“You Know My Name” di Chris Cornell (2006)
Con il tema scritto per Casino Royale, Chris Cornell inaugurò l’era dello 007 di Daniel Craig, diventando allo stesso tempo il primo uomo a cantare una canzone di James Bond dopo 20 anni. Cornell era un fan sia del personaggio che di Craig, e amava i temi dei vecchi film di Bond. «Sono un fan di Paul McCartney, e so che aveva scritto e cantato Live And Let Die per un film di 007», disse a Songwriter Universe. «È stato incredibile poter scrivere una canzone per il film… l’abbiamo registrata nello studio di George Martin, in Inghilterra, il posto perfetto per un brano del genere».
“Nothing Compares 2 U” di Chris Cornell (2016)
L’ultima canzone di Cornell ad arrivare in classifica non era solo uno straordinario tributo a Prince, ma anche uno splendido epitaffio alla memoria del cantante. In questa incisione così intima, i virtuosismi vocali di Cornell si mescolano dietro la melodia. «La musica di Prince è la colonna sonora dello splendido universo che aveva creato, e tutti abbiamo avuto il privilegio di farne parte», ha detto Cornell a proposito del brano. «Nothing Compares 2 U è una canzone senza tempo, è importante sia per me che per praticamente ogni persona che conosco. Purtroppo, il testo non è mai stato attuale come adesso, e cantarlo ora è il mio tributo a un artista senza eguali, che ha ispirato le nostre vite e reso il mondo un posto molto più interessante».